"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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 Chi siamo

Raffaello. Paolo all'AreopagoZetesis è una realtà di insegnanti universitari e liceali che si pongono il problema del significato della sopravvivenza della cultura classica e, partendo da questa domanda, hanno dato vita a una rivista semestrale diffusa nel mondo della scuola e a una serie molteplice di attività (seminari, corsi d’aggiornamento nelle scuole, prese di posizione nei confronti della politica scolastica e così via).

Partiamo da un’ipotesi, che tentiamo di articolare in tre proposizioni.

Secondo noi la presenza e la permanenza della cultura greco-romana ha una valenza non soltanto individuale, ma anche e soprattutto sociale. Fare degli autori del mondo antico oggetto di lettura e di riflessione non ha il solo fine di allargare l’orizzonte culturale di una persona: leggere i classici antichi significa mantenere continuamente vivo il nostro legame con un passato che ha tracciato, nel bene e nel male, la strada della nostra civiltà. I classici antichi rappresentano per la nostra società un imprescindibile patrimonio di esperienze: sono la nostra tradizione, la nostra memoria, la nostra eredità. Pretendere di ignorare o cancellare il passato sarebbe assurdo: significherebbe dover ripartire da zero e riconquistare con un dispendio inutile di energie ciò che l’esperienza del passato ci ha trasmesso, esattamente come sarebbe costretto a fare una persona che per un trauma o una malattia smarrisse ogni ricordo di sé. Se di fronte all’amnesia dell’individuo siamo tutti d’accordo nell’affermare che si tratta di una patologia e di una menomazione, non si vede perché il giudizio dovrebbe essere diverso se l’amnesia riguarda l’intero corpo sociale: sarebbe patologia grave il venir meno della memoria collettiva, lo smarrimento di un legame ideale che ci pone all’incrocio tra un passato ormai concluso e continuamente degno di rivisitazione e di giudizio e un futuro tutto da costruire.

Proprio perché rappresenta una parte considerevole del nostro passato e della nostra identità culturale, la cultura greco-romana merita un’attenzione privilegiata. La nostra cultura nasce da una fusione tra la linea greco-romana e la linea ebraico-cristiana. Il cristianesimo offriva i criteri per l’interpretazione dell’uomo e della realtà, il mondo greco-romano gli strumenti che rendevano questa interpretazione proponibile a tutti gli uomini. Fu la cultura greco-romana che, mentre riconosceva in modo radicale la propria diversità rispetto alle altre culture (definite barbare, anche se spesso considerate con rispetto), elaborava idee che avevano un anelito di universalità sconosciuto ad altre culture, e, giungendo infine ad affermare un ideale cosmopolita, faceva dell’uomo il cittadino del mondo. Le successive evoluzioni del pensiero, della letteratura, della scienza, l’emergere di nuovi ideali e nuove concezioni non hanno mai costituito un esplicito ripudio di questa linea di tradizione.

Aggiungiamo due precisazioni.

 Il colle dell'Aeropago ad Atene1. Non vogliamo attribuire alla civiltà occidentale nessuna patente di superiorità rispetto ad altre culture: si potrà essere affascinati da culture diverse, qualcuno troverà che indiani, cinesi, popoli precolombiani e così via hanno dato vita a civiltà degne di interesse e di studio. Ma al di là delle valutazioni individuali, la cultura greco-romana costituisce per noi un ambito di confronto privilegiato perché rappresenta il nostro passato di cittadini europei.

2. Oggi si valorizzano (giustamente) le identità etniche, e si ha nei confronti delle culture locali un atteggiamento di attenzione che fino a poco tempo fa non si aveva: sarebbe illogico non riconoscere un’attenzione quanto meno pari a un bagaglio di tradizioni, di fatti, di concezioni che ci definisce con un volto e una fisionomia precisa: ogni identità etnica locale trova la sua ragion d’essere nel quadro più ampio della nostra identità culturale europea, che a sua volta affonda le radici nel mondo greco-romano.

Come risvolto pratico e contingente di quanto abbiamo detto, aggiungiamo che è questa consapevolezza di essere eredi di una specifica cultura e portatori di una precisa identità culturale che ci fa cittadini di un’unica patria europea: non si costruirà nessuna Europa, se la sola (e angusta) prospettiva in cui ci si muove è quella dell’integrazione economica o della moneta unica. L’Europa si costruirà solo se si prenderà in considerazione l’immenso patrimonio che unisce i popoli che sono stati toccati in modo decisivo dal processo di elaborazione culturale originato nell’ambito greco-romano.

Accanto agli elementi di continuità che intercorrono fra il mondo classico e noi esiste anche un’alterità che è doveroso rilevare. Le culture della Grecia e di Roma hanno aspetti di diversità rispetto alla nostra cultura di oggi. Per questo, è necessario un atteggiamento di lettura corretto di queste civiltà. È riduttivo limitarsi alla microfilologia, alla spiegazione persino ossessiva di particolari da cui poi non emerge un filo conduttore. È altrettanto scorretto fare del mondo classico un oggetto di pura curiosità, e limitarci a chiedersi come mangiavano o come vestivano (o, in modo più sofisticato, ma sostanzialmente analogo, come erano i rapporti di produzione o l’organizzazione delle relazioni sociali). Infine, è scorretto ignorare lo specifico di quella cultura, e sovrapporre sulla lettura degli antichi il nostro modo di pensare (la nostra ideologia). Comune a questi atteggiamenti è la parcellizzazione. Da queste modalità d’affronto non emerge l’uomo antico: emergono frammenti di uomo che non si ricompongono in un’unità, e proprio per questo finiscono per essere parziali nel senso originario del termine (che abbraccia cioè delle parti, non un’interezza). Si tratta di tentazioni in cui incorrono spesso anche addetti ai lavori, talora autorevoli e prestigiosi. È stato detto che l’attenzione per il singolo albero fa dimenticare che ci si trova in una foresta: se si ha la pazienza di scorrere solo qualche pagina di quel terrificante strumento di lavoro che è divenuto l’Année Philologique, si ha l’impressione che questo paragone oggi sia superato: l’attenzione non è più rivolta al singolo albero, ma alle sue singole foglie. Occorre spostare la prospettiva su un piano leggermente diverso: cerchiamo di immergerci nella foresta e respirarne l’ossigeno, lasciando che siano gli antichi a guidarci in questo percorso.

Atene. Il PartenoneNel consistente patrimonio che i Greci e i Romani hanno trasmesso alle generazioni successive vorremmo sottolineare alcuni aspetti. Li enunciamo qui brevemente come ipotesi di lavoro da verificare e riempire di contenuto.

1. La vita come ricerca, tesa allo scoprimento della verità. In greco verità si dice alétheia, che vale propriamente ‘svelamento, rivelazione’: ciò che prima appariva in modo confuso ora appare in modo più nitido, perché la nebbia che impediva allo sguardo di mettere a fuoco le diverse realtà si è dissolta. Una vita che non sia ricerca non è degna di essere vissuta, ricorda Platone. Per l’antico l’atteggiamento nichilista non è motivo di trionfo (trionfo insincero, perché se fosse sincero sarebbe disumano), bensì amara dichiarazione di sconfitta: nell’antico è difficile scoprire quella narcisistica propensione al pensiero debole e al relativismo che aleggia in tanta parte della pubblicistica attuale. Il desiderio di sapere e di conoscere si coniuga però con l’amara consapevolezza che tante verità (chi siamo, perché viviamo, perché esiste il dolore e la morte) non possono essere raggiunte dall’uomo coi soli mezzi di cui dispone.

2. Un realismo nei confronti dell’uomo, di cui è percepita la tensione verso l’ideale, ma è riconosciuta anche l’inadeguatezza e la propensione al male: "video meliora proboque, deteriora sequor", come dice sinteticamente il poeta Ovidio. Soprattutto è sentito (talvolta in modo angoscioso e drammatico) il limite immanente dell’essere umano, ed è sentita come colpevole la tentazione di violare questo limite.

3. Il riconoscimento dell’uomo come microcosmo, anello di congiunzione tra due infiniti, creatura in cui si riassumono tutte le grandezze e le potenzialità della natura, nel grande e nel piccolo, nel bene e nel male: immensamente grande di fronte a un immensamente piccolo, e viceversa immensamente piccolo di fronte a un immensamente grande che lo trascende. In entrambi i casi, il riconoscimento di un limite strutturale e invalicabile di fronte a due misteri: e siccome è comunque il mistero che determina il destino dell’essere umano, perché l’uomo è fabbro della propria fortuna in misura poco più che modesta, il problema del senso della vita, del proprio esistere, dell’essere continuamente esposti a un destino di morte, interroga l’uomo antico in maniera drammatica e lacerante.

Alla luce di queste ipotesi tentiamo, soprattutto attraverso la nostra rivista e le varie attività a cui diamo vita, una rilettura del mondo antico, che tenga adeguatamente in conto sia i frutti del pensiero e della cultura greco-romana sia il prolungarsi di questa esperienza fino alla nostra epoca, soprattutto attraverso il recupero che il Cristianesimo ha operato dei suoi aspetti più duraturi.

 



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