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Alcune traduzioni

del Primo stasimo

dell'Antigone di Sofocle

 

 

 

Luigi Alamanni (Firenze, 1495-1556)

 

Tra quanti altri ammali

Creò natura mai sotto alcun clima,

Nessun (se ben s’estima)

Si truova più dell’uom nojoso, e rio:

Questo, del suo natio

Terren non ben contento, ardito varca

II mar con fragil barca,

Cercando a se perigli, ad altrui mali:

Alla terra immortali

Fatiche porge, e crudelmente in prima

Coll’aratro e co i buoi la riga, e fende.

Poi la rivolge, e stende

Con dura zappa, e adegua ogni alta cima;

E cosi d’anno in anno avaro viene

A darle pene alle passate uguali.

 

Questo a’ volanti augelli

Pon mille insidie ogni or con visco e ragne,

Sì ch’in boschi o in campagne

Non giova al loro scampo aprir ben l’ale.

Al fer leon non vale

L’artiglio e ‘1 dente contro uman disegno,

Ch’or laccio, or nuovo ingegno

Rìtien que’ più selvaggi e più rebelli;

Benché correnti e snelli,

Fuggir non sanno i cervi; e spesso pìagne

La leggier damma negli ascosi inganni.

Schivar non ponno i danni

Gli umidi pesci u’ corra l’acqua o stagne,

Che l’annodata rete (avvegna l’onda

A noi glì asconda) tragge a morte quelli.

 

Questo il possente toro

Sott’aspro giogo alle lung’opre mena;

E la superbia affrena

Del feroce caval con sella e morso;

Dell’alte stelle il corso

Di qua giù cerca, e i loto effetti impara;

Qual luce è in ciel più chiara,

Qual più nimica al nostro uman lavoro,

Perché Affrico, Austro, e Coro

Empian di pioggia ogni or l’aria serena,

E Borea, et Euro la rivolga altrove.

Fabbrica alberghi dove

S’asconda allor, che folgora e balena;

Et ai venti, alle piogge, al caldo, al gielo

Tempra ivi ‘1 Ciclo uguale al secol d’oro.

 

In somma il tutto vede;

Né si cela al suo ingegno alcuna parte,

Fuor che trovar nuov’arte

Da schivar morte, che a null’uom perdona.

Questo intelletto sprona

Talora al male, al ben talora altrui;

Ma sol saggio è colui,

Ch’ama gli Dei, la patria, e l’alma fede;

E quanto altro possiede

Come fral possessìon da se diparte,

E gir lo lascia alla Fortuna in gioco.

Ma chi, prezzando poco

II bene, in cure vil gli anni comparte,

Deh, come ghigne a notte innanzi sera!

Deh, com’è fera, che esser uom si crede!

 

Francesco Angiolini (Piacenza, 1750-1788)

 

Fra molte cose orrende,

Che son su l’ampia terra,

Niuna dell’uom non è più fiera e ardita.

Egli oltre il mar si stende,

E a gli Aquilon fa guerra

In balia a l’onde lasciando sua vita.

Egli soggetta e doma

Il suol, che i Dei ci diero.

Incorrotto ed intero,

Col duro aratro e co’ robusti buoi,

Che gira, e piega ognor a’ voler suoi.

 

Egli astuto ed industre

Di reti ben tessute

Cignendo intorno e campì, ed onde, e selve,

Imprigiona l’illustre

Augel pronto, e le mute

Gregge del mar, e le feroci belve.

Poi superando ì monti

Si fa signor con arte

De le fere là sparte,

E il toro ardito, e il fervido destriero

Abbassa al giogo e a) suo sovrano impero.

 

I detti acuti e gravi,

E i leggier sensi e vani,

E le passion de la Cittade apprese:

Sa pur fuggire i pravi

Movimenti non sani

De l’aere denso, e de le sfere accese.

A tutto pronto, a nulla

Unqua non è sprovvisto.

Non ha morbo sì tristo,

Ch’e’ non sappia fuggir, salvo la morte

Che de’ consigli suoi è assai più forte.

 

Ma questo spirto altero,

Ch’è tanto saggio e accorto,

(Chi ’1 crederà ?), non sa tenersi in via;

Ora per quel sentiero,

Ch’orrido serpe e storto,

Ota pel retto incostante s’avvia.

Grande è sol, chi le leggi

E i saramenti onora;

Vile, a cui lice ognora

Per gran baldanza il mal: non vo’ a me stesso,

Chi mente ed opre ha tanto ree, dappresso.

 

 

Felice Bellotti (Milano, 1756-1858)

 

Molte v’ha grandi cose,

Ma più dell’uom nessuna.

Fra l’onde fragorose

Per vento e per fortuna

Ei su di fragil barca

Il mar che frange, varca;

Ei la terra, fra’ divi esimia diva,

Altrice inesaurita,

Col rivoltar dell’aratrice stiva

Ogni nuov’anno attrita.

 

Tende in aria a'  volanti

Insidie, e in terra agresti

Va cacciando animanti;

E in fili a rete intesti

Scaltro dell'aqua impiglia 

La guizzante famiglia.

Anco ammansar silvestri belve, e domo

Sotto il giogo al lavoro

II giubato destriero addur sa l'uomo,

E l'indefesso toro.

 

E la potente apprese

Usar parola, e la ragion sottile,

E del viver civile

Costumi e leggi, e dell'aperto cielo

Sé dal rigor difese

Di piove e brine e gelo.

Sperto è di tutto, ed anco

Dell'avvenir nel campo;

Penetra accorto e franco.

Sol non dall'Orco ha scampo,

Ben che dagli ardui morbi al corpo infermo

Sollievo appresti, e schermo.

 

Ma chi sovran possiede

Ingegno ed arte, seguitando viene

Quando il mal, quando il bene.

Quei che alle patrie leggi obedir suole,

E la giurata fede

Serba, e giustizia cole,

È cittadino egregio:

Tristo è chi, audace, il retto

Oprar non tiene in pregio.

Di chi mal opra il tetto

Non commun meco, e della mente mia

Pari il pensier non sia.

 

 

Ettore Romagnoli (Roma 1871-1938)Ettore Romagnoli (1871-1938)

 

Molti si dànno prodigi, e niuno
meraviglioso piú dell’uomo.
Sino di là dal canuto mare,
col tempestoso Noto, procede
l’uomo, valica l’estuare
dei flutti, e il mugghio; e la piú antica
degli Dei, l’immortale Terra,
l’infaticata, col giro spossa,
anno per anno, degli aratri,
col travaglio d’equina prole.
 
E degli augelli le stirpi liete
cinge di reti, ne fa preda,
e le tribú di selvagge fiere,
e le marine stirpi del ponto
con le spire d’inteste reti,
l’uomo scaltrissimo: è signore,
con l’astuzia, di quante fiere
movon selvagge pei monti, e il giogo
pone al crinito cavallo, e al toro
infaticato, sovressi i monti.
 
L’infaticato pensiero, e i suoni
vocali rinvenne, e le norme
del viver civile, e a fuggire
gli etèrei dardi
d’inospiti ghiacci,
di piogge nemiche.
Gran copia d’astuzie possiede;
né verso il futuro, se mezzi
di scampo non vede, s’inoltra.
Solo trovar dall’Ade
scampo non può; ma contro immedicabili
morbi, rinvenne salutari strade.
 
Oltre ogni umana credenza, il genio
dell’arti inventore possiede;
ed ora si volge a tristizia,
ed ora a virtú.
Se onora le leggi
dei padri, e degl’Inferi
il giuro, la patria egli esalta.
Ma patria non ha chi per colmo
d’audacia s’appiglia a tristizia.
Vicino all’ara mia
mai non s’annidi l’uom che cosí adopera,
e mai concorde al mio pensier non sia.

 

 

 

 

 

 

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