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Virgilio, Ecloga IX, vv. 12-43

 

LICIDA

Eppure l'avevo sentito come cosa certa che dovce i colli cominciano a digradare e a piegare la cima in dolce pendio, fino all'acqua e ai vecchi faggi delle cime ormai spezzate, tutto con i suoi carmi aveva salvato il vostro Menalca.

MERI

L'avrai sentito e ne corse la voce; ma i nostri carmi, Licida, valgono tra le armi di Marte solo quanto, si dice, le caonie colombe all'arrivo delle aquile. Che se una cornacchia da un cavo leccio a sinistra non mi avesse prima ammonito a troncare in qualsiasi modo nuove liti, questo tuo Meri non vivrebbe più, né lo stesso Menalca.

LICIDA

Ahi, qualcuno può essere vittima di un delitto così terribile? ahi, per poco insieme con te non ci furono tolte anche le consolazioni che tu ci dai, Menalca! Chi canterebbe le Ninfe? chi cospargerebbe la terra di erbe fiorite o coprirebbe di verde ombra le fonti? o il canto che ti levai di soppiatto poco fa, mentre ti recavi dal nostro amore Amarilli: "Titiro, finché torno – la via è corta – pascola le caprette e, pasciutele, portale a bere, Titiro, e nel condurle bada a non andar contro al caprone: esso ferisce col corno".

MERI

Piuttosto questi versi, che ancora incompiuti cantava a Varo: "Varo, il tuo nome i cigni col loro canto leveranno in alto alle stelle, purché ci resti Mantova, Mantova ahimè troppo vicina all'infelice Cremona!"

LICIDA

Possano i tuoi sciami evitare i tassi di Cirno', possano le tue vacche pasciute di trifoglio colmare le poppe; dai inizio al canto, se hai qualcosa da cantare. Anche me resero poeta le Pieridi, anche io ho canzoni, me pure chiamano vate i pastori; ma io non credo a loro: ancora non mi sembra infatti di comporre cose degne di Vario né di Cinna, ma di strepitare come oca fra i cigni melodiosi.

MERI

È appunto ciò che faccio e in silenzio, Licida, rimugino fra me stesso, se mi riesce di ricordare; e non è un canto ignobile. "Vieni qui, o Galatea; che piacere c'è dunque fra le onde? qui è la splendente primavera, qui sulle rive dei flumi la terra sparge fiori variopinti, qui un candido pioppo sovrasta una grotta e le viti flessibili intessono ombrosi pergolati. Vieni qui; lascia che i flutti battano furiosi i lidi".

 

Testo latino

L. Certe equidem audieram, qua se subducere colles


incipiunt molli que iugum demittere clivo,


usque ad aquam et veteres iam fracta cacumina fagos


omnia carminibus vestrum servasse Menalcan.


M. Audieras, et fama fuit; set carmina tantum


nostra valent, Lycida, tela inter Martia, quantum


Chaonias dicunt aquila veniente columbas.


quod nisi me quacumque novas incidere lites


ante sinistra cava monuisset ab ilice cornix,


nec tuus hic Moeris nec viveret ipse Menalcas.


L. Heu, cadit in quemquam tantum scelus? heu, tua nobis


paene simul te cum solacia rapta, Menalca?


quis caneret nymphas? quis humum florentibus herbis


spargeret aut viridi fontes induceret umbra?


vel quae sublegi tacitus tibi carmina nuper,


cum te ad delicias ferres Amaryllida nostras:


'Tityre, dum redeo (brevis est via) pasce capellas,


et potum pastas age, Tityre, et inter agendum


occursare capro (cornu ferit ille) caveto'.


M. Immo haec, quae Varo necdum perfecta canebat:


'Vare, tuum nomen, superet modo Mantua nobis,


Mantua vae miserae nimium vicina Cremonae,


cantantes sublime ferent ad sidera cycni'.


M. Id quidem ago et tacitus, Lycida, me cum ipse voluto,


si valeam meminisse; nequest ignobile carmen.


'huc ades, o Galatea! quis est nam ludus in undis?


hic ver purpureum, varios hic flumina circum


fundit humus flores, hic candida populus antro


imminet, en lentae texunt umbracula vites:


huc ades; insani feriant sine litora fluctus'.

 

(trad. di M. Geymonat, da Virgilio, Bucoliche, ed. Garzanti, Milano, 1981)

Nell'immagine: Scena bucolica, da un'antica edizione di Virgilio (Birminghan 1766) con una rilegatura di grandissimo pregio.

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