Traduzioni e imitazioni da Saffo, fr. 31 V
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Il fr. 31 V. di Saffo.

Il materiale che presentiamo è suddiviso in tre parti:

Saffo (Roma, Musei Capitolini)1. Il testo del brano, con le parole introduttive dell’anonimo autore Del Sublime; che ci sembrano, pur nella loro semplicità, la più acuta presentazione critica del frammento stesso, in quanto colgono i tratti più caratteristici di esso: il suo provenire da un’esperienza personale vissuta, la bellezza del linguaggio consistente non in un’enfasi retorica, bensì nella semplice (diremmo quasi spoglia) descrizione dei particolari salienti del tormento amoroso, potentemente scelti e collegati. Il testo del brano, giunto a noi in condizioni disperate, è stato riprodotto sulla base delle più recenti edizioni critiche (quella di Saffo e Alceo della Voigt e i Poëtarum Lesbiorum Fragmenta curati da Lobel e Page), che sono però ben lungi dall’essere soddisfacenti, soprattutto per un certo diffuso atteggiamento di ipercritica diffidenza nei confronti del testo tràdito; abbiamo segnato a margine alcuni tentativi di emendazione o di sistemazione operati dai moderni: riteniamo che sia importante anche dal punto di vista didattico mettere gli allievi in condizione di percepire l’intensità di lavorio critico a cui i testi dell’antichità devono essere sottoposti e la precarietà di molte letture. Al v. 16 l’integrazione che colma la lacuna della seconda metà del verso è stata resa possibile dal rinvenimento di un papiro contenente un commento a questo brano (Papiri della Società Italiana, ed. Bartoletti). La piccola lacuna aveva indotto i critici precedenti a svariate integrazioni, spesso fantasiose: di alcune di queste si troverà traccia nelle traduzioni italiane meno recenti.

2. L’imitazione di Catullo (c. 51): per comodità di lettura abbiamo inserito direttamente nel testo al v. 8 l’integrazione del Doering che colma la lacuna dei codici: esigenze di rigore critico avrebbero imposto di segnare solamente la lacuna; ci è sembrato che l’accettazione di un’integrazione congetturale (peraltro persuasiva) rendesse più semplice una lettura continuativa del brano. Abbiamo segnato anche i vv. 13-16, che pure fanno a sé, non potendo essere facilmente inquadrati nel carme stesso.

3. Alcune traduzioni italiane antiche e moderne.


 

Anonym. de sublimitate 10, 1

οἷον Σαπφὼ τὰ συμβαίνοντα ταῖς ἐρωτικαῖς μανίαις παθήματα ἐκ τῶν παρεπομένων καὶ ἐκ τῆς ἀληθείας αὐτῆς ἑκάστοτε λαμβάνει. ποῦ δὲ τὴν ἀρετὴν ἀποδείκνυται; ὅτι τὰ ἄκρα αὐτῶν καὶ ὑπερτεταμένα δεινὴ καὶ ἐκλέξαι καὶ εἰς ἄλληλα συνδῆσαι·


Sapph., fr 31 V = 31 LP = 2 D

φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔμμεν' ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι

ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-
    σας
ὐπακούει
καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ' μὰν                                                               τό μοι μὰν
καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς γὰρ <ἔς> σ' ἴδω βρόχε' ὤς με φώναισ'                                                  ὠς σε γὰρ ἴδω             φώνας
   
οὐδ' ἒν ἔτ' εἴκει,
ἀλλ' †κὰμ μὲν γλῶσσαἔαγε λέπτον                                                         ἄκαν
δ' αὔτικα χρῶι πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν,
ὀππάτεσσι δ' οὐδὲν ὄρημμ', ἐπιρρόμ-                                                        οὐδ' ἒν                ἐπιβρόμεισι
    βεισι
δ' ἄκουαι,
έκαδε μ' ἴδρως [ψῦχρος] κακχέεται τρόμος δὲ                                        κὰδ δέ μ' ἴδρως
παῖσαν ἄγρει, χλωροτέρα δὲ ποίας
ἔμμι, τεθνάκην δ' ὀλίγω 'πιδεύης
    φαίνομ' ἔμ' αὔται·
ἀλλὰ πὰν τόλματον ἐπεὶκαὶ πένητα

 

Catullo 51

Ille mi par esse deo videtur,

Ille, si fas est, superare divos,

qui sedens adversus identidem te

spectat et audit

 

dulce ridentem, misero quod omnis

eripit sensus mihi: nam simul te,

Lesbia, aspexi, nihil est super mi

<vocis in ore>.

 

Lingua sed torpet, tenuis sub artus

fiamma demanat, sonitu suopte

tintinant aures, gemina teguntur

lumina nocte.

 

Otium, Catulle, tibi molestum est,

otio exultas nimiumque gestis;

otium et reges prius et beatas

perdidit urbes.

 

Traduzioni italiane

1. Giovanni Andrea dell’Anguillara (1572)

 

Parmi quell’huomo eguale essere à i Dei,

qual diritto à te siede,

E dolce ragionar ti sente, e vede

Rider soavemente.

Questo à me il cor nel petto batte, e fiede:

Perché mentre mi sei

Opposta, si che con questi occhi miei

Ti vegga immantinete,

Non ho à voce formar virtù possente;

Ma impedita la lingua muta viene,

E sottil fuoco presto

Passami per le vene.

Perdon l’ufficio gli occhi di mirare,

L’orecchie d’ascoltare.

Gelo è il sudor, tutta tremante resto.

Più c’herba secca di pallor dipinta,

Priva di spirto, assembro quasi estinta.

 

 

2. De’ Rogati (1782)

 

Contento al par de’ Numi                                    

Parmi colui, che siede

Incontro a’ tuoi bei lumi

Felice spettator;

 

Che sparse le tue gote

Talor d’un riso vede,

Ch’ode le dolci note

Del labbro tuo talor.

 

Al riso, a’ detti usati

Il cor, che s’innamora,

Fra i spiriti agitati

Non osa palpitar.

 

Veggo il tuo vago aspetto

E alle mie fauci allora

Non somministra il petto

Voce per favellar.

 

Tenta la lingua invano

D’articolar parola,

Corre un ardore insano

Di vena in vena al cor.

 

Un denso velo il giorno

Alle mie luci invola;

Odo confuso intorno,

Ma non so qual rumor.

 

Largo sudor m’inonda,

Spesso tremor m’assale,

Al par d’arida fronda

Comincio a impallidir,

 

Sì nelle membra fredde

Langue il calor vitale,

Che a me vicin rassembra

L’istante del morir

 

3. Ugo Foscolo (1790)

Colui mi sembra agli alti Dei simile

Che teco siede, e sì soavemente

Cantar t’ascolta, e in atto sì gentile

Dolce ridente.

 

Com’io ti veggio, palpitar mi sento

Nel petto il core, in quel beato istante

Non vien più suono d’amoroso accento

Sul labbro ansante.

 

Muta s’intrica la mia lingua: accensa

Scorre ogni vena, ronza tintinnio

Dentro gli orecchi; notte alta s’addensa

Sul guardo mio.

 

Sudor di gelo le mie guance inonda.

Fremito assale e abbrivida ogni membro,

E senza spirti, pallida qual fronda

Morta rassembro.

 

 

3 bis. Ugo Foscolo (1821)

(1821)

Quei parmi in cielo fra gli Dei, se accanto

Ti siede, e vede il tuo bel riso, e sente

I dolci detti e l’amoroso canto! -

A me repente

 

Con più tumulto il core urta nel petto:

More la voce, mentre ch’io ti miro,

Sulla mia lingua: nelle fauci stretto

Geme il sospiro.

 

Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo:

Un indistinto tintinnio m’ingombra

Gli orecchi, e sogno: mi s’innalza al guardo

Torbida l’ombra.

 

E tutta molle d’un sudor di gelo,

E smorta i viso come erba che langue,

Tremo e fremo di brividi, ed anelo

Tacita, esangue.

 

 

4. Paolo Costa (1823)

 

Gli dei per fermo agguaglia, anzi si gode

Gaudio più che divin quei che sedente

Al tuo cospetto te rimira ed ode

Dolce ridente.

 

Che se l’alta ventura unqua mi tocca

D’esserti appresso, o mio soave amore,

Non io ti guardo ancor, che sulla bocca

La voce muore.

 

Fassi inerte la lingua, il pensier tardo,

Un sottil fuoco va di vena in vena,

Fischian gli orecchi, mi s’appanna il guardo

E veggo appena.

 

Un gelido sudor tutta m’inonda,

Mi trema il cor, rabbrivida ogni membro,

Mancami il fiato, e pallida qual fronda,

Morta rassembro.

 

 

5. Felice Cavallotti

 

Pari agli Iddii sembrami l’uom che a fronte

Siedati, e ’l guardo entro lo sguardo fiso,

Dolce parlar t’oda vicin, soave-

mente ridendo.

 

Ecco a me in seno violento batte,

Battemi ’l core, e ’n rimirarti a pena

Stretta la voce entro le fauci muore,

Torpe la lingua.

 

Foco leggier sotto la pelle serpe

Ratto, ed un velo a le pupille scende;

Non vedo più: confusamente ronza

Fischio a l’orecchie.

 

Freddo sudor largo mi scorre; e tremo

Tutta; e più d’erba arida, smorta sono;

Ed a morir quasi vicina, parmi

Manchi lo spiro.

 

 

6. Giovanni Pascoli

 

A me pare simile a Dio quell’uomo,

quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso

tutto in te, da presso t’ascolta, dolce-

mente parlare,

 

e d’amore ridere un riso, e questo

fa tremare a me dentro al petto il core;

ch’ai vederti subito a me di voce

filo non viene,

 

e la lingua mi s’è spezzata, un fuoco

per la pelle via ch’è sottile è corso,

già non hanno vista più gli occhi, romba

fanno gli orecchi

 

e il sudore sgocciola, e tutta sono

da temore presa, e più verde sono

d’erba, e poco già dal morir lontana,

simile a folle.

 

7. Manara Valgimigli

 

Beato è, come un dio,

chi davanti ti siede e ti ode,

e tu dici dolci parole e dolcemente sorridi.

 

Subito mi sobbalza, appena

ti guardo, dentro nel petto il cuore,

e voce più non mi viene e mi si spezza

la lingua, e una fiamma sottile

 

mi corre sotto la pelle,

con gli occhi più niente vedo,

romba mi fanno

gli orecchi, sudore mi bagna

 

e tremore tutta mi prende,

e più verde dell’erba divento

e quasi mi sento,

o Agallide, vicina a morire.

 

 

8. Salvatore Quasimodo

 

Come uno degli Dei, felice

chi a te vicino così dolce

suono ascolta mentre tu parli

e ridi amorosa. Subito a me

il cuore in petto s’agita sgomento

solo che appena ti veda, e la voce

si perde sulla lingua inerte.

Rapido fuoco affiora alle mie membra,

e ho buio negli occhi e il rombo

del sangue alle orecchie.

E tutta in sudore e tremante

come erba patita scoloro:

e morte non pare lontana

a me rapita di mente.

 

9. V. Di Benedetto (1987)

 

Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli

e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramennte mi ha turbato il cuore el petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,

ma la lingua mi si spezza e sùbito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie

e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa.

Ma tutto si può sopportare, poiché ...

 

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