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Appendice I. L’iscrizione di Kandahar

 

δέκα ἐτῶν πληρη[....]ων βασι[λ]εὺς

Πιοδασσης εὐσέβεια[ν ἔδ]ε[ι]ξεν τοῖς ἀν-

θρώποις, καὶ ἀπὸ τούτου εὐσεβεστέρους

τοὺς ἀνθρώπους ἐποίησεν καὶ πάντα

εὐθηνεῖ κατὰ πᾶσαν γῆν· καὶ ἀπέχεται

βασιλεὺς τῶν ἐμψύχων καὶ οἱ λοιποὶ δὲ

ε τινες ἀκρατεῖς πέπαυνται τῆς ἀκρα-

σίας κατὰ δύναμιν, καὶ ἐνήκοοι πατρὶ

καὶ μητρὶ καὶ τῶν πρεσβυτέρων παρὰ

τὰ πρότερον καὶ τοῦ λοιποῦ λῶιον

καὶ ἄμεινον κατὰ πάντα ταῦτα

ποιοῦντες διάξουσιν.

 

 

Traduzione:

Si sono compiuti dieci anni da che il re Piodassi ha rivelato la devozione agli uomini, e da allora ha reso gli uomini più devoti e ogni cosa fiorisce su tutta la terra: e il re si astiene dagli esseri viventi e il resto della popolazione, se vi erano degli intemperanti, hanno cessato dall’intemperanza per quanto possibile, e sono rispettosi del padre e della madre e degli anziani rispetto a prima, e per il futuro più e meglio rispetto a tutte queste cose continueranno ad operare.

 

Commento sommario:

– δέκα ἐτῶν πληρη[....]ων: si noti l’elegante apertura dell’iscrizione con un genitivo assoluto.

– πληρη[....]ων: l’unica integrazione possibile è πληρημένων, che dà adito però a una forma doppiamente scorretta: se si accetta πληρημένων si ha a che fare con un perfetto (che sarebbe la forma attesa anche da un punto di vista sintattico, come più avanti πέπαυνται) senza raddoppiamento formato su un non attestato *πληρέω in luogo del consueto e corretto πληρόω; il documento impedisce la lettura πληρουμένων col presente, che sanerebbe ogni dubbio. Probabilmente l’autore del testo è stato tratto in inganno dalla forma aggettivale πλήρης, sulla quale ha erroneamente costruito il suo deverbale.

– Πιοδασσης: trascrizione greca della forma Piyadasi (o simili) che si legge in altre iscrizioni. Si tratta della forma pracrita di sanscr. priya-darśī, formato da priya- ‘amichevole, piacevole’e da darśin- ‘sguardo, vista’: quindi ‘dal caro viso’. È la titolatura con cui Aśoka si presenta nelle sue iscrizioni, con un rovesciamento della più usuale denominazione dei re indiani (e orientali) devānām priya ‘caro agli dèi’: non è il rapporto con gli dèi (cioè la benevolenza con cui gli dèi lo trattano) a definire Aśoka, bensì il rapporto di benevolenza e di amicizia con cui si propone nei riguardi dei sudditi.

– εὐσέβεια: è la traduzione greca di pracrito dhamma, sanscrito dharma, che è parola chiave delle iscrizioni di Aśoka. Il valore esatto del termine è stato variamente discusso: sono state proposte diverse traduzioni di dhamma. Nel glossario di Woolner leggiamo (1): «Dhama (...) is translated by Bühler “Sacred Law”, by Vincent Smith “Piety”. It includes “morality, religion, law, justice”, and is not necessarily always identical with Buddhist “dhamma”. “Sacred law” covers the ground better than “Piety”; Hultsch prefers “morality”». In realtà il riferimento all’iscrizione greca permetterebbe quanto meno di restringere il campo semantico del termine indiano: non è la legge sacra in quanto tale, ma l’atteggiamento di rispetto con cui l’uomo si pone nei confronti della stessa a essere prevalente in εὐσέβεια: poiché correttamente il lessico di Woolner ci avverte che in dharma è presente il valore sia di ‘legge morale’ sia di ‘legge religiosa’, il significato esatto di dharma/dhamma sembra essere quello di ‘devozione, pietas’.

– εὐθηνεῖ: si noti la correttezza dell’accordo neutro plurale ~ verbo al singolare. Il verbo indica fioritura materiale e abbondanza, soprattutto di beni e di bestiame. E’ parola ampiamente diffusa nella prosa ellenistica. La grafia oscilla tra εὐθενέω e εὐθηνέω, e l’origine della parola è oscura. 

– πατρὶ καὶ μητρὶ καὶ τῶν πρεσβυτέρων: si osservi la dipendenza da ἐνήκοοι prima col dativo e poi col genitivo, coordinati tra loro.

λῶιον: “più”, più e meglio in relazione alla condotta di vita che ci si attende in futuro (διάξουσιν).

 

(1) Woolner A.C., Asoka [sic] Text and Glossary. Part I: Introduction, Text, Rare Reprints, Delhi, 1982 (rist. anastatica dell'ediz. 1924), p. 97.

 

Illustrazione: L'iscrizione greco-aramaica di Kandahar (già al Museo di Kandahar, oggi dispersa)

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