"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
|
|
2 Virgilio e la tradizione bucolica dopo Teocrito
Virgilio è forse il primo fra i latini a riprendere la poesia bucolica: cosi almeno Servio Danielino interpreta ecl. VI 1-2: Prima Syracosio dignata est ludere versu | nostra neque erubuit silvas habitare Thalea. Come dice il poeta nei versi successivi (3-5), un’imitazione degli Aitia callimachei (21 ss.), lo stesso Apollo lo stornò dal comporre poesia epica o forse tragica esortandolo alla poesia pastorale, in stile deductum (non ‘dimesso’, come è sovente inteso, ma ‘sottile’, corrispondendo al callimacheo λεπταλέην). Che altri poeti contemporanei si siano cimentati in questo genere non sappiamo: due passi dello stesso Virgilio farebbero pensare ad una conversione di Cornelio Gallo alla poesia bucolica (ecl. VI 64 ss.; X 50 ss.): ma non è certo né che si tratti di un fatto reale, né che sia precedente all’inizio del poetare di Virgilio. Il modello vergiliano per le ecloghe è sicuramente Teocrito. Anzitutto troviamo numerosi riferimenti alla poesia siciliana o siracusana in particolare: ecl. IV 1 Sicelides Musae, VI 1 Syracosio ... versu, X 1 Arethusa, 51 carmina pastoris Siculi. Inoltre l’imitazione teocritea si riscontra ovunque nell’opera: cfr. ecl. II con Theocr. XI (Il Ciclope); ecl. III con Theocr. IV, V e VIII, ecl. V con Theocr. VIII; ecl. VIII con Theocr. I, III e XI per la prima parte, II (Le incantatrici) per la seconda parte. Si tratta di rilevare in che cosa Virgilio si differenzi dal modello ellenistico. 1. La prima caratteristica virgiliana è l’idealizzazione. Nonostante la precisione dei termini con cui sono indicati piante, animali e attrezzi della vita pastorale, viene a mancare il realismo teocriteo e la concretezza con cui ogni aspetto della vita, e soprattutto l’amore, è presente al poeta greco. Si vedano ad esempio i passi seguenti: Theocr. XI 42-49 "Su, vieni da me e non possederai di meno: lascia infrangersi sulla riva il glauco mare. Più doleemente nella grotta presso di me trascorrerai la notte. Qui ci sono piante d’alloro, qui svettanti cipressi, un’edera seura, la vite dai dolci frutti, acqua fresca, che l’Etna boscoso mi manda dalla neve bianca, bevanda immortale. Chi preferirebbe a ciò avere il mare e le onde?" ~ ecl. IX, 36-43 "Vieni qui, Galatea. Che piacere c’è nelle onde? Qui la purpurea primavera, qui intorno ai fiumi la terra fa nascere fiori di vari colori, qui un candido pioppo sporge sulla grotta e flessibili viti intrecciano ombre: vieni qui; lascia che i flutti impazziti urtino le rive". L’imitazione virgiliana è esplicita: anche in Teocrito è Galatea la ragazza invitata (da Polifemo). Ma nel passo teocriteo la descrizione della natura finalizzata all’utilità pratica è incentrata sul soddisfacimento amoroso; in quello virgiliano troviamo piuttosto la contrapposizione di una bellezza naturale ad una bellezza naturale inferiore, e l’elemento erotico è solo sottinteso. L’amore, pur presente come elemento tradizionale del genere, è povero di descrizioni sia realistiche sia psicologiche (il linguaggio delle Bucoliche è carente proprio nel lessico dei sentimenti). Ciò che prevale nella poesia bucolica virgiliana, invece, e che appare come connotato fondamentale dell’opera, è l’individuazione di un locus amoenus, un luogo ideale per bellezze naturali e per tranquillità, in cui "vivere appartato" secondo i suggerimenti epicurei. Quale luogo è individuato dal poeta come amoenus? La collocazione geografica delle ecloghe è generalmente vaga: tre volte si tratta probabilmente della Valle Padana, cioè la campagna del poeta stesso (ecl. I, VII e IX), una volta la Sicilia, per la precisa imitazione teocritea (ecl. II, in cui Coridone è modellato su Polifemo). Ma il locus amoenus per eccellenza è l'Arcadia, terra del dio Pan, che, come sappiamo da un epigramma di Meleagro (AP VII 535), è dio dei pastori. I riferimenti all’Arcadia come luogo di poeti cantori sono frequenti: basti pensare all’Arcades ambo della VII Ecloga (VII 4), in cui l’indicazione serve a sottolineare le qualità ideali dei due gareggianti, e supera l’incongruenza della collocazione geografica presso il Mincio. Soprattutto nella X ecloga l'Arcadia appare come locus amoenus: una regione remota e appartata, rifugio al dolore di Gallo abbandonato da Licoride e ricca di canti bucolici che permettono un’evasione dal reale. Altri brevi squarci paesaggistici sono di volta in volta idealizzati come loca amoena, felicemente scoperti da qualcuno che invita altri a soffermarvisi per trovare un riposo sereno: ecl. I 79-83 Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem | fronde super viridi: sunt nobis mitia poma, etc. (in cui l’idealizzazione è sottolineata dal rimpianto per l’impossibilità che l’invito sia accolto: poteras); II 28 segg.: O tantum libeat me cum tibi sordida rura | atque humilis habitare casas et figere cervos, etc. Anche qui l’invito è accompagnato dal rimpianto: o tantum libeat); VII 8 segg 'ocius' inquit | 'huc ades, o Meliboee; caper tibi salvos et haedi; | et siquid cessare potes, requiesce sub umbra (in cui l’invito è accolto con difficoltà: quid facerem?). Le dediche, da un lato, attualizzano quanto c’è di acronico nell’ecloga: d’altro canto un personaggio come Gallo nella VI ecloga è inserito nel tempo non-tempo che va dalle origini dell’universo alla storia già trasformata in mito e, in questa come nella X, s’incontra con pastori, figure leggendarie come Lino, dèi greci e italici in un rapporto alla pari. I riferimenti a Ottaviano e alle guerre civili nella I e IX ecloga portano nel presente e nel concreto: la trasfigurazione di Cesare come Dafni nella V (se così dobbiamo intendere) fa svanire ogni aspetto cronachistico. In questa fusione di elementi si stempera, a nostro parere, ogni polemica sulla IV ecloga: realtà e trasfigurazione, connotazioni infantili e partecipazione alla vita degli dèi, Asinio Gallo o Salonino o chiunque altro e puer delle antiche profezie sono commisti al di là di ogni distinzione logica e razionale, come nel complesso dell’opera. Nella letteratura dell’età imperiale la poesia bucolica prosegue in epigoni di valore generalmente scarso, il cui interesse è per noi legato esclusivamente alla fortuna del genere. Nell’età neroniana sono da situare due ecloghe anonime conservate in un manoscritto di Heidelberg (lat. 266, del X sec.) proveniente dal monastero di Einsielden e le sette ecloghe di Calpurnio Siculo: nella prima ecloga di Calpurnio in particolare il tema messianico dell’età dell’oro è ripreso dalla profezia di Fauno, che l’identifica col regno di Nerone. . In questa età motivi tipici della poesia bucolica teocritea o vergiliana si incontrano in componimenti greci o latini non appartenenti propriamente al genere bucolico. Facciamo tre esempi. il romanzo di Longo Sofista Gli amori pastorali di Dafni e Cloe riprende nella sua struttura in prosa i temi della vita a contatto con la natura, accentuando un aspetto in particolare, quello cioè dell’innocenza di una tale vita in contrasto con la corruzione della vita cittadina, tanto che Dafni e Cloe decideranno di restare legati alla loro esperienza di pastori anche dopo aver ritrovato le ricche famiglie d’origine; tema, quello del "buon selvaggio", gravido di riprese future. Il poeta cristiano Prudenzio ha echi bucolici nelle sue poesie d’ispirazione biblica: si veda ad esempio la parabola della pecorella smarrita (Cathemerinon 8, 33-52), in cui Prudenzio accentua fortemente il contrasto fra una natura ostile in cui la pecora era incappata e il luogo felice (locus amoenus?) in cui è riportata dal pastore (vv. 42-48: strofe saffiche). Echi dell’huc ades e del rimpianto per l’invito mancato si ritrovano infine in una lettera di Basilio di Cesarea all’amico Gregorio di Nazianzo (ep. 14). "Rinunciando a malincuore alle speranze che avevo riposto in te, anzi più che alle speranze ai sogni, a dire il vero (perché giustamente si dice che le speranze sono i sogni dell’uomo sveglio) giunsi qui al Ponto, per cercarvi quella vita che si adatta all’anima mia. E qui Dio mi ha fatto scoprire il luogo secondo il mio cuore. Quello che tante volte ci siamo creati nella fantasia, nel gioco dell’immaginazione, ecco, l’ho dinnanzi: è divenuto vero." La lettera prosegue con una descrizione della natura del luogo prescelto da Basilio per la sua vita contemplative; una natura bellissima, solitaria e felice: un locus amoenus cristiano. Le riprese cristiane sono prevalentemente un segno della fortuna del genere bucolico, giacché i contenuti sono di tipo apologetico-encomiastico. Si pensi al De mortibus boum di Endelechio (un retore del IV sec., amico di Paolino da Nola), un idillio di 33 strofe asclepiadee in cui il protagonista (Bucolo) espone all'amico Egone la sua amarezza perché la mandria è stata colpita da un'epidemia: a questo punto entra Titiro, che spiega ai due come ha salvato i capi della sua mandria tracciando il segno della croce sulla fronte dei suoi animali: i due amici, convinti e colpiti dal miracolo, decidono alla fine di farsi cristiani; l'idillio, al di là del suo valore poetico (vi sono numerose reminiscenze, oltre che delle ecloghe virgiliane, anche del terzo libro delle Georgiche), ha un discreto interesse documentario, perché mostra la persistenza del paganesimo in ambiente rurale nel V secolo. Una ripresa del tema
bucolico si ha, in ambiente carolingio, con Alcuino da York
(Northumbria
730-Tours 804), le cui ecloghe ispirate a Virgilio sono
considerate il momento di transizione tra l'ecloga antica e l'ecloga
dantesca. Nel Canto
sul cuculo (Versus de cuculo) l'autore
trasfigura sotto le vesti pastorali e con un'insistita metafora
ornitologica le vicende di un suo allievo (Dodone) che, a quanto pare,
ha abbondonato la vita monastica, per darsi a Bacco e alla vita
mondana. Nel canto amebeo tra Menalca e Dafni (già nei nomi si
percepisce il richiamo alla tradizione virgiliana) si rimpiange la
dipartita del cuculo, che ha lasciato tristezza e freddo nel cuore dei
suoi amici, ma si insinua la speranza che il cuculo possa ritornare,
riportato dalla primavera che risveglia le creature dal sonno
dell'indifferenza e del vizio: come anche in altri componimenti dello
stesso Alcuino, il ritorno del cuculo è segno del ripresentarsi della
primavera. Nonostante i continui richiami a Virgilio, il tema pastorale
è rinnovato e l'ambientazione è profondamente diversa, perché il carme
allude in continuazione ai valori della vita monastica e di una
condotta di vita cristianemente temperante. Richiamo insistito di
motivi virgiliani e pastorali, e ripresa del tema del cuculo, si ha
anche nel Conflictus veris et hiemis,
una tenzone tra le due stagioni, che intonano un canto amebeo in cui a
ognuno dei contendenti sono assegnati tre versi. I due pastori giudici
della gara (Dafni e Palemone) alla fine mettono a tacere l'inverno
"dissipatore e vizioso" (v. 45) ed esprimono la loro speranza nel
ritorno del cuculo, pastorum dulcis amicus.
. |
Nelle figure: 1. Ritratto di Virgilio (Roma, Villa Medici). 2. Immagine della I Ecloga, da un codice virgiliano; 3. Virgilio con le Muse (mosaico, Museo del Bardo, Tunisi); 4. Ritratto di Alcuino da York, da una stampa di epoca rinascimentale.
(Torna
all’Indice di "Il tema bucolico")
(Torna alla schermata principale di
Zetesis)
Per tornare alla home |
Per contattare la Redazione |