"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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MARZIALE, Epigrammi

 

(Traduzione di PIETRO RAPEZZI)

 

 

 

1) DA PENELOPE A ELENA, I 62

2) DISTINZIONI PURISTICHE, I 65

3) IL FEDIFRAGO, I 103

4) UNA COSA IN COMUNE, III 26

5) CATTIVI ODORI, III 28

6) EFFETTI DI UNA VISITA MEDICA, V 9

7) ORGOGLIO DI POETA, V 13

8) UNO O TRE?, V 49

9) SCELTA DELLA PROFESSIONE, V 56

10) DIGRESSIONI FORENSI, VI 19

11) CADUCITA’, VI 40

12) LA CLAQUE, VI 48

13) DA CISPOSO A CIECO, VIII 9

14) IL MAESTRO DI SCUOLA, IX 68

15) A UN AMICO D’INFANZIA, X 13/20

16) A UN SEDICENTE AMICO, X 15/14

17) UN PASTO QUASI UMANO, X 31

18) AUGURIO, XI 67

19) IL CALESSINO, XII 24

20) IL CAMPICELLO, XII 25

 

 

 

 

DA PENELOPE A ELENA (I 62)

 

Casta com’era una sabina antica,

più austera dello stesso arcigno sposo,

Lavina, mentre corre ora al Lucrino,

ora al lago d’Averno e dentro le acque

di Baia si ristora, prende fuoco:

pianta in asso il marito e segue un giovane:

Penelope arrivò, riparte Elena.

 

 

 

 

DISTINZIONI PURISTICHE (I 65)

 

 Ogni volta che dico ficus, ridi

come d’un barbarismo

e vuoi che dica, Ceciliano, ficos.

Diremo ficus quelli che produce

la pianta, chiameremo invece ficos

quelli che hai tu nel culo, Ceciliano.

 

IL FEDIFRAGO (I 103)

 

Se i Celesti mi dessero un milione

di sesterzi, solevi dire, Scevola,

quando non possedevi ancora il censo

di cavaliere, oh quale vita splendida,

quale vita beata condurrei!

Sorrisero gli dèi condiscendenti

e soddisfecero il tuo desiderio.

Da quel giorno più sordida hai la toga,

il mantello più misero, le scarpe

tutte toppe. Di dieci olive serbi

la maggior parte, bevi quella feccia

di vino che è il rossastro Veientano,

un asse spendi per i ceci, un asse

per Venere. Su, andiamo in tribunale,

o ingannatore e spergiuro: o deciditi

a godere la vita o restituisci

il milione, Scevola, agli dèi.

 

 

 

 

UNA COSA IN COMUNE (III 26)

 

Terre hai da solo, Candido, denari

hai da solo, da solo vasi d’oro,

vasi di murra da solo, da solo

Massico, vecchio Cecubo da solo,

cuore hai da solo, da solo cervello.

Tutto hai da solo, è vero, ma la moglie

ce l’hai in comune, Candido, con tutti.

 

 

 

 

CATTIVI ODORI (III 28)

 

Che così forte puzzino

gli orecchi a Mario tu ti meravigli?

E’ tua la colpa, Nestore:

dentro agli orecchi sempre gli bisbigli.

 

 

 

 

EFFETTI DI UNA VISITA MEDICA (V 9)

 

Non stavo bene: subito,

Simmaco, accompagnato

dai cento tuoi discepoli,

da me con grande pompa sei arrivato.

 

Cento mani, dal gelido

borea ghiacciate, allora

m’hanno palpato: l’esito?

Prima ero senza febbre; ce l’ho ora.

 

 

 

 

 ORGOGLIO DI POETA (V 13)

 

Povero sono, Callistrato, e sempre

lo sono stato, è vero, ma non sono

un cavaliere oscuro e malfamato,

ho lettori in ogni angolo del mondo

e per la strada mi si mostra a dito.

La gloria, che soltanto pochi ottengono

dopo la morte, io l’ho raggiunta in vita.

I tuoi palazzi sopra centinaia

di colonne si adergono, i tuoi scrigni

rinserrano tesori da liberto,

a Siene lungo il Nilo hai sterminati

possedimenti, per te nella gallica

Parma si tosano infinite greggi.

Questo siamo io e tu: ma tu non puoi

essere ciò che io sono; uno qualunque

può diventare quello che sei tu.

 

 

 

 

UNO O TRE? (V 49)

 

 Pur avendo, Labieno, visto te

seduto solo, vi ho creduti in tre.

 

E’ la pelata tua che m’ha ingannato:

da una parte e dall’altra sei chiomato,

 

come si addice anche a un ragazzo, al centro

sei tutto nudo e non si scorge dentro

 

la piazza un solo pelo. Questo errore

t’ha avvantaggiato con l’imperatore,

 

quando a dicembre ha offerto cibi e doni:

a te sono toccate tre razioni!

 

Penso che tale fosse l’apparenza

di Gerìone. Dunque abbi prudenza

 

e scansa di Filippo il porticato:

com’Ercole t’adocchia, sei spacciato.

 

 

 

 

SCELTA DELLA PROFESSIONE (V 56)

 

A qual maestro affidare tuo figlio

mi chiedi spesso, Lupo, preoccupato.

Fuggi tutti i grammatici ed i retori;

niente abbia a che vedere con i libri

di Cicerone e di Virgilio; lasci

Tutilio alla sua fama; se fa versi,

disereda il poeta. Vuoi che impari

un mestiere lucroso? Fagli fare

il citaredo o il flautista del coro;

se ti sembra che sia di testa dura,

di lui fa’ un banditore o un architetto.

 

 

 

 

DIGRESSIONI FORENSI (VI 19)

 

Non è questa una causa per violenza,

spargimento di sangue o veneficio:

si tratta solo delle tre caprette,

che il vicino (io l’accuso) m’ha rubato.

Reclama prove il giudice: tu invece,

con larghi gesti e voce reboante,

citi Canne e la guerra mitridatica

e gli spergiuri della rabbia punica

e i Silla e i Marii e i Muzii. Parla alfine,

Postumo, è l’ora, delle tre caprette.

 

 

 

 

CADUCITA’ (VI 40)

 

Non c’era alcuna bella come te,

Licòri, un tempo: bella come Glìcera

oggi non c’è nessuna. Ella sarà

come sei tu, ma tu più non potrai

essere come lei. Cosa fa il tempo!

Prima volevo te, ora voglio lei.

 

 

 

 

LA CLAQUE (VI 48)

 

Se una turba togata di clienti,

Pomponio, ti magnifica ed acclama,

non tu, le cene tue sono eloquenti.

 

 

 

 

DA CISPOSO A CIECO (VIII 9)

 

Ila voleva poco fa pagarti

i tre quarti del debito, quand’era

cisposo; ora che è guercio,

vuol darti la metà. Spicciati, Quinto,

a compiere l’affare: quando Ila

sarà cieco, non beccherai più niente.

 

 

 

 

 IL MAESTRO DI SCUOLA (IX 68)

  

Cosa c’entri con noi, o scellerato

maestro, detestato da fanciulli

e fanciulle? Non hanno ancora i galli

crestati rotto il silenzio notturno,

che già rintroni con i tuoi latrati

e le sferzate. Con tale fragore

sulle percosse incudini rimbombano

i bronzi, quando l’artefice adatta

al cavallo la statua del causidico;

più temperato rumore si leva

nel vasto anfiteatro, quando al piccolo

scudo vincente volano gli applausi.

Noi, tuoi vicini, anche se non per tutta

la notte, ti chiediamo il sonno: è lieve

vegliare un po’, vegliare sempre è atroce.

Licenzia i tuoi scolari: vuoi ricevere,

per stare zitto, lo stesso compenso

che ricavi, o ciarlone, per gridare?

 

 

 

 

 A UN AMICO D’INFANZIA (X 13/20) 

Se alle aurifere spiagge mi richiama

il celtibèro Salo, se dei penduli

tetti della mia patria ho nostalgia,

ne sei tu la cagione, Manio, amato

dai teneri anni della fanciullezza

ed a me avvinto con dolce amicizia

nel tempo in cui vestivo la pretesta,

tu di cui non c’è un altro tra gli Ibèri

a me più caro e più degno di amore.

Insieme a te pure nelle infuocate

tende getùle o nelle lande scitiche

amerei stare. Se d’un solo cuore

sei con me, se reciproco è l’affetto,

qualunque luogo per noi vale Roma.

 

 

 

 

A UN SEDICENTE AMICO (X 15/14)

 

Non c’è nessuno, Crispo, dei miei amici,

a cui tu sia inferiore nell’affetto

verso di me, sostieni. Ma, vuoi dirmi,

ti prego, cosa fai per dimostrarlo?

Quando t’ho chiesto un prestito di cinque

mila sesterzi, me l’hai rifiutato,

sebbene i tuoi forzieri traboccassero

di ricchezze. Non una sola volta

m’hai dato un moggio di fave o di farro,

quantunque tu abbia terre anche sul Nilo.

Non una sola volta m’hai mandato

uno straccio di toga per il gelido

inverno. Mai da te una mezza libbra

d’argento ho ricevuto. Non ravviso

nessuna prova, Crispo, per cui debba

considerarti amico, eccetto il fatto

che suoli scorreggiare in mia presenza.

 

 

 

 

UN PASTO QUASI UMANO (X 31)

 

Ieri hai venduto uno schiavo per mille

e duecento sesterzi, Calliodoro,

per fare almeno una volta un buon pranzo.

Ma non hai fatto un buon pranzo: la triglia

di quattro libbre da te comperata

è stata tutto il lusso della mensa.

Mi vien voglia di urlarti: “Non è questo,

o scellerato, non è questo un pesce;

è un uomo: un uomo mangi, Calliodoro”.

 

 

 

 

AUGURIO (XI 67)

 

Nulla mi dai da vivo:

dici che dopo morto mi darai.

Se non sei un po’ tardivo,

Marone, ciò che t’auguro lo sai.

 

 

 

 

IL CALESSINO (XII 24)

 

O calessino, dolce solitudine,

a me più grato della più spaziosa

carrozza, dono del facondo Eliano!

Qui puoi con me, qui puoi, Giovato, dare

libero sfogo al tuo cuore: non c’è

il nero conducente di cavalli

libici, né ci precede il succinto

battistrada; non c’è il mulattiere;

i cavallini non ci tradiranno.

Oh se fosse con noi anche il nostro Avito,

non avrei da temere un terzo orecchio.

Come felici i giorni volerebbero!

 

 

 

 

IL CAMPICELLO (XII 25)

 

Quando ti chiedo del denaro in prestito

senza un pegno, mi dici: “Non ce l’ho”;

se per me garantisce il campicello,

ce l’hai. Quello che neghi, Telesino,

a me, tuo vecchio amico, lo concedi

ai miei cavoli ed alberi. Ecco, Caro

ti fa causa: ti assista il campicello.

Cerchi qualcuno che ti sia compagno

nell’esilio: ti segua il campicello.

 

 

 

 

 

 

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