1996-1. Editoriale.
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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1996-1

 

 

Il primo tema della maturità '96, comune a tutti gli indirizzi, chiedeva, attraverso parole di Cesare Pavese, di riflettere sull'importanza del passato per la creatività di un popolo. Come sempre, il primo tema è stato scelto da molti candidati (anche se quest'anno tutte le tracce erano se non altro accessibili), ma confrontando le nostre esperienze di commissari abbiamo notato un diffuso impaccio nell'affrontare lo svolgimento: impaccio che nasceva dall'inconsapevolezza di possedere un ricco materiale già elaborato da utilizzare. Ci spieghiamo meglio. I ragazzi hanno seguito una di queste vie:

1. la ripetizione del concetto espresso da Pavese suffragato dall'autorità di quanti nel passato lontano o vicino avevano detto qualcosa di simile: e quindi sono stati citati il mos maiorum degli antichi, lo ktema es aeì di Tucidide, le tombe dei grandi ne I sepolcri, il monito a non dimenticare nelle opere di denuncia del nazismo, ecc.; di questa via fa parte, paradossalmente, anche l'apparente polemica nei confronti della traccia a partire da poesie novecentesche tipo Uomo del mio tempo di Quasimodo o certi testi di Montale;

2. la sottolineatura del concetto di popolo come gruppo legato da comunanza di tradizioni o di fede.

La prima via ha portato a svolgimenti anche molto ricchi di riferimenti e citazioni, ma sostanzialmente sterili: non dimostravano il pensiero di Pavese, ma solo il fatto che l'avevano già pensato altri, o che avevano pensato qualcosa di opposto e come mai; più che altro dimostravano quante cose i candidati avevano studiato. La seconda aveva una maggior ricchezza e centratura concettuale (vuoi in chiave romantica vuoi in chiave ebraico-cristiana) ma rischiava di porsi come una dichiarazione d'intenti o un rimpianto.

A noi pare che la traccia fosse importante proprio per misurare quanto la scuola dà ragione di ciò che insegna. A che cosa serve insegnare latino e greco, e letteratura italiana, storia, filosofia, letterature straniere, se  non se ne danno le ragioni? E che significa dar ragione se non far capire, e dimostrare, che la conoscenza del passato rende ricco e creativo il presente? Possibile che nessun esempio di questa creatività legata al passato sia venuta in mente ai ragazzi (almeno a quelli i cui temi abbiamo letto)?

In realtà per gli studenti del classico un esempio era già fornito dalla quarta traccia, sull'evoluzione del mito di Ulisse: un bel tema, anche se richiedeva di riandare agli studi di prima liceo. Se i ragazzi avessero letto di Pavese i Dialoghi con Leucò avrebbero ritrovato nel suggerimento della quarta traccia l'idea centrale dell'autore: "quando ripetiamo un nome proprio, un gesto, un prodigio mitico, esprimiamo in mezza riga, in poche sillabe, un fatto sintetico e comprensivo, un midollo di realtà che vivifica e nutre tutto un organismo di passione, di stato umano, tutto un complesso concettuale" (dall'introduzione). Ecco: il passato fornisce archetipi mitici, così come modelli di pensiero, sistemi di idee, generi letterari, strutture formali, linguaggi, teorie e modelli politici: un immenso patrimonio da vagliare, giudicare, rielaborare in modo nuovo, così come è stato via via nei secoli vagliato e rielaborato. Ed è questo lavoro di vaglio e rielaborazione che ha costituito l'oggetto dello studio liceale. E questa avrebbe dovuto essere la prima via: cercare nelle proprie conoscenze esempi letterari, filosofici, artistici, politici di recupero creativo del passato (uno studente del classico - sezione sperimentale - portava come terza materia francese, e in particolare l'Antigone di Anouilh confrontata con quella di Sofocle: ma non ha pensato che anche questo fosse un esempio di recupero creativo).

Certo, la consapevolezza di chi ha scelto la seconda via, dei ragazzi cattolici in particolare, forniva il criterio di giudizio per vagliare ogni cosa e trattenere ciò che è buono, secondo il monito di S. Paolo. Ma il vaglio deve misurarsi su contenuti: ed erano spesso i contenuti a non essere individuati.

Il nostro lavoro è quello di aiutare i ragazzi a trovare un criterio e a giocarlo sui contenuti, creando unità nel loro sapere frammentario. Ma nostro compito è anche quello di evitare che i contenuti siano dispersi da una politica scolastica dissennata, che sembra voler privare un popolo del suo passato e della sua creatività: seppur noti in modo confuso e poco consapevole, Omero, Dante, Manzoni fanno ancora ricco il nostro presente.

 

      

 

 

 

 

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