"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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M. Lentano, Lucrezia. Vita e morte di una marona romana, Carocci, Roma 2021

B. Liddell Hart, A greater than Napoleon - Scipio Africanus, 1926, tr. it. Scipione Africano, Rizzoli 1987  

G. Antonelli, Mitridate –il nemico mortale di Roma, 1992 Newton Compton, 2005 Il Giornale

G. Antonelli, Silla – l’ultimo dittatore di Roma, Newton Compton 2004

F. Sampoli, Marc’Antonio – l’antagonista di Ottaviano, 1989 Newton Compton, 2005 Il Giornale.

Jacques Benoist-Méchin, Cleopâtre, 1979/2010

Matthew Dennison, Empress of Rome – The life of Livia, 2010

L. Braccesi, Giulia, la figlia di Augusto, 2012

L. Storoni Mazzolani, Tiberio o la spirale del potere – La forza irresistibile del dispotismo, Rizzoli 1981.

O. Gurgo, Pilato, 1987-2000

L.Braccesi, Agrippina, la sposa di un mito, 2015


Anthony A. Barrett, Caligula - The corruption of Power, 1989, tr. it. Caligola - L’ambiguità di un tiranno, 1992

James Romm, Dying every day – Seneca at the court of Nero, 2014

Charles Parain, Marc-Aurèle, 1957, tr. it. Marco Aurelio, 1986/93

F. Masi, Diocleziano, 1991

F.Sampoli, Costantino il Grande e la sua dinastia, 1955 Newton-Compton, 1982 Il Giornale

P. Marval, I figli di Costantino, tr. ital., 21 editore, Palermo, 2015

Tommaso Gnoli, Le guerre di Giuliano imperatore, il Mulino, 2015

Angelo Paredi, Sant’Ambrogio – l’uomo, il politico, il vescovo, Rizzoli 1985

L. Storoni Mazzolani, Galla Placidia, Rizzoli1975

S. Mazzarino, Stilicone, Milano, 1990

Massimiliano Vitiello, Theodahad: A Platonic King at the Collapse of Ostrogothic Italy, Toronto 2014. Tr. it. : Teodato – La caduta del regno ostrogoto d’Italia, a cura di Omar Coloru, Palermo 2017.


 


Joos van Cleve, Suicidio di Lucrezia, ca. 1520-1525, olio su tela. Kunsthistorisches Museum, ViennaM. Lentano, Lucreazia. Vita e morte di una matrona romana. Roma, Carocci, 2021

L’autore, docente di latino all’università di Siena, affronta una biografia inconsueta, il personaggio di un “mito”: per quanto dissentiamo dall’uso del termine, che non può riferirsi ad un personaggio di una cultura, quella romana, che non ha mai avuto “miti” ma solo personaggi storici, salvo l’utilizzo letterario di miti greci, come non ha mai avuto poemi epici ma solo poemi storici (compresa l’Eneide), fino alle imitazioni di Stazio e Flacco in età flaviana, accogliamo l’accezione spiegata nella premessa, a pag.11: racconto nel quale un’intera cultura ha riconosciuto per secoli alcuni contenuti fondanti della propria identità. Appunto questi contenuti l’autore ricerca nella storia di Lucrezia, attraverso le diverse fonti antiche: anzitutto la concezione della donna e della moglie nell’età più arcaica di Roma; e in secondo luogo il concetto di adulterio come corruzione del sangue (adulterato, appunto) della donna e quindi della stirpe in cui è entrata per matrimonio. I personaggi in gioco sono approfonditi da diversi punti di vista: la vanteria di Collatino è paragonata alla vanteria di Candaule nel logos erodoteo: entrambi mettono in moto, per un’indiscrezione nei confronti della moglie (che sia per la bellezza o che sia per la virtù) una vicenda pericolosa; Bruto, il finto sciocco divenuto liberatore di Roma, è osservato nelle sue ambiguità e rigidezze, fino all’esclusione di Tarquinio Collatino stesso come collega di consolato, in quanto appartenente alla stessa gens dei tiranni; di Lucrezia è analizzata soprattutto la modalità della denuncia pubblica, paragonabile ad un processo in cui è presunta colpevole, vittima, testimone, giudice e boia. Molto curata è soprattutto l’analisi delle parole usate dagli autori, con un’attenzione al significato e ai contesti specifici.

L’evoluzione dei personaggi e della storia è poi seguita nel tempo, dalle riletture cristiane alle molte riprese fino al ‘900: uno spazio particolare è dato a sant’Agostino, voce fuori dal coro in quanto estranea all’esaltazione sia della pudicizia sia dell’eroismo patriottico: contrario al suicidio per una colpa involontaria e contrario al dispotismo di Bruto che vede nel solo nome Tarquinio del collega una colpa politica, Agostino riporta il “mito” eroico alla ragionevolezza cristiana.

Un’opera molto interessante, arricchita da un’ampia bibliografia che permette approfondimenti sui diversi punti trattati.


B. Liddell Hart, A greater than Napoleon - Scipio Africanus, 1926, tr. it. Scipione Africano, Rizzoli 1987

Il primo dato interessante riguarda la bibliografia dell’autore: sir Basil Liddell Hart è essenzialmente uno storico militare, autore di opere quali La prima guerra mondiale (1914-1918), Storia militare della seconda guerra mondiale, Storia di una sconfitta e L’arte della guerra nel XX secolo. Il suo accostamento ad un personaggio dell’antichità discende da questo interesse, e in effetti nell’opera trova scarso posto tutto ciò che non riguarda le campagne militari e, in subordine, le vicende politiche di Scipione: sarebbe vano cercarvi un contesto socioculturale, un quadro della vita romana del tempo o anche solo un più ampio tentativo di ricostruire in tutti i suoi aspetti il personaggio. Significativo è anche il titolo: Scipione non è tanto interessante in sé per 1’autore, ma in quanto paragonabile ai grandi generali di ogni tempo, di cui il Napoleone del titolo è solo un esempio. In effetti tutta 1’opera è fondata su questi confronti: ricorrono in ogni capitolo riferimenti a personaggi come Wellington, Federico II di Prussia, Petain, il duca di Malborough, Nivelle, Subutay, ecc. Ma soprattutto l’ultimo capitolo costituisce un vero e proprio confronto plutarchiano fra diverse “vite parallele” di ogni epoca, confronto da cui Scipione emerge come superiore, sia per capacità strategiche, sia per la sua lungimiranza nell’usare con moderazione della vittoria. Liddell Hart, a questo proposito, contesta una storiografia che ignori l’esistenza della guerra nella storia per un preteso e ascientifico pacifismo: “L’alta strategia di Scipione... è un cartello segnaletico che indica il vero cammino che deve seguire lo studio della storia. Scipione era in grado di infliggere disfatte militari con efficacia e brillantezza pari a quella di tutti gli altri grandi comandanti, ma egli era anche in grado di vedere il vero obiettivo posto al di là della vittoria sul campo. Il suo genio gli rivelò che la pace e la guerra sono le due ruote su cui il mondo gira, ed egli fornì un asse centrale che collegasse e controllasse queste due ruote” (ed. it. pag. 243).

L’opera segue minutamente Polibio e Livio, di cui sono riportati ampi stralci, generalmente senza l’indicazione dell’autore, salvo che vi sia difformità fra i due storici. I curatori dell’edizione italiana hanno aggiunto un corpo di note che riporta l’’indicazione di tutti i passi citati e gli opportuni riferimenti storici antichi e moderni, che evidentemente l’autore dava per scontati presso i propri lettori.

In appendice sono riportati inoltre i capp. 6-8 del libro XV di Polibio, con i due discorsi di Annibale e Scipione prima della battaglia di Zama.

Nel complesso non si tratta di un’opera di facile lettura, dato il taglio tecnico-strategico: chi non abbia un particolare interesse militare sarà sicuramente più colpito dalle considerazioni del1’autore riguardo all’uso della vittoria che Scipione seppe fare, pur di fronte all’ostilità di un’opinione pubblica e soprattutto di una classe politica ansiosa di schiacciare completamente i vinti: caratteristica del personaggio che, come si è visto, Liddel Hart considera esemplare nei confronti dei vincitori e dei vinti di ogni epoca.

Lo sviluppo narrativo è piuttosto pesante, tanto da far rimpiangere la lettura diretta (anche in traduzione) delle fonti antiche.

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G. Antonelli, Mitridate –il nemico mortale di Roma, 1992 Newton Compton, 2005 Il Giornale

La Biblioteca Storica de Il Giornale, con un’ampia serie di 50 titoli, si è occupata del mondo grecoromano, con particolare attenzione alle biografie. A questo scopo ha utilizzato sia testi ormai  classici di grandi studiosi, sia opere composte da autori italiani, di taglio più giornalistico, come questa che presentiamo.

L’autore affronta la biografia del re del Ponto con un linguaggio giornalistico che strizza l’occhio all’attualità e al parlare quotidiano. Le due pagine fitte di bibliografia antica e moderna non sono mai richiamate nel corso del testo, in cui le fonti sono solo citate genericamente come “fonti”, senza distinguere né discutere.

L’apparato iconografico è tipico della collana: immagini in grigio non tutte pertinenti, cartine quasi illeggibili, soprattutto se stampate su due pagine con la piegatura che ne elimina una parte. L’interesse per il lettore di media preparazione sta nell’argomento: un personaggio visto in un modo inusuale, lasciando ai margini la storia romana dell’epoca: l’esito è suggestivo, anche per la visione nel complesso equilibrata del “nemico di Roma”.

G. Antonelli, Silla – l’ultimo dittatore di Roma, Newton Compton 2004

esare. Le caratteristiche di questo autore e di quest’opera sono le stesse della biografia di Mitridate: linguaggio giornalistico, paragoni un po’ avventurosi con l’attualità, uso vago delle fonti nonostante l’ampia bibliografia finale, illustrazioni numerose ma brutte e non sempre utili. Certamente il personaggio è importante e i fatti che lo riguardano non sono forse tutti noti, per cui si trovano nella lettura motivi di interesse: in fondo più per lo specialista che sa utilizzare quanto c’è di buono che per il lettore inesperto, fuorviato dal tono generale che gioca al massacro sul passato.
Un appunto: Silla non è l’ultimo dittatore di Roma, a meno che il sottotitolo non sia un modo di dire che presume di escludere la definizione di dittatore per Cesare

F. Sampoli, Marc’Antonio – l’antagonista di Ottaviano, 1989 Newton Compton, 2005 Il Giornale.

Anch’essa appartenente alla collana de Il Giornale, di cui ha costituito l’ultimo titolo, questa biografia è definita dall’amplissimo sottotitolo: La vita, le battaglie, le lotte per la conquista del potere, l’amore travolgente per Cleopatra che ne segnò la tragica fine, nella vicenda di un condottiero avventuroso, di un uomo impulsivo e generoso a cui la storia non ha reso giustizia. L’intento è chiaramente romanzesco-agiografico, con uno sbilanciamento a favore del personaggio e una visione fondamentalmente negativa degli avversari. Il contesto è peraltro un resoconto della storia romana da Mario e Silla ad Azio, parte della quale risulta un po’ superflua.

L’aspetto positivo dell’opera è il frequente riferimento alle fonti citate puntualmente (Appiano, Cassio Dione, Floro, Plutarco) e i molti passi di Cicerone (dall’epistolario e dalle Filippiche) riportati in traduzione. Non mancano anche alcuni spunti di critica storica.

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Jacques Benoist-Méchin, Cleopâtre, 1979/2010

Con una scrittura spigliata e accattivante, l’autore racconta la storia delle guerre civili ed esterne della II metà del I secolo a.C., con largo spazio ammirato per le imprese di Cesare e interesse più limitato per Antonio e Ottaviano (sempre Ottavio nel testo). Fra i tre si colloca il sogno di Cleopatra, la creazione di una grande monarchia che unifichi occidente e oriente, fino alla conquista dell’altopiano iranico ed oltre: la potenza romana e la grandezza visionaria di Alessandro.

Il libro si legge volentieri, si impara o si reimpara anche più di un evento o un collegamento. Il limite è l’approssimazione delle citazioni e dei riferimenti in nota, con errori vistosi (ad esempio l’attribuzione a Livio del De viris illustribus di Aurelio Vittore).

Matthew Dennison, Empress of Rome – The life of Livia, 2010

L’autore, nuovo all’interesse per biografie classiche (è noto per una biografia di una principessa inglese) si cimenta nel personaggio di Livia Drusilla partendo esplicitamente dalla perplessità per l’immagine letteraria/mediatica della moglie di Augusto diffusa dai libri di Graves (si vedano più avanti) e dalla successiva fiction televisiva, evidentemente molto popolare in Inghilterra (in Italia non è mai giunta se non in DVD). Tale immagine di dark lady ha spinto l’autore ad un’indagine  accurata, che comprende opere storiche studiate criticamente, documenti e una quantità di testi, opere d’arte e usanze in qualche modo, anche alla lontana, utili a chiarire  aspetti del personaggio e delle vicende. L’esito risponde all’intento: liberare Livia dalle accuse di assassinio e abuso di potere accumulate su di lei già dagli autori antichi (Tacito, Cassio Dione fra gli altri) senza prove, anzi contro molte evidenze.  Ne risulta un’opera nel complesso credibile, pur se un po’ troppo affannosamente alla ricerca di giustificazioni e un po’ troppo insistita  e ripetitiva.

Ciò che più interessa, a nostro parere, è la ricostruzione della storia di Livia prima delle vicende più note, nel quadro dei grandi fatti e delle grandi figure del I sec. a.C.: nata nel 58, da un padre della gens Claudia entrato per adozione nella gens Livia, è coinvolta direttamente o indirettamente nei drammi delle due famiglie, uccisioni, proscrizioni, perdita di patrimoni, fino a reinserirsi nella gens d’origine sposando giovanissima Tiberio Claudio Nerone, un politico sempre perdente nelle sue scelte di cui ha condiviso per tre anni la fuga, prima con un piccolissimo figlio poi incinta del secondo. Molti fatti e molte parentele non sono notissimi, per cui la lettura è attraente e utile. 

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iuliaL.Braccesi, Giulia, la figlia di Augusto, 2012

Di Giulia, diciamolo pure, non sappiamo quasi niente. Per essere vissuta in un’epoca nota quasi giorno per giorno, della figlia di Augusto sappiamo molto meno che di Livia, o delle due Agrippine, o di personaggi minori. La data di nascita, coincisa col divorzio dei genitori, i tre matrimoni “politici”, i cinque figli dal destino infelice, lo scandalo e l’esilio. Ma di lei ben poco. Braccesi  ne ricostruisce personalità, legami, amori, simpatie politiche  e congiure, valendosi di accenni nelle fonti e ipotesi dove (il più delle volte) le fonti mancano o sono deludenti: a partire dall’identificazione col puer virgiliano fino all’insistito – vero Leitmotiv dell’opera – rapporto di amicizia infantile e poi di amore e progetto visionario con Iullo Antonio, il figlio minore di Antonio cresciuto da Ottavia. Nell’insieme si resta un po’ perplessi: ne risultano un personaggio e una vicenda interessante e appassionante, ma fatti in grandissima parte di ipotesi, collegamenti arditi, ricostruzioni: valga per tutte la ricostruzione del poema di Iullo, Diomedea, totalmente perduto.

 

L. Storoni Mazzolani, Tiberio o la spirale del potere – La forza irresistibile del dispotismo, Rizzoli 1981.

L’autrice ha spaziato in molti ambiti e periodi del mondo antico, pagano e cristiano, oltre a distinguersi come traduttrice (sua è la traduzione italiana delle Memorie di Adriano). In questa biografia di Tiberio affronta con competenza la vicenda del secondo imperatore di Roma, valendosi delle fonti antiche (sempre puntualmente citate e riportate o parafrasate) e di una vastissima bibliografia. La tesi di fondo è già implicita in titolo e sottotitolo: il potere corrompe, la negatività è inevitabile nell’impero stesso. Tutto lo sforzo dell’autrice di rivalutare la personalità di Tiberio è legata all’idea della sua impossibilità di operare positivamente, di una sua tendenza repubblicana frustrata e incattivita. In quest’ottica tutta la vicenda imperiale è letta in modo fortemente negativo, e ne fanno le spese i poeti, in primis Virgilio, col loro sostegno all’idea provvidenziale della missione di Roma.

Al di là della tesi, il materiale fornito e le informazioni documentarie e antiquarie rendono l’opera molto utile. La parte finale dà largo spazio al rapporto fra Tiberio e i cristiani, discutendo le fonti e le questioni tuttora aperte.

Qualche ripetizione e salto temporale in uno stile narrativo generalmente gradevole e accattivante.

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Ottorino Gurgo, Pilato, Fabbri editori  1987/2000

Fare una biografia di un personaggio così controverso e sfuggente era sicuramente un’impresa difficile. L’autore parte dalla presentazione di bizzarre dicerie sulla formazione del procuratore di Giudea per poi tentare di ricostruirne la storia  precedente la carica con i pochi dati  storici disponibili. Dopo una carrellata sulla situazione della Palestina e i suoi rapporti con Roma, ed un capitolo sull’impero all’epoca di Tiberio, si giunge al punto fondamentale, il rapporto con Gesù. Qui entrano in gioco Vangeli apocrifi, ipotesi (sembra che…) e citazioni evangeliche, a volte interpretate in  modo discutibile. Un paio di esempi. In Giov. 12, 20 segg. Gesù viene interpellato da Filippo, apostolo d’origine ellenista,  che vuole fargli incontrare dei Greci. Come osserva Benedetto XVI nella seconda parte di Gesù di Nazaret (pagg. 29-30), Gesù non accoglie la richiesta e prosegue una conversazione strettamente confidenziale con gli apostoli. Gurgo invece ritiene che il discorso di Gesù successivo alla richiesta di Filippo  sia rivolto ai Greci, che peraltro  non erano in grado di comprenderlo, e ne trae l’idea che l’essersi intrattenuto con persone impure proprio nei pressi del Tempio sia stato uno dei motivi dell’avversione dei capi ebrei. Quanto alla cacciata dei mercanti dal Tempio, sarebbe stata la causa dell’odio dell’ex-sommo sacerdote Anna, la cui famiglia avrebbe gestito o taglieggiato tale commercio. Due interpretazioni, come si vede, discutibili, proprio sull’aspetto fondamentale dell’opposizione a Gesù dell’establishment giudaico. Più interessante l’interpretazione riguardante Barabba: Gurgo ritiene che si trattasse di una sorta di patriota rivoluzionario (d’accordo in questo con Benedetto XVI, op. cit. I parte, pagg.63-64 e II parte, pagg. 220 segg.) e che sia stata una scelta improvvida quella di Pilato di porlo in alternativa a Gesù: sicuramente il popolo avrebbe preferito il proprio campione.

Sulla storia di Pilato dopo la condanna di Gesù sono citate diverse leggende e vari testi formatisi nei secoli successivi. Un’ampia nota (152) riporta la posizione della critica sui reali rapporti fra Pilato e Tiberio, e in particolare sull’esistenza di una relazione di Pilato a Tiberio a proposito del processo e sulla presa di posizione di Tiberio in senato. La questione è discussa in modo interessante (rileviamo solo che l’autore considera Marta Sordi un uomo!).

In conclusione: il valore complessivo della biografia non è altissimo, ma qualche aspetto, se letto con cognizione di causa, illumina elementi della vicenda poco noti.

 

L.Braccesi, Agrippina, la sposa di un mito, 2015 

agrippina maiorDello stesso biografo di Giulia presentiamo la biografia di Agrippina Maggiore, figlia di Giulia e di M. Agrippa e moglie di Germanico. L’autore appare molto informato  sulle fonti e su ogni genere di dati e notizie: in appendice riporta un elenco ragionato degli autori citati, note per gli addetti ai lavori, un’amplissima bibliografia, una cronologia, alberi genealogici e indici (ci piacerebbe anche un apparato iconografico, in particolare a proposito delle monete citate). Tuttavia ci pare che non venga aggiunto molto rispetto al materiale delle fonti antiche, piuttosto noto e già molto vasto: l’autore si sforza di attribuire ad Agrippina, il cui ruolo come matrona romana era necessariamente di sfondo, molti dei progetti che cercarono di porre al potere Germanico alla morte di Augusto, dei tentativi di salvare la vita di Giulia ed Agrippa Postumo, e soprattutto dei movimenti di Germanico quale plenipotenziario per l’Oriente, compreso il discusso e pericoloso viaggio in Egitto. Ne emerge un Germanico sognatore e indeciso, e un’Agrippina decisissima a presentare il marito come un nuovo Alessandro, o come un nuovo e più fortunato Antonio (che di Germanico era il nonno materno). Naturalmente parecchi passaggi sono ipotetici o liberamente interpretati: come nella biografia di Giulia anche qui si presume l’esistenza di opere poetiche di cui ci sono scarse o nessuna traccia. Resta aperta la questione del ruolo di Tiberio, cui l’autore toglie qualche responsabilità attribuendola a Seiano, e soprattutto resta aperta la domanda del perché, se tanto accanita era la persecuzione per la famiglia di Germanico, Tiberio scelse Gaio (Caligola) come successore.

Comunque, dato l’interesse per il personaggio che ha ispirato pagine particolarmente suggestive negli storici antichi, in particolare Tacito, l’opera si legge volentieri.

 

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 Anthony A. Barrett, Caligula The corruption of Power, 1989, trad. it. Caligola  L’ambiguità di un tiranno, 1992

Con un titolo originale che sembra riecheggiare – non sappiamo quanto coscientemente – il titolo e l’idea di fondo dell’opera su Tiberio della Storoni Mazzolani, lo storico canadese affronta il personaggio meno noto della dinastia giulio-claudia, il giovane figlio di Germanico il cui impero durò solo quattro anni e fu sommerso, dopo l’assassinio del princeps, da una pesante pubblicistica di valore molto discutibile. Sappiamo che la parte degli Annales di Tacito relativa a Caligola è andata interamente perduta, così come gli inizi dell’impero di Claudio che dovevano inevitabilmente comprendere confronti fra i due imperatori. Le fonti scritte disponibili sono quindi Suetonio, Cassio Dione e Filone (che relazionò l’ambasceria dei giudei alessandrini presso Caligola), più diversi riferimenti in Seneca, in Giuseppe Flavio e alcuni altri (compreso lo stesso Tacito): testi di attendibilità molto limitata.

L’autore affronta con molto equilibrio il difficile personaggio, discutendo via via le fonti e utilizzando materiale archeologico e soprattutto numismatico con buona competenza e completezza: ne risulta un giovane (imperatore a 25 anni, morto a 29) costretto alla dissimulazione nell’adolescenza, egocentrico, sprezzante e megalomane, ma abile nella politica estera, soprattutto in oriente, e con pregi  anche in politica interna. Su molti aspetti della pubblicistica antica, gli eccidi di massa, gli incesti, ogni manifestazione di presunta follia, Barrett si sofferma con attenzione, smontando molta parte dell’immagine tradizionale.

La scrittura è molto apprezzabile: l’opera si legge volentieri e i frequenti richiami da un capitolo all’altro aiutano a non disperdersi in una folla di nomi ed eventi. Utile anche l’apparato di note e appendici: un po’ deficitari i vari alberi genealogici, di difficile lettura.

James Romm, Dying every day – Seneca at the court of Nero, Alfred A. Kopf, New York, 2014Seneca-Socrate


L’autore è un docente americano di lettere classiche, che ha già pubblicato un’edizione di Arriano e alcune opere di rielaborazione storica. In questa biografia di Seneca già dal titolo e sottotitolo rivela intento e impostazione: si tratta di un ampio excursus sull’impero di Nerone, a partire dagli immediati predecessori: Seneca vi è inserito necessariamente, ma si direbbe che l’interesse dell’autore sia più sul contesto storico e i diversi protagonisti; a sua volta il titolo introduce il tema della morte e del suicidio, Leitmotiven di tutta l’opera, come è chiaro dai titoli dei capitoli: Suicide (I), Regicide, Fratricide, Matricide, Maritocide (sic), Holocaust, Suicide (II), Euthanasia.

Nell’introduzione Romm pone la questione, da sempre dibattuta, della credibilità di Seneca e della sua coerenza. Nel corso dell’opera torna continuamente su tale questione, ma in realtà non solo non la risolve, ma ne accentua l’ambiguità, ponendo dubbi su azioni e su passaggi di testi che potrebbero essere interpretati in modo univoco. Ne risulta quindi un personaggio ancora più controverso, anche perché le opere senecane prese in considerazione sono una selezione, che elimina De otio, De providentia De constantia sapientis, De tranquillitate animi, apparentemente per motivi cronologici, se di cronologia certa per i Dialogi si può parlare. Molto spazio è dato invece soprattutto al De ira, poi alle Consolationes al De clementia, il De beneficiis, il De vita beata, l’Apokolokynthosis; delle tragedia si considerano Medea e Phaedra soprattutto in rapporto alle donne dei Cesari, e il Thyestes come una sorta di confessione della propria brama di potere, dibattuta, rifiutata ma ultimamente vincente.

Così risulta una scelta discutibile, che elimina o riduce temi importanti come il rapporto con gli dèi, il ritiro a vita privata, l’apatia e l’aponia ; anche le Lettere, considerate decisamente come un trattato unico, sono selezionate in modo tale da eliminare, ad esempio, ogni accenno al problema religioso.

Pregi dell’opera sono peraltro i molti riferimenti ai testi coevi o successivi (grande spazio in particolare all’Octavia), l’ampio apparato di note, l’ampia bibliografia, l’apparato iconografico non banale, una scrittura scorrevole e leggibilissima; non ultima l’ottima veste editoriale. Qualche menda: a proposito del liberto Pallante è citato l’omonimo personaggio virgiliano, definito però come principe etrusco; la genealogia della famiglia giulio-claudia (complicatissima, come si sa) è seguita in genere con attenzione, ma in un punto, forse per un copia-incolla avventato,  Germanico risulta figlio di Agrippa (pag. 43). 

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Charles Parain, Marc-Aurèle, 1957, tr. it. Marco Aurelio, 1986/93

Editori Riuniti pubblica la traduzione, priva di biobibliografia dell’autore e di bibliografia (presente invece nell’edizione originale, seppure molto limitata), di un’opera composta dall’etnologo, archeologo, economista e storico Parain. La prima osservazione è che l’autore, di formazione e fede marxista, è interessato soprattutto ad alcuni aspetti del secondo secolo: il rapporto fra i latifondisti dell’ordo senatorio  e i piccoli proprietari, il permanere del sistema schiavistico, la negatività dell’imperialismo, su cui costruisce le motivazioni della crisi di fine secolo. Piuttosto limitato il riferimento esplicito agli storici, Historia Augusta, Cassio Dione (assente quasi del tutto Suetonio): anche la discussione  su di loro è ridotta.

Più interessante la presentazione del personaggio dell’imperatore a partire dall’epistolario e dai Ricordi (εἰς ἑαυτόν), citati in traduzione con molta ampiezza: l’autore rileva in particolare dalle lettere (forse con qualche esagerazione, ma è ugualmente interessante) il sorgere nella civiltà antica del sentimento della tenerezza, e nei Ricordi il passaggio dalla saggezza al nichilismo.

Un capitolo è dedicato al cristianesimo, soprattutto ai martiri di Lione del 177 e alla polemica fra Callisto e  Ippolito, peraltro successiva di vari decenni alla morte di Marco Aurelio: un resoconto un po’ sbrigativo che si basa sul contrasto fra la fede dei martiri e le lotte per il potere.

Buona la scrittura. Nel complesso, nonostante i difetti, una lettura utile.


diocleziano

Fausto Masi, Diocleziano. Biografia dell’ultimo grande imperatore romano, 1991

 

Un breve testo scritto da un ingegnere appassionato del mondo antico. In un centinaio di pagine si presentano  la biografia dell’imperatore e le riforme attuate, in un ordine cronologico non sempre chiaro. I dati politici, economici e militari sono interessanti; la parte sulla/sulle  persecuzione/i dei cristiani piuttosto discutibile, così come il giudizio su Costantino.

Chiude il libro un’appendice con pagine da Eutropio e Lattanzio. Vi sono varie illustrazioni in bianco e nero e una cartina estraibile sull’impero romano all’epoca dei tetrarchi

 

F. Sampoli, Costantino il Grande e la sua dinastia,  Newton-Compton 1955, Il Giornale 1982

In attesa di un presumibile grande revival del personaggio in occasione del settimo centenario dell’editto di Milano (sarà nel 2013), recensiamo questa biografia che fa anch’essa parte della serie del Giornale, dove l’autore compare con parecchi testi fra cui uno già compreso nella nostra raccolta. Come risulta dal titolo, l’opera è in realtà divisa in due parti, la prima dedicata a Costantino, o meglio alle vicende dell’impero a partire da Diocleziano fino alla morte del primo imperatore cristiano; la seconda ai costantinidi fino alla morte di Giuliano, l’ultimo sopravvissuto della stirpe.

Sampoli è appassionato di storia romana, soprattutto della tarda repubblica e dell’impero: ne vede prevalentemente gli eccessi, i vizi, le crudeltà, i sintomi di decadenza: non per niente il testo di riferimento più citato, quasi seguito passo passo, in quest’opera, è quello di  Gibbon. Ma si appassiona anche ai personaggi di cui si fa biografo: sia Costantino sia in particolare Giuliano escono positivamente, nonostante i difetti rilevati. Quasi tutti negativi gli altri, con qualche chiaroscuro per le donne, Elena, Costantina, Eusebia, la seconda Elena. Assolutamente negativi i personaggi cristiani, con le loro beghe e i loro tradimenti: il capitolo in assoluto peggiore e più malevolo è il secondo, che riassume a suo modo l’epoca dei martiri.

Come già rilevavamo per la biografia di M. Antonio, l’aspetto positivo di questo autore è l’ampio uso di fonti storiche, citate e confrontate, anche se l’interpretazione è più volte discutibile. Qualche errore anche ripetuto, come Saxa Rubla sempre in questa forma.

 

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Pierre Maraval, Les fils de Constantin, 2013, tr. it I figli di Costantino, 21 editore, Palermo, 2015

La biografia dei quattro figli di Costantino, il primogenito illegittimo Crispo e i tre figli della moglie Fausta, Costantino, Costante e Costanzo, è stata pubblicata nell’anno dell’anniversario dell’editto di Milano, un anno ricco di libri e articoli sulla famiglia imperiale: l’autore, docente di Storia del Cristianesimo alla Sorbona, aveva già scritto biografie di Giustiniano e Teodosio e l’anno successivo avrebbe pubblicato, dopo quella dei figli, una biografia del padre, Constantin le Grand (2014). La trattazione è preceduta da un'ampia e importante prefazione di Giusto Traina. In realtà l’opera è un’ampia biografia di Costanzo, il figlio sopravvissuto ai fratelli e il cui impero fu lungo e complesso: dopo aver brevemente trattato degli altri tre, l’autore si dedica al più longevo e storicamente più importante, anche per le molte fonti pagane e cristiane che lo riguardano. Si tratta di un testo molto informato ed equilibrato, ricco di note, apparato iconografico, bibliografia: le fonti sono vagliate con attenzione e discusse con prudenza. Ne emerge un ritratto di Costanzo nel complesso positivo sotto ogni aspetto, i rapporti con la Persia, la politica verso i barbari, la politica interna, i rapporti con la Chiesa e le questioni dottrinali: in particolare i suoi interventi nei concili mostrerebbero, più che un interesse teologico o una propensione filo- o antiariana, il desiderio da profano di soddisfare il maggior numero possibile di vescovi e di pacificare gli animi su una questione, la divinità di Cristo, le cui sfumature non lo interessavano o non capiva.

Libro impegnativo, di notevole interesse, forse troppo teso a difendere il suo protagonista.

 
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Iulianus imperator (Musée de Cluny)Tommaso Gnoli, Le guerre di Giuliano imperatore, Bologna, il Mulino, 2015

 

L’autore, docente di Storia romana a Bologna, precisa nell’introduzione che non intende fare una biografia di Giuliano, ma studiare la dinamica delle guerre sostenute nel breve periodo del suo impero. In effetti l’opera, di non grandi dimensioni, analizza la strategia militare di Giuliano soprattutto a partire dalla narrazione di Ammiano Marcellino. Tuttavia non si tratta solo di un interesse  tecnico: la personalità dell’imperatore emerge con tutto il suo fascino, fascino che ha sicuramente fatto presa sull’autore: nelle conclusioni Gnoli giunge a dire che nessun’altra personalità antica eguaglia quella di Giuliano, neppure Cesare o Marco Aurelio: non si può restare neutrali di fronte alla personalità di Giuliano (pag. 148). Anche solo dalle vicende militari, Gnoli trae aspetti del suo carattere: straordinario coraggio, compartecipazione alla vita dei soldati, capacità di agire rapidamente nei momenti di stress; per contro la spietatezza del predatore, qualche errore di strategia e la progressiva tendenza ad isolarsi in una solitudine che alla fine neppure  i più fedeli poterono condividere.

Il testo è arricchito da cartine, nota e riferimenti bibliografici, indici, e nella sua stringatezza si rivela utile soprattutto per gli addetti ai lavori.

 

 

Angelo Paredi, Sant’Ambrogio – l’uomo, il politico, il vescovo, Milano, Rizzoli, 1985

Ambrogio e l'imperatore Teodosio

Dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, studioso di storia, arte e liturgia lombarde, grande latinista, Paredi dedica al vescovo milanese del IV secolo una biografia che conserva il suo interesse anche a distanza di più di 25 anni. Il santo rappresentato con il libro e con la frusta, per indicare la sua cultura e la sua energica autorevolezza, è inizialmente inserito dall’autore in una presentazione delle vicende politiche ed ecclesiali del secolo, dalla libertà costantiniana al dramma dell’eresia ariana  e delle divisioni interne alla Chiesa, alle questioni dinastiche e ai problemi di politica interna ed estera. L’inserimento, che comporta forse inevitabilmente qualche salto cronologico e qualche ripetizione, serve a inquadrare nel complesso clima dell’epoca la figura di Ambrogio, nato in una famiglia aristocratica che aveva dato funzionari all’impero e profondamente cristiana, tanto che la sorella maggiore Marcellina aveva fatto voto di verginità l’anno prima della nascita del santo, o durante la sua primissima infanzia.   A partire dall’avventurosa elezione episcopale la biografia prosegue  esaminando via via diversi aspetti dell’ attività del vescovo, il rapporto con l’arianesimo, la presa di posizione politica (in particolare nei confronti di Teodosio), la predicazione, l’opera teologica ed etica,  l’opera liturgica; due capitoli sono dedicati alle più importanti figure della sua vita, il fratello Satiro e Agostino.  In appendice una bibliografia relativa ai diversi capitoli (evidentemente un po’ datata), una cronologia, la bibliografia di Ambrogio e alcune immagini.

Opera molto interessante, informata  ed equilibrata; senza dubbio una lettura impegnativa, che richiede una conoscenza di base del periodo e delle questioni connesse. Vale la pensa di affiancarla come correttivo  alla lettura di biografie romanzate relative alla stessa temperie storica (di Giuliano, ad esempio, o di S. Elena).

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L. Storoni Mazzolani, Galla Placidia, Rizzoli1975

Fin dall’introduzione appare chiaro come l’interesse dell’autrice sia rivolto, più che alla figura della figlia di Teodosio, al complesso delle vicende che portano alla crisi dell’impero romano e alla fine del1’evo antico. Si tratta di un periodo generalmente poco noto anche agli stessi addetti ai lavori (salvo che siano specialisti) e che trova nella scuola pochissimo spazio. In questo senso la lettura di un’opera del genere può colmare una grave lacuna. L’autrice esamina con attenzione le grandi personalità cne si succedono sulla scena dell’impero: gli imperatori, i capi barbari, i generali, gli uomini di chiesa; affronta i grandi problemi del tempo: i rapporti fra romani e barbari, fra oriente e occidente, fra diversi progetti ai conservazione e trasformazione dell’impero, fra ortodossi ed eretici. In questo contesto la figura di Placidia è tratteggiata con molta cautela, data la scarsità e la poca attendibilità delle fonti: soprattutto i suoi sentimenti e i suoi progetti sono accennati con circospezione e prudenza. Ne risulta, come si è detto, più la storia di un’epoca che la biografia dell’Augusta: ma era certo inevitabile.

L’autrice fa un uso amplissimo delle fonti e della bibliografia, documentato, oltre che dalle continue citazioni, dal ricco apparato di note e dalle diciassette pagine di bibliografia antica e moderna.

L’esposizione non è sempre chiara, a volte procede per salti e per contraddizioni almeno apparenti; in generale è una lettura impegnativa e abbastanza difficile, ma val la pena di suggerirla.

S. Mazzarino, Stilicone, Milano, 1990 (I ediz. 1942)

Il Sarcofago di Stilicone, basilica di Sant'Ambrogio (Milano)Il grande storico ha composto quest’opera nella sua giovinezza, tanto da lasciarne le bozze al fratello perché doveva partire per la guerra: l’edizione del ’90 è stata ricorretta in base a una copia con appunti lasciati dall’autore. Il sottotitolo  la crisi imperiale dopo Teodosio  chiarisce la sostanza dell’opera: non tanto una biografia del generale che diresse l’impero di Occidente al posto del giovane Onorio, quanto uno studio approfondito e accurato della situazione dell’impero nel 395, delle intenzioni di Teodosio al momento della successione, dei progetti di Stilicone riguardo all’unità dell’impero e del loro esito, fino all’individuazione dei motivi del passaggio dall’evo antico al Medio Evo. Con una scrittura molto decisa e vigorosa, che mette in crisi idee sostenute da storici accreditati, Mazzarino, allora solo ventiseienne, pone le basi della storiografia del tardoantico. Un libro impegnativo e di grande interesse.

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Massimiliano Vitiello, Teodato – La caduta del regno ostrogoto d’Italia, Palermo 2017.

TeodatoL’ultimo re ostrogoto della dinastia degli Amali ci è conosciuto essenzialmente attraverso due fonti, il Bellum Gothicum di Procopio di Cesarea e alcune lettere di Cassiodoro, oltre a cenni nei Getica di Giordane e in qualche altro testo.  Come giustamente osserva Vitiello, a nessun biografo né antico né moderno è interessato scrivere una Vita di Teodato, personaggio evidentemente poco adatto, a differenza di altri dell’epoca come Teodorico, Amalasunta o Giustiniano, Teodora, Belisario,  per creare una narrazione ricca di particolari pittoreschi, anche romanzati. Eppure il suo nome resta legato, come indicano i sottotitoli dell’opera originale e della traduzione italiana, alla caduta dell’Italia ostrogota, anche se dopo la sua morte il regno ostrogoto durò ancora diciotto anni coi diversi sovrani, fino alla definitiva sottomissione all’impero d’Oriente. Fu infatti la sopraffazione di Teodato nei confronti della cugina Amalasunta, la figlia di Teodorico che resse il regno per il giovanissimo re Atalarico e dopo la sua morte  chiamò Teodato a condividerlo, a fornire un pretesto all’imperatore d’Oriente Giustiniano per intervenire in Italia, con l’intento di vendicare Amalasunta esiliata e uccisa ma in realtà per annettere l’Italia all’impero. Teodato fu deposto dai suoi per l’incapacità di reggere all’urto del generale Belisario e sostituito da Vitige; nel prosieguo della lunga guerra gotica la sua figura viene quasi dimenticata.

Il titolo originario di quest’opera anticipa un particolare significativo, che ha poi nel testo molta rilevanza. Teodato non era destinato a una carriera politico-militare: nato nella casa di suo zio Teodorico da una sorella del re (il padre resta decisamente ignoto), cresce a Ravenna, dove studia lettere latine e filosofia platonica, quest’ultima probabilmente non nell’originale, dato che non risulta conoscesse il greco.  Come dice Vitiello nella conclusione, Proprio come il filosofo Boezio, che non conosceva nulla di armi, il re platonico Teodato morì solo, forse addirittura proteggendosi dietro la sua filosofia per accettare l’inevitabile fine.

 Un’opera preziosa per l’ampiezza delle informazioni e delle interpretazioni delle fonti, nonché per la correttezza del metodo storico.  Al testo vero e proprio, arricchito da numerose note, si aggiungono delle appendici relative all’attività di Cassiodoro come prefetto del pretorio e alle interpretazioni degli ultimi due secoli sulle ambascerie di Teodato; inoltre un’ampia bibliografia e l’elenco delle fonti.

 


 

 
   

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