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Virgilio, Ecloga VII, vv. 1-37

 

MELIBEO

Per caso Dafni si era seduto ai piedi di un leccio mormorante, e Coridone e Tirsi avevano radunato insieme le greggi, Tirsi le pecore, Coridone le caprette turgide di latte: entrambi nel fiore dell'eta, entrambi Arcadi, e pari nel cantare e pronti nel rispondere. Qui appunto, mentre io attendevo a proteggere dal freddo i tencri mirti, era arrivato smarrendo il cammino proprio il mio caprone, maschio del gregge; ed io scorgo Dafni. Quando egli a sua volta mi vede: "Presto" dice "vieni qui, o Meliheo; il tuo caprone è in salvo e così i capretti; riposa sotto l'ombra, se puoi indugiare un poco. Qui attraverso i prati giovenchi verranno spontaneamente a bere, qui il Mincio ha coperto le rive verdeggianti di tenere canne, e dalle querce sacre risuona il ronzio degli sciami". Che fare? io non avevo né Alcippe né Filli per chiudere in casa gli agnelli svezzati, e la gara di Coridone con Tirsi era grande; infine al loro canto ho posposto i miei seri lavori. Con versi alterni cominciarono dunque entrambi a gareggiare; le Muse volevano che li ricordassero alterni. Questi versi ripeteva Coridone, quelli Tirsi subito dopo.

CORIDONE

Ninfe Libetridi, amore nostro, concedetemi un canto quale al mio Codro (egli compone in versi canti vicini a quelli di Febo), o, se non tutti ne siamo capaci qui la mia zampogna canora penderà dal sacro pino.

TIRSI

Pastori Arcadi, ornate di edera il nascente poeta, perché di invidia si rompano le viscere di Codro; o, se darà lodi oltre il lecito, cingetemi la fronte di baccare, perché la mala lingua non nuoccia al vate futuro.

CORIDONE

O Delia il piccolo Micone ti offre questa testa di setoloso cinghiale e le corna ramose di un cervo longevo. Se questo dono durerà, tu ti innalzerai tutta intera nel marmo levigato con i polpacci avvinti da un coturno purpureo.

TIRSI

Ti basti, o Priapo, attenderti ogni anno un boccale di latte e queste focacce; di un orto modesto sei custode. Per il momento ti abbiamo fatto di marrno; ma, se i parti completeranno il gregge, tu diventerai d'oro.

 

Testo latino

VII MELIBOEUS CORYDON THYRSIS

M. Forte sub arguta consederat ilice Daphnis,

compulerantque greges Corydon et Thyrsis in unum,

Thyrsis oves, Corydon distentas lacte capellas,

ambo florentes aetatibus, Arcades ambo,

et cantare pares et respondere parati.

huc mihi, dum teneras defendo a frigore myrtos,

vir gregis ipse caper deerraverat; atque ego Daphnim

aspicio. Ille ubi me contra videt, 'ocius' inquit

'huc ades, o Meliboee; caper tibi salvos et haedi;

et siquid cessare potes, requiesce sub umbra.

alternis igitur contendere versibus ambo

coepere; alternos Musae meminisse volebant.

Hos Corydon, illos referebat in ordine Thyrsis.

C. Nymphae, noster amor, Libethrides, aut mihi carmen

quale meo Codro concedite (proxima Phoebi

versibus ille facit) aut, si non possumus omnes,

hic arguta sacra pendebit fistula pinu.

T. Pastores, edera crescentem ornate poetam,

Arcades, invidia rumpantur ut ilia Codro;

aut, si ultra placitum laudarit, baccare frontem

cingite, ne vati noceat mala lingua futuro.

C. Saetosi caput hoc apri tibi, Delia, parvos

et ramosa Micon vivacis cornua cervi.

Si proprium hoc fuerit, levi de marmore tota

puniceo stabis suras evincta coturno.

T. Sinum lactis et haec te liba, Priape, quodannis

expectare sat est: custos es pauperis horti.

Nunc te marmoreum pro tempore fecimus; at tu,

si fetura gregem suppleverit, aureus esto.

 

(trad. di M. Geymonat, da Virgilio, Bucoliche, ed. Garzanti, Milano, 1981)

Nell'immagine: La VII Ecloga di Virgilio, da un codice vaticano latino del XIII secolo.

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