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Il tema bucolico nelle letterature straniere

 

 

1. Poesia rinascimentale

2. Prosa rinascimentale

3. Settecento e Ottocento

4. Evoluzione della letteratura pastorale a fine secolo XIX

5. Novecento e oltre

 

 

1. Poesia rinascimentale

Nel Medioevo non c’è in Europa una vera e propria letteratura pastorale perché non c’è una idealizzazione della natura. Qualche riflesso della vita dei pastori si trova nelle pastourelles provenzali, contrasti amorosi fra un cavaliere poeta e una villanella rustica, o nelle affini pastorelas lusitano-galleghe o serranillas castigliane, che assunsero forme d’arte, al limite dell’età medioevale, con Inigo Santillana (1398-1458). Nel Rinascimento invece il tema pastorale diviene uno degli elementi dell’estetica classicista, per lo più attraverso la mediazione italiana, a volte direttamente legato all’imitazione di Virgilio o Teocrito.

In Spagna il maggior esponente fu Garcilaso de la Vega (1503-1536), allievo dell’umanista italiano Lucio Marineo Siculo insieme ad altri rappresentanti della cultura d’influsso italiano come Juan Boscán Almogáver, il traduttore del Cortegiano. Negli ultimi anni della sua breve vita Garcilaso de la Vega, ammiratore del Sannazzaro ma anche lettore di Virgilio e Petrarca, compose tre Eglogas in cui s’incontrano tematiche amorose (col nome di Galatea o Elisa canta Isabella Freyre, la donna amata morta intorno al 1530), e idealizzazioni di personaggi della corte spagnola. Nella prima si susseguono due monologhi amorosi, quello di Salicio che lamenta l’indifferenza di Galatea e quello di Nemoroso che piange la morte dell’amata Elisa. La seconda, di quasi duemila versi, contrappone la passione infelice di Albanio per Camilla, cacciatrice sua amica d’infanzia che rifiuta di mutare l’infantile amicizia in rapporto amoroso, con la saggezza di Salicio e la gioiosa esperienza di Nemoroso, che ha incontrato un grande maestro, identificato chiaramente in fra Severo Varini. La terza è un canto amebeo che richiama modelli virgiliani.

Fra Luis de León (1527-1591 ca), agostinano, professore a Salamanca, fu poeta e mistico. Tradusse dalla Bibbia (Cantar de los Cantares), Pindaro, Orazio, Virgilio e i poeti italiani. Tema fondamentale delle sue liriche è la ricerca della vita appartata nella campagna per comunicare con Dio.

In Portogallo scrivono ecloghe fra il '400 e il '500 Sa de Miranda (che viaggiò in Italia), Bernardim de Ribeiro e Cristobal Falcão. In Francia Remy Belleau (1528-77) poeta della Pléiade, amico di Ronsard che lo definisce "pittore della natura", traduce Arato, compone Bergeries e Eglogues sacrées prises du Cantique des Cantiques: notiamo quindi come le fonti siano, oltre alla poesia classica della natura e alla poesia italiana, anche la Bibbia, in particolare il più poetico e fascinoso dei suoi testi, rivisitato nello stesso periodo anche da Luis de León.

L’inglese Edmund Spenser compone nel 1579 lo Shepherd’s Calendar (Calendario del pastore), 12 ecloghe dedicate ai mesi dell’anno con contenuto amoroso, allegorico e morale/religioso. In particolare l’ecloga di ottobre è un canto amebeo sul valore della poesia interpretato in chiave platonica. Poemi pastorali di contenuto mitologico e amoroso scrive Michael Drayton nello stesso periodo.

Nel 1599 Mary Sidney contessa di Pembroke compone un canto amebeo in onore di Elisabetta I, A Dialogue betweene two shepheardes, pubblicato nel 1602. I protagonisti sono personaggi tratti dal  Calendario di Spenser: Thenot nel November dichiara la sua insufficienza poetica, mentre Piers in May è un ministro protestante che sostiene il linguaggio semplice e sincero. Secondo la tecnica del canto amebeo il pastore che inizia (Thenot) canta tre versi di cui due  rimati; il contendente si inserisce con una nuova terzina con due versi rimati e il terzo che deve rimare col terzo dell’avversario. Il tema è l’elogio di Astrea, dea della giustizia, che simboleggia la regina. Ma al reiterarsi degli elogi da parte di Thenot, Piers risponde con continue accuse di menzogna, di immoralità e di incapacità poetica. Thenot chiede di spiegargli come mai, se è  my meaning true, my words should ly. E Piers utilizza la parola conceit nel doppio senso di ispirazione e presunzione:  Astrea non può essere elogiata adeguatamente, per cui anche se il significato è ispirato, è presunzione voler essere all’altezza dell’oggetto del canto.

Anche Shakespeare risente dell’influenza del tema pastorale, non solo indirettamente (si veda più oltre il riferimento a As You Like It), ma anche esplicitamente nella commedia The Winter’s Tale rappresentata nel 1611. La figlia del re di Sicilia, Perdita, è stata esposta e allevata da un pastore in Boemia. Il momento cruciale delle peripezie di Perdita e del suo innamorato, il principe boemo Florizel, coincide con la festa della tosatura, a cui partecipano Florizel, che si è fatto passare per un pastore, e, travestiti per investigare su questo amore scandaloso, il re e il suo consigliere. La festa costituisce un vero e proprio inserto pastorale: le pastorelle Mopsa e Dorcas con linguaggio fortemente realistico si contendono le attenzioni del fratello adottivo di Perdita; gli elementi nella natura sono descritti con la precisione botanica di Virgilio; frequenti i paragoni agresti e i richiami mitologici. Sono previste anche due danze, una di pastori e pastorelle, l’altra di mandriani travestiti da Satiri. Che si tratti di una sorta di metateatro traspare dalle parole stesse di Perdita: "Mi sembra di venir recitando una parte quale ho veduto nelle pastorali per la Pentecoste" (atto IV, vv. 133-134).


In Polonia la poesia pastorale si rifà direttamente a Virgilio, più che dipendere dalla mediazione italiana. Lo studio di Virgilio era stato introdotto all’università di Cracovia dal protoumanista Grzegorz z Sanoka (Gregorio di Sanok), come racconta il suo biografo Filippo Buonaccorsi, suscitando un grandissimo interesse sia sul piano contenutistico (il mondo polacco fu colpito sempre dalla IV ecloga di Virgilio) sia come modello formale. La più antica poesia latina polacca, il Dialogus de Sbigneo Olesnicki, scritta nel 1461-63 in onore di un vescovo defunto, è ispirata alle ecloghe virgiliane. L’autore più importante di poesia pastorale in latino è Andreas Schoeneus (1552-1615), che scrisse tre ecloghe, Adonis, Daphnis e Palaemon: sotto i nomi classici dei pastori si celano vescovi e amici del poeta, e il Dafni la cui morte è cantata nella seconda ecloga raffigura il re polacco Batory. In polacco scrive invece Szymon Szymonovic (1558-1629), autore di 10 ecloghe (sielanki) d’imitazione classica (Virgilio e Teocrito) e altre dieci maggiormente realistiche, in cui la campagna descritta è quella polacca e ai motivi bucolici vanno sostituendosi motivi georgici. I suoi imitatori, Naborowski, Wieszczycki e Miaskowski, accentuano l’elemento folklorico polacco; dell’ultimo ricordiamo anche poesie religiose natalizie (Rotuly) in cui Apollo e le Muse fanno visita al Presepio e Calliope parafrasa la IV ecloga virgiliana applicandola a Cristo; l’autore è definito dalla Musa Pollio polski (Pollione polacco). Anche in Ungheria l'influsso della letteratura bucolica ha un'importanza rilevante per lo sviluppo della letteratura nazionale.



2. Prosa rinascimentale


Il romanzo pastorale del Sannazzaro costituisce il modello fondamentale per la prosa europea di genere bucolico, spesso costituita da un nucleo narrativo accompagnato da parti liriche. In Spagna Jorge Montemayor (1520-1561), di origine portoghese, imitatore, oltre che del Sannazzaro, dei poeti spagnoli Garcilaso e Ribeira, influenzato dal Petrarca e dalla poesia popolare, scrive Los siete libros de la Diana: narrazioni in prosa di amori di pastori e ninfe con inserti lirici, intorno ad una novella bucolica, Félix y Felismena, presa dal Bandello (II 36). L’opera ebbe un enorme successo e molte imitazioni e continuazioni; fu tradotta in latino e in diverse lingue d’Europa.

In Francia l’influenza del Montemayor fu sentita Poussinsoprattutto da Honoré d’Urfé (1567-1625), autore, oltre che di liriche pastorali, del lungo romanzo Astrée. L’argomento è l’amore contrastato fra la capricciosa Astrea e il sognatore Celadon: il tema amoroso si unisce ad una idealizzazione della natura e a un sentimentalismo quasi preromantico. Molto apprezzato all’epoca da Madame de Sevigné e La Fontaine, avrà in seguito l’approvazione di Rousseau e un successo europeo, comprese traduzioni tedesche.

Nel 1579 il fratello di Mary Sidney, Philip, già autore di sonetti di derivazione petrarchesca, inizia la composizione del romanzo Arcadia. L’opera, che unisce motivi pastorali e i temi di amore e peripezie tipici  del romanzo ellenistico, ebbe due diverse redazioni e fu pubblicata postuma, fondendo la seconda redazione incompleta con parti della prima, fra il 1590 e il 1593. Ebbe un grande successo nel mondo dei letterati inglesi, da Spenser a Shakespeare (che vi si ispirò per un episodio del Re Lear) a Richardson che ne utilizzò il nome di nuovo conio del personaggio Pamela.

Thomas Lodge (1558-1625 ca.) scrive Rosalynde, rielaborando una leggenda medioevale trasferita in ambiente bucolico. L’opera costituirà il modello della shakespeariana As you like it.



3. Settecento e Ottocento


La poesia della natura è fortemente sentita sia negli autori influenzati dal fenomeno dell’Arcadia, sia dall’Illuminismo con l’idealizzazione dell’innocenza primigenia, sia dal Neoclassicismo sia dal primo Romanticismo. 

Pastorale è la produzione giovanile di Alexander Pope (1688-1744):  le sue Pastorals, iniziate a sedici anni e pubblicate nel 1709, ebbero un grande successo e rivelarono la sua già matura abilità di versificatore, nonostante la scarsa originalità; nello stesso periodo  compose il Messia, ispirato alla IV ecloga di Virgilio. Probabilmente proprio il successo di pubblico di opere  sostanzialmente di maniera provocarono la reazione negativa di Samuel Johson: nel suo racconto satirico The history of Rasselas prince of Abyssinia troviamo una rappresentazione parodistica della vita bucolica, uno dei generi di vita che i protagonisti, fuggiti da una sorta di prigione dorata in cui erano cresciuti,  osservano per poter scegliere il genere migliore. E' interessante rilevare come il tema bucolico sia già divenuto oggetto di parodia: va peraltro notato come tutti i generi di vita osservati risultano insoddisfacenti, in quanto l'opera, come il Candide di Voltaire nello stesso periodo, ha un'impostazione fortemente pessimistica.
William Jones, noto soprattutto come linguista per essere stato uno dei pionieri degli studi indoeuropeistici, compose uno scherzoso poemetto a rime baciate dedicato al gioco degli scacchi, intitolato Caissa or The game of Chess. Sono invocate le Muse, definite sportive maids, e la dea Venere perché assistano il canto. L’ambientazione è un locus amoenus (Near yon cool stream, whose living waters play, / And rise translucent in the solar ray; / Beneath the covert of a fragrant bower, / Where spring's nymphs reclin'd in calm retreat, / And envying blossoms crouded round their seat), I personaggi hanno nomi pastorali, Agatis, Thyrsis, Sylvia, Daphnis: due in particolare, Delia e Sirena, si sfidano in una gara. L’innamorato Daphnis prepara la scacchiera e con movenze epiche (Say, muse! (for Jove has nought from thee conceal'd)) sono spiegati i vari pezzi e i loro movimenti. Poi Daphnis racconta il mito eziologico: una driade, Caissa, respinge l’amore di Marte; una gentile naiade suggerisce a Marte di regalarle un nuovo gioco ispirato alla guerra e lo manda dal figlio di Venere, fratello di Amore, By gods nam'd Euphron, and by mortals Sport. Il dio inventa il gioco, gli dà il nome della driade (Whence Albion's sons, who most its praise confess,/ Approv'd the play, and nam'd it thoughtful Chess.) e lo consegna a Marte che lo porta travestito da fauno all’amata. Affascinata dal dono la driade accetta finalmente l’amore del dio. Finito il racconto,  Delia e Sirena iniziano la partita, che si prolunga con toni epici, similitudini e riferimenti virgiliani (Hail, happy youths! their glories not unsung / Shall live eternal on the poet's tongue) e termina con l’aiuto di Daphnis (Leggi la Nota).

Nell’ambito degli scrittori di lingua tedesca nasce il Bund di Gottinga, un circolo di poeti che predica la semplicità e il sentimento della natura. A questi fa riferimento lo zurighese Salomon Gessner (1730-1788), lettore di Virgilio e, in traduzione, di Teocrito e Longo Sofista. Oltre a un poemetto Dafni, ispirato al romanzo di Longo, a due drammi pastorali e al poema Morte di Abele (notiamo nuovamente l’influenza biblica sulla letteratura pastorale, accanto a quella classica), Gessner è particolarmente famoso per 50 Idilli in prosa. Nella prefazione afferma di imitare Teocrito, che considera il migliore del genere bucolico; ma la sua concezione della poesia pastorale è assai lontana dal realismo teocriteo, risente piuttosto della idealizzazione della vita campestre tipica delle Georgiche, del tema virgiliano dell’età dell’oro e del moralismo di Longo. Del resto non ha evidentemente idea della civiltà ellenistica: "Teocrito ha avuto la difficile arte di mettere nei suoi versi quella simpatica negligenza che ha dovuto caratterizzare la prima infanzia della poesia... Bisogna convenire che la semplicità dei costumi un po’ meno corrotti del secolo in cui visse, e il pregio in cui era tenuta l’agricoltura, facilitarono molto l’arte di lui". Il tema dell’amore è comunque sempre presente, un amore lieto e corrisposto, tanto da capovolgere nella conclusione i modelli (Milone; così pure il canto amebeo (Lica e Milone, Damone e Fillide) e il gusto per la descrizione, in cui si risolve, curiosamente, anche l’imitazione della VI ecloga (La brocca rotta); ma accanto a questi temi troviamo il rispetto per i vecchi (Mirtillo, Titiro e Menalca) e la cortesia premiata (Aminta, quasi una fiaba).

Al Bund di Gottinga si riferisce anche Johann Heinrich Voss (1751-1826), filologo, traduttore di Omero (la sua traduzione dell’Odissea resta la fondamentale versione tedesca) e di poeti latini. Compone 20 Idilli in esametri di cui due in dialetto. In essi evoca figure, luoghi, scene popolari della campagna tedesca, ricercando un linguaggio realistico e rifiutando il sentimentalismo romantico. Tre idilli costituiscono insieme una sorta di poemetto, Luise, che descrive il matrimonio campestre di una ragazza figlia di un parroco di villaggio.

Paolo e Virginia

L’opera ispirò a Goethe il poemetto classicheggiante Hermann und Dorothea.

In Francia Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814), amico di Rousseau e D’Alembert, si fa divulgatore delle utopie naturistico-umanitarie, del mito di una innocenza areligiosa corrotta della civiltà e dalla società. Il suo romanzo Paul et Virginie, concepito come un Idillio in prosa, risente dell’esotismo avventuroso alla Defoe (i protagonisti sono naufraghi come Robinson), ma soprattutto del moralismo del romanzo di Longo Sofista (forse anche del Cacciatore di Dione Crisostomo?). La fine tragica (Virginie, costretta a tornare alla civiltà, muore e Paul resta solo) porta alle estreme conseguenze il contrasto città/campagna già presente nel modello.

In prosa sono anche i romanzi di George Sand, pseudonimo maschile di Amandine-Aurore-Lucie Dupin (1804-1876), ambientati nella campagna vista come luogo di innocenza e pace. Nella prefazione de La petite Fadette, scritta nel 1848, esprime la sua concezione del compito dello scrittore, che deve diffondere pace con le sue opere senza predicare, ma semplicemente raccontando la natura e gli affetti.

L’influenza del Gessner e dell’idillio sentimentale francese si fece sentire anche nella poesia polacca della natura. Ma nel setteottocento l’elemento dominante della letteratura polacca è l’amore per la propria patria: per questo è ancora Virgilio, soprattutto con le ecloghe I, IX e IV, a fare fondamentalmente da modello. L’autore più rilevante è il romantico Zygmunt Krasinski (1812-1859), che scrive il poema Przedswit (La prealba) dandogli come motto i versi virgiliani Ultima Cumaei venit iam carminis aetas: | magnus ab integro saeclorum nascitur ordo. In esso afferma la sua fiducia nella rinascita della Polonia, a cui è affidata una missione salvifica nella storia.

4. Evoluzione della letteratura pastorale a fine secolo XIX


segantiniIl romanzo pastorale in prosa di George Sand ha molti epigoni nel secondo ottocento francese, ma il messaggio etico ed estetico della scrittrice viene presto abbandonato. Ricordiamo Ferdinand Fabre (1827-1898) che colloca nelle native Cevenne personaggi ora tratti da Teocrito e Longo, ora più realisticamente dai ricordi della propria infanzia (Julien Savignac, Le chevrier), creando un bizzarro linguaggio arcaizzante; e Léon Cladel (1835-1892) che a Parigi sogna una vita di campagna nostalgicamente ricreata, ed elabora una commistione di pastorale ed epopea (Ompdrailles, Bouscassié). Il tramonto del genere, dovuto al progresso industriale e tecnico, è sancito da Theuriet in un passo de La vie rustique: "Quando, al cadere della notte, passeggio per la campagna e, nell’oscurità crescente, vedo fiammeggiare le ciminiere delle fabbriche e sento, sotto le ruote delle locomotive che fuggono, rosse e ansimanti nelle tenebre, il suolo tremare, mi sembra che un sospiro profondo sorga dalla terra e una voce melanconica mormori intorno a me: la vita rustica è finita" (la traduzione è ripresa da AA. VV., Storia della letteratura francese, Garzanti 1985).
Spetta a Stéphane Mallarmé (1842-1899) la rivisitazione della letteratura pastorale. Il progetto iniziale di una breve opera teatrale, secondo il gusto allora diffuso delle performances per un solo attore, viene abbandonato quando la prima stesura dell’opera, Monologue d’un Faune, dotata anche di didascalie per la scena, viene giudicata non adatta al pubblico; una seconda stesura, Improvisation d’un Faune, venne rifiutata dall’autore; l’opera definitiva, Après-midi d’un Faune esce nel 1876, dopo più di dieci anni di rimaneggiamenti, in un’edizione illustrata da Manet, con cui l’autore condivide il gusto impressionistico. Così H. P. Lund spiega il Faune: "Il fauno, incapace di stabilire relazioni ideali con le ninfe amate, costretto a dividere la donna tra erotismo e misticismo (come sempre, del resto, in Mallarmé), si rifugia nell’Arte; suonando il flauto, ricompone il ricordo confuso dell’incontro con le donne, e attraverso quest’Arte giunge a "leggere" la natura come un testo che comprende al suo interno ninfe-segni." (stessa fonte già citata). Da notare (più di quanto la critica faccia abitualmente) il fatto che la tradizione pastorale teocritea è ancora presente nell’atmosfera di sogno dell’ecloga: l’ambientazione è siciliana (O bordssiciliens d’un calme marecage... Etna!), il gusto della natura ha echi da locus amoenus, e la certezza di poter avere altre donne al posto delle due ninfe richiama alla lontana il Ciclope teocriteo. 


5. Novecento e oltre

Il nuovo secolo si apre con il romanzo dello scrittore francese André Gide La symphonie pastorale (1919). Ha la forma del diario: un pastore protestante ha raccolto un’orfanella cieca contro la volontà della moglie e se ne è preso cura, insegnandole soprattutto la bellezza della realtà esterna a lei preclusa. Il momento fondamentale di questa educazione è l’ascolto della sesta sinfonia di Beethoven, che avvicina la ragazza alla natura e le permette di godere della campagna in cui si reca col suo accompagnatore e di cui immagina vividamente ogni aspetto bello: un locus amoenus invisibile ma ricco di suoni e profumi. Nel mondo di pura bellezza della natura anche l’amore che sorge fra i due sembra innocente: e l’uomo, che vede nel Nuovo Testamento un messaggio d’amore di Cristo e rifiuta l’idea di peccato come un’aggiunta di S.Paolo enfatizzata dai cattolici, accetta la positività di questo amore.
gideQuando la ragazza in seguito ad un’operazione recupera la vista e allo stesso tempo si converte al cattolicesimo, la sua visione idilliaca entra in crisi: la realtà comprende la bruttezza (il volto dell’anziano amante è diverso da quello immaginato da lei, che si scopre innamorata del figlio), il dolore arrecato agli altri e il peccato. Tenta quindi il suicidio e muore in seguito alle conseguenze del suo gesto. Il romanzo è considerato per lo più come l’espressione del contrasto fra il protestantesimo in cui Gide era cresciuto e il cattolicesimo della famiglia materna, ma rivela soprattutto la nostalgia di un mondo pagano idealizzato e perduto.
Dal romanzo è stato tratto nel 1946
un film,  con la regia di Jean Delannoy: la parte della protagonista fu recitata dall'attrice francese Michèle Morgan, che per questa interpretazione ottenne al Festival dio Cannes di quell'anno il premio per la migliore interpretazione femminile.

Nel 1935 esce Hirtennovelle (tr. it. Novella pastorale) di Ernst Wiechert (1887-1950). L’autore, figlio di un guardaboschi e legato al tema della natura nella maggior parte delle sue opere in poesia e prosa, racconta la breve vita di Michele, che da piccolo ha assistito alla morte del padre travolto da un albero e ne ha vegliato e protetto a lungo il cadavere. Il paese si prende cura dell’orfano e gli affida dapprima le oche poi, con una cerimonia quasi solenne, l’intero gregge ed armento della comunità. Michele esegue il suo incarico con ogni cura, superando anche la delusione di vedersi abbandonato dai compagni di giochi ed avventure ormai presi da un’adolescenza di studi e vita mondana. Gli restano amici il compagno più fragile e l’anziano maestro che, ormai pensionato, condivide con lui la passione per la natura. L’incontro con una ragazza sconvolge il giovane ignaro del male, che ne esce però in modo positivo. Quando i prodromi della guerra portano i primi invasori, Michele resta indietro nella fuga per salvare un agnellino e viene ucciso.
La semplice vicenda è continuamente percorsa da temi biblici: il ragazzo che difende con la fionda il gregge da un rivale è paragonato a Davide, il binomio re/pastore è più volte ripreso, mentre il discorso funebre pronunciato dal vecchio maestro richiama l’immagine del Buon Pastore: Era caduto per l’agnello del povero di cui sta scritto nella Bibbia…a nessun pastore di questo mondo poteva toccare sorte maggiore che quella di morire per il più povero capo del proprio gregge. Se la natura in tutte le sue manifestazioni è innocente, e lo spirito pagano (come quello che anima la ragazza tentatrice) non è né buono né cattivo in sé, Dio però chiede di trasformarlo in un più alto spirito per i tempi a venire, come spiega il maestro al ragazzo turbato.

Miklós Radnóti è un poeta ungherese dalla vita breve e drammatica: nato a Budapest nel 1909, ebreo convertito al cattolicesimo, ma ugualmente deportato in diversi campi di concentramento, fu infine ucciso nel 1944 ad Abda, sul confine con l’Austria, dai suoi stessi compatrioti. Appassionato studioso (anche traduttore) di grandi poeti, soprattutto francesi come Villon, Ronsard, Verlaine, e spagnoli come García Lorca, considera compito della poesia quello dell’antico Orfeo [1]: attrarre la natura, far piangere le ninfe, trascinare il lettore con sé, anche nell’aldilà. Fra le sue opere [2] troviamo cinque egloghe scritte in ordine sparso,  prima, seconda, quarta, settima e ottava, e la poesia Vola la Primavera – preludio alle egloghe (1942), in cui il tradizionale rifiorire della primavera è visto come inutile, non corrisposto:

 

Vola la primavera, sciolti i capelli, ma l’angelo dell’antica

libertà più non vola con lei, dorme nel fondo, giace

congelato nel fango giallo, inerte fra inerti radici,

non vede  più luce laggiù, né l’esercito di piccole foglie verdi

arricciate sopra i polloni, inutilmente. Niente lo sveglia.(tr. P. Varvesi).

 

La numerazione sparsa delle cinque egloghe sembrerebbe un riferimento alle corrispondenti bucoliche virgiliane, ma il rapporto non è sempre chiaro: in tutte il tema di fondo è il compito del poeta. La prima ha come didascalia i versi 505/6 del primo libro delle Georgiche, in cui Virgilio lamenta il sovvertimento portato dalle guerre civili:

 

quippe ubi fas versum atque nefas: tot bella per orbem,

tam multae scelerum facies.

 

In un dialogo fra un pastore e il poeta si contrappone l’arrivo della primavera alla guerra che uccide anche i poeti come Lorca o al mondo che ha portato al suicidio il poeta Jószef. Il pastore si chiede quale sia ancora il posto di un poeta, se ha ancora ascolto:  

 

Poeta:

Comunque scrivo, e vivo in mezzo al mondo malato come vive

lì quel tronco; sa che sarà sradicato, ha già la croce bianca che

segnala domani al tagliaboschi dove estirpare – e

in attesa butta nuove gemme.

 

Gli ultimi versi sono un chiaro richiamo all’ecloga virgiliana: l’invidia per la quiete, il sopravvenire della sera:

 

Poeta:

Beato te, qui c’è quiete; qui è raro il lupo,

e spesso dimentichi che il gregge non è tuo

perché è mesi che il padrone non ti fa visita.

Ti benedica il cielo, la vecchia sera mi cadrà addosso prima che arrivi a casa,

la farfalla del crepuscolo già svolazza frullando l’argento delle ali.

 

La quarta è un dialogo fra il poeta e una Voce, che ripercorrono la vita dalla nascita fino a quel momento. Il poeta sogna un cambiamento:

 

e rinascere di nuovo in un mondo nuovo,

quando acceca con vapori d’oro

la luce del sole che sorge a nuove albe.

 

Ma l’esile desiderio di palingenesi (non vi è a caso la parola arany, “oro”, che richiama l’età aurea virgiliana) è subito sommerso dal presagio di un mutamento in peggio, una morte che sta maturando: glielo conferma la Voce, esortandolo però a continuare il suo compito: e che tu scriva sul cielo, se tutto è spezzato!

Nelle altre tre il legame con i testi latini non è, si diceva, chiaro. La seconda è una dialogo fra il poeta e un aviatore, che ama volare ma è costretto ora solo a distruggere; al poeta chiede di essergli testimone:

 

anch’io ho vissuto da essere umano, io che ora distruggo soltanto,

tra cielo e terra senza patria. Ma, ahimè, chi lo capisce…

Scrivi di me?

 

Il poeta accetta il compito: Se vivo. E se ci sarà ancora per chi.

La settima e l’ottava furono composte nel Lager e fanno  parte dei testi trovati sul cadavere di Radnóti quando venne esumato. La settima è dedicata alla moglie Fanni, cui racconta la vita nel Lager, in un mondo cosmopolita di comuni attese e timori. In esso il poeta si ostina a scrivere:

 

Dimmi, laggiù c’è una casa dove ancora qualcuno intende l’esametro?

Senza strumenti, riga dopo riga, tastando,

scrivo i miei versi nella penombra così come vivo, cieco

come un bruco che striscia le sue dieci dita sulla carta.

 

Nell’ottava il poeta dialoga con un profeta d’Israele, che si richiama alla grande tradizione veterotestamentaria e invita il poeta a unirsi a lui:

 

L’ira apparenta poeti e profeti, è nutrimento per il popolo,

è bevanda! Potrebbe viverne chi vuole finché arriva

il paese promesso da quel giovane allievo rabbino,

che ha obbedito alla Legge e alle nostre parole.

Vieni con me ad annunciare che si sta avvicinando l’ora,

già sta per nascere il paese. Mi chiedo: qual è lo scopo

del Signore? Guarda, è quello il paese. Mettiamoci in cammino, vieni,

uniamo il popolo, porta tua moglie e comincia a tagliare i bastoni.

Il bastone è un buon compagno per l’errante, guarda,

dammi quello, che sia il mio, perché lo preferisco se è nodoso.

 

Seamus  Heaney, nato in Irlanda nel 1939 e residente a Dublino, poeta in lingua inglese, ha avuto nel 1995 il premio Nobel per la letteratura. Nel 2011 l’Accademia Nazionale Virgiliana  gli ha conferito il Premio Internazionale Virgilio, con una motivazione in cui fra l’altro si legge: Tra gli auctores antichi e moderni che sostanziano l’opera di Seamus Heaney, grande poeta doctus, Virgilio emerge per la sua viva e costante presenza non solo nelle forme consuete della allusione, della citazione, anche della traduzione, ma perfino con la concreta evocazione dell’antico poeta in figura di maestro: con lui, nella memorabile Bann Valley Eclogue, il discepolo irlandese si mette direttamente in dialogo[3]. Il poeta spiegò nel discorso di accettazione del premio il suo rapporto con Virgilio, dai ricordi scolastici, la lettura dell’episodio di Eurialo e Niso,  alla traduzione della nona ecloga, in particolare l’amara frase di Menalca sul ruolo del poeta in una società in guerra (carmina tantum / nostra valent, Lycida, tela inter Martia, quantum / Chaonias dicunt aquila veniente columbas, vv. 11-13), alle dodici poesie di Route 110 riferite a episodi del sesto libro dell’Eneide, all’interesse per le Georgiche tradotte dall’amico poeta Peter Fallon.

Della Bann Valley Eclogue, ispirata alla quarta ecloga e composta per celebrare il nuovo millennio, esistono due redazioni, una del 1999 e una rivista e pubblicata nel 2001[4]. La prima, più ampia (undici strofe),  è un dialogo fra il Poeta, che si identifica con giovani studiosi ancora alle prime armi, e Virgilio, il maestro, dal passato di giovane poeta cacciato dai campi paterni. Virgilio invita a trovare posto nel nuovo canto per le parole-chiave della sua ecloga, carmen, ordo, nascitur, saeculum, gens, ferrea, aetas, scelus, Lucina: il Poeta ripete il nome della dea e la parola saeculum quasi come una lezione linguistica, segno di una discepolanza che il ricordo della giovinezza del maestro trasforma in un più forte legame. Nella sesta strofa Virgilio preannuncia una grande purificazione dalla colpa comune (le lotte civili in Irlanda) legate alla nascita attesa di una bimba, la nipotina del poeta:

 

When  the waters break

Bann’s stream will overflow, the old markings

will avail no more to keep east bank from west.

The valley will be washed like the new baby.

 

Le ultime strofe riecheggiano in gran parte l’ecloga virgiliana, fino alla richiesta alla bimba di sorridere alla madre e al mondo, quasi divenendo la Musa invocata nel primo verso:

 

We know, little one, you have to start with a cry

but smile soon too, a big one for your mother.

Unsmiling life has had it in for people

for far too long. But now you have it in you

not to be wrong-footed but to first-foot us

and, muse of the valley, give us a song worth singing. 

 

La redazione del 2001, quella definitiva, è molto più breve e in parte modificata. Le strofe sono solo sette, la seconda termina già con l’annuncio della palingenesi legata alla nascita della bambina ed è seguita dall’originaria sesta, con l’abolizione quindi del più stretto rapporto di discepolanza e somiglianza esperienziale fra il Poeta e Virgilio; nella parte terminale è abolita l’ultima strofa, quella riportata più sopra. Bernardi Perini  ritiene che il poeta latino, dopo l’esaltazione della profezia, tema il pianto del nascituro quasi non confermasse la sua speranza: l’irlandese, invece, che in questa ultima strofa aveva condiviso l’atroce dubbio di Virgilio, col passare di qualche anno vede consolidata nei fatti la fine della lotta fratricida, e cancella ogni traccia di un’angoscia ormai superata.

Lo scrittore americano Philip Roth (1933-2018) scrive nel 1997 il romanzo American Pastoral, incentrato sulla figura di Seymour Levov, detto Swede per l’inusuale biondo dei capelli: all’interno della comunità ebraica di Newark Swede emerge per i suoi successi sportivi, costituendo una sorta di modello e di riscatto per tutto un popolo dalla vita difficile. Ma la storia di Swede, che percorre buona parte del ‘900 ed è coinvolta in diverse vicende del secolo (Vietnam, Watergate, proteste giovanili) finisce per smentire il sogno positivo che sembrava rappresentare.
Il titolo indica un approccio idilliaco e quindi falso alla realtà: più che riferirsi al rapporto con la natura, è legato ad una visione edenica destinata a fallire, come dimostrano i titoli delle tre parti:
Paradise remembered, The Fall, Paradise lost.
Dal romanzo è stato tratto nel 2016 un film, con la regia di Ewan McGregor, che interpreta anche la parte del protagonista. (Clicca qui per il trailer ufficiale).




[1] Nella prefazione dell’antologia di poeti da lui curata, Sulle tracce di Orfeo.

[2] La più recente raccolta in italiano col testo a fronte è quella curata da Edith Bruck, Mi capirebbero le scimmie, Donzelli editore, Roma 2009. Dove non altrimenti indicato la traduzione  è della curatrice.

[3] Mantova, 15 ottobre 2011. La citazione, come ogni altro riferimento, è tratta  da Seamus Heaney, Virgilio nella Bann Valley, a cura di G. Bernardi Perini e C. Prezzavento, Tre Lune Edizioni, Mantova 2013.

[4] Le due redazioni sono state tradotte e  analizzate da Bernardi Perini, op. cit., pagg. 39-67.

 

Nella figura: 1. Immagine della I Ecloga virgiliana, col dialogo fra i due pastori Titiro e Melibeo, in un manoscritto fiammingo del sec. XV; 2. N. Poussin (ca. 1594-1665), Pastori dell'Arcadia (Parigi, Museo del Louvre); 3. Un'illustrazione approntata da Proud'hon (1758-1823) per  una preziosa edizione del romanzo di Longo, Le avventure di Dafni e Cloe, pubblicata a Parigi nel 1802: pur nello spirito neoclassico che anima il disegno, è evidente che la vicenda dei due pastori è stata filtrata e rivisitata attraverso il romanzo di Bernardin de Saint-Pierre; 3. G. Segantini, Il reddito del pastore (ca. 1888), olio su tela, cm. 80 x 60, Kunstmuseum, Den Haag; 4. Poster originale del film tratto dal romanzo Symphonie Pastorale di Gide (1946); 5. P. Gauguin, Pastorale tahitiana, 1892, San Pietroburgo, Museo dell'Hermitage.


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