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Pace nel mondo greco

E' difficile proporre un'etimologia per il gr. eirēnē, in quanto la parola ci si presenta in una quantità davvero sorprendente di forme diverse, per le quali è impossibile presupporre una forma originaria: ion.-att. e hom. εἰρήνη, dor. beot. e arc. .εἰρήνη; cret. ërana (l'aspirazione iniziale è documentata dalla scrizione polemw cirhnaj); tess. êreina; delf., Pindaro e Bacchilide eêrÔna; greco del NO irana, eirana; inoltre troviamo a Sparta una forma verana e infine i grammatici segnalano l'esistenza di una variante con vocale breve eêrana. Anche escludendo queste ultime due (la forma spartana perché l'unicità nell'attestazione del digamma fa sospettare un ipercorrettismo, la forma attestata dai grammatici in quanto potrebbe trattarsi di un vocativo singolare), rimane comune l'impossibilità di sovrapporre le varie forme dialettali: sembra quindi da accettare l'ipotesi di una serie di imprestiti dalle varie aree dialettali, e, benché non dimostrabile, non è da escludere, in mancanza di una credibile base indeuropea a cui risalire, la provenienza del termine da una lingua di sostrato. La mancanza di un'etimologia credibile impedisce anche di definire l'esatta appartenenza del termine a un determinato ambito semantico originario: possiamo soltanto dire che certo eêrÔnh non appartiene originariamente né al lessico politico né al lessico diplomatico.εἰρήνη 

[Si veda per ulteriori informazioni Frisk, GEW, s. v. (vol. I, p. 467). La provenienza da una lingua di sostrato parrebbe indicata anche dalla terminazione della parola (-hnh come in ;AqÔnh, MukÔnh). La forma originaria potrebbe aver avuto, secondo un'ipotesi di Wackernagel ripresa da Frisk, una pronunzia originaria con [i:] molto aperta, resa in ionico e attico con [e:] e da qui passata agli altri dialetti. Non si tratta comunque di parola ereditata dalla fase indeuropea anche secondo K. Brugmann ("ist auch eêrÔnh kein Erbwort"), che pure cerca di spiegarne la formazione con elementi indeuropei. Il suo tentativo di far derivare la parola dalla rad. ie. *ar- 'connettere' (in Eirene. Eine sprachgeschichtliche Untersuchung, Leipzig 1916 = Berichte über die Verhandlungen der kgl. sächs. Ges. der Wissenschaften zu Leipzig 68, 3. Heft) è molto problematico sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista semantico: comunque i collegamenti con altri termini greci (per la massima parte voci isolate o hapax) non contribuiscono a chiarire la storia della parola.]

In Omero eêrÔnh indica una situazione di pace durevole, e si contrappone a filóthj, che è invece il frutto di un accordo: nella prosa attica la contrapposizione è invece tra eêrÔnh e spondaí (cfr. p.es. Andoc., de pace 12). Benché spesso nei testi sia letterari sia epigrafici eêrÔnh sia usata semplicemente in contrapposizione a pólemoj 'guerra', all'idea della pace è saldamente associata l'idea del benessere materiale, come appare dal seguente passo dei Carm. popul., 1 D vv. 3-5:

Ricchezza abbondante infatti entra (nella casa), e con Ricchezza anche Benevolenza fiorente e la buona pace.

Una connessione fra pace e benessere si coglie anche in Omero, Od. XXIV 486 "essi tornino ad essere concordi come erano prima, siano bastevoli la ricchezza e la pace", in un passo comunque che ha tutta l'apparenza di un'aggiunta tardiva. In Omero il tema della pace ha uno spazio relativamente esiguo: il carattere stesso dei poemi impedisce che lo si affronti in modo profondo: nell'Od. la parola non compare al di fuori del passo già citato, mentre l'argomento dell'Il., poema risonante di battaglie e pieno di esaltazione dell'areté e del valore guerresco, non dà spazio a una riflessione sul valore di eirēnē: la parola compare nell'espressione æp’eêrÔnhj 'in tempo di pace' (cfr. Il. II 797; IX 403 = XXII 156). Di qualche rilievo sono solamente i versi di Il. XVIII 490 ss. ove, all'interno della descrizione dello scudo di Achille, vengono raffigurate una città in pace e una città in guerra, e si insiste con un certo compiacimento nella descrizione delle opere della pace.

L'importanza assunta successivamente da eêrÔnh è mostrata dalla sua divinizzazione in Esiodo, Th. 902, ove Eirēnē è ricordata, insieme con Eunomiā e Díkā (Concordia e Giustizia), tra le figlie di Zeus e Temi. La superiorità della pace rispetto alla guerra è presente nelle tragedie di Eschilo: nei Persiani si ricorda con nostalgia il vecchio sovrano Dario, che (v. 769) "procurò pace a tutti gli amici", ed è chiaro che, essendo in questo contesto l'opposizione non tanto con l'idea della guerra quanto con quella del disastro e del lutto (Serse con la sua giovanile spavalderia ha portato il paese a una sconfitta rovinosa), nuovamente alla parola si collegano nella coscienza del parlante le idee di serenità e di benessere. Questo motivo viene poi ulteriormente sviluppato, con ben maggiore intensità, nelle opere composte durante gli anni angosciosi della guerra del Peloponneso: intere opere di Euripide e di Aristofane tendono a esaltare la pace o a descrivere in modo cupo e tormentato gli orrori della guerra. Ma vi è un passo di Erodoto che vorremmo chiamare come particolarmente significativo (I 87, 4). Sono le parole con cui Creso risponde a Ciro, che gli domanda quale follia lo abbia spinto a muovere guerra a lui e al suo impero, così più potente da non permettere nessuna illusione circa l'esito del conflitto:

Nessuno è così stupido da preferire la guerra alla pace: nella pace i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i padri seppelliscono i figli: ma è piaciuto agli dèi che così ciò avvenisse.

Eirene kai ploutos. München

Dunque, la pace come situazione di normalità, contrapposta alla guerra, che è invece situazione in cui si ha un rovesciamento dell'ordine naturale. Questa stessa superiorità della pace è affermata in un passo di Euripide (Suppl. 486 ss.), nel quale si colgono gli echi delle dispute sofistiche fra discorso maggiore e minore:

Invero tra i due ragionamenti noi tutti riconosciamo quello inferiore e il bene e il male e quanto per i mortali la pace è meglio della guerra: innanzitutto essa è amatissima dalle Muse e nemica alle Erinni e si rallegra per abbondanza di figli e gode di ricchezza: rifiutando tutto questo noi malvagi scateniamo le guerre e, uomini, rendiamo schiavo l'uomo, e, città, le città.

Ancora Filemone (fr. 71, CAF II, 496 s.) esalta la pace come il massimo dei beni, e condizione essenziale perché si possa godere di tutti gli altri:

nozze, feste, parenti, figli, amici, ricchezza, salute, cibo, vino, piacere, questa ce li dona

Tutto questo fa sì che sia da ritenere inadatta e limitante l'idea che eêrÔnh rappresenti all'origine semplicemente l'opposto di pólemoj 'guerra'. Questo significherebbe attribuire alla parola una risonanza puramente negativa (non un valore in sé, bensì l'assenza di un male), spogliandola degli aspetti positivi che viceversa i testi esaminati evocano con evidenza. L'evoluzione verso il senso di 'momento di pace (dopo una guerra)' si comincia a cogliere nella prosa attica del V-IV sec. In Platone (Leg. 628 a-b) eêrÔnh viene contrapposta a pólemoj (la guerra contro i nemici esterni) e a stásij (la guerra civile), e nello stesso contesto (628 c) la pace e la benevolenza (filofrosúnh) reciproca vengono considerate come il bene supremo. È a partire da questa evoluzione che può giustificarsi la definizione di eêrÔnh come Ósucía ÞpÅ’1cqraj polemikÓj, quale si trova nella raccolta di definizioni (hóroi) che la tradizione inserisce nel corpus delle opere platoniche (Ps.-Plat., def. 413 a). In Epitteto (diss. 4, 5, 35) eêrÔnh indica una situazione di concordia fra i popoli, e la parola rappresenta nell'ambito delle relazioni interstatali il parallelo di filía (la concordia nelle relazioni interpersonali) e di ñmónoia (la concordia all'interno dello Stato).

Nell'età ellenistica la parola indica non soltanto la situazione di pace, ma anche il trattato di pace. La speculazione ellenistica, sia epicurea sia stoica, mettendo sempre più in ombra il valore politico e sociale della parola (che era stato invece trattato nella Politica di Aristotele), conferisce a eêrÔnh un valore soprattutto spirituale, e la considera come una conquista dell'individuo: eêrÔnh è la condizione del sapiente che ritrova nel profondo di sé le condizioni per raggiungere la serenità o l'imperturbabilità.

L'immagine: Eirene kai Ploutos (Pace e ricchezza), Museo Nazionale di München, copia di età romana da originale di Cefisodoto (ca. 370 a.C.).

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