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"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Magda Szabó, A pillanat, 1990, tr. it. Il momento, Edizioni Anfora, Milano, 2008

La cultura ungherese ha sempre mostrato grande interesse per la letteratura greco-romana, segno di un’appartenenza all’Europa che non è mai venuta meno nelle diverse vicissitudini storiche e politiche e che ha contribuito a creare, insieme al patriottismo e alla fede, l’autocoscienza di questo straordinario popolo. Intere generazioni hanno studiato soprattutto il latino, letto Virgilio, Orazio, Fedro; hanno conosciuto e amato i poeti greci, anche se prevalentemente in traduzione. Ne è nato il tentativo di rileggerli e riscriverli da diversi punti di vista, mettendo in rilievo personaggi minori: un esempio è Béke Ithakában di Sándor Márai, rilettura dell’Odissea e in genere del mito di Ulisse dal punto di vista di Penelope, Telemaco e Telegono. Un altro esempio è questo romanzo di una della autrici ungherese più famose, nota anche in Italia da molti anni per la pubblicazione del romanzo Az őz (Il cervo), tradotto in italiano col titolo L’altra Ester, e più recentemente per l’arrivo dei romanzi più famosi, tradotti coi titoli La porta, Via Katalin, La ballata di Iza, e di alcuni romanzi per ragazzi.

Il momento è una riscrittura dell’Eneide dal punto di vista di Creusa (da cui il sottotitolo Creusaide). Nell’ampia introduzione l’autrice racconta l’origine del romanzo a partire dall’interesse per il poema, conosciuto prima dai racconti serali del padre, poi dalle letture liceali e dagli studi universitari: con questo s’intreccia la sua storia e la storia tragica della sua famiglia e del suo paese, che si ritrovano anche nei romanzi citati più sopra. S’intreccia anche una cultura al femminile presente in tutti i romanzi, in cui prevalgono le protagoniste, a volte due donne in difficile rapporto o in conflitto (Ester e Angéla, Emerenc e l’io narrante, Iza e la madre).

L’autrice racconta, in diversi flashback, la storia di Troia, inventando la vita quotidiana, l’educazione dei bambini e dei giovani, i rapporti fra i parenti: la profezia romana viene rivista come storia da studiare al futuro, da realizzare conoscendone già tutte le tappe, fino alla prosecuzione nei secoli a venire. Ma, con un paradosso che sconvolge la storia, Creusa, avendo saputo che la sua morte è prevista, affronta il marito alle porte di Troia e lo uccide: tre complici, Caieta, lo schiavo suo compagno e Panto, fanno credere che Venere ha salvato il figlio nascondendolo in un’immagine femminile. Dopo di allora Creusa/Enea percorre tutte le tappe, vince la guerra in Italia e sposa Lavinia persuadendola ad attendere che l’incantesimo abbia termine. Dopo aver riorganizzato lo stato preparandolo per il compito storico che l’attende, Creusa annuncia a Turno (sconfitto, ma non ucciso) che salirà in cielo: gli affida il giovane re Iulo e la sposa. Poi di nascosto s’imbarca con i compagni superstiti, Panto ormai vecchissimo e Caieta che una terribile dea ha reso mostruosa: tornano nella patria distrutta scacciandone turisti e profittatori.

Una storia anomala, che un po’ disturba per l’intento dissacrante e per la difficoltà a reggere fino in fondo una situazione così bizzarra. Ne emerge però un significato interessante: la possibilità di un momento (il titolo, anche nell’originale) in cui si può essere liberi, mutare la storia; e insieme la nostalgia per un passato perduto, per una patria, parenti, compagni di ideali e lavoro, scomparsi, in un tempo vissuto, direbbe Tacito, per silentium.

 

Nell'immagine: Federico Barocci, Fuga di Enea da Troia (1598), olio su tela, 179 x 253, Galleria Borghese (Roma)

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