Un prosatore della tarda antichità: Paolo Diacono
Nuova Secondaria, 15 gennaio 1995, pag. 56-57
Dopo cinque anni di insegnamento liceale, lo studente potrebbe non aver
mai sentito nominare Paolo Diacono: si ricorderà del suo nome al massimo
qualche studente particolarmente attento, per l'uso che ne fa, come
fonte storica per l'Adelchi, Manzoni. Eppure i motivi che
consiglierebbero di dare a Paolo Diacono almeno un minimo di spazio sono
più di uno.
Innanzitutto quest'autore si colloca in un'epoca di crepuscolo, nella
quale lo sguardo è comunque ancora fisso ai grandi valori del passato.
Paolo
Diacono è un nobile longobardo: ma la contrapposizione fra germanico e
latino non è vissuta in lui come una contraddizione: fra mondo romano e
mondo longobardo vi è coesione, non rottura, e il periodo longobardo è
percepito come il prolungamento di quello romano, al punto da riscrivere
Eutropio portando il racconto dei fatti fino alla sua epoca. Ha appreso
il latino nella scuola, e lo usa come fosse la sua prima lingua,
spingendosi fino a riassumere una delle più erudite e complesse opere di
lessicografia dell'antichità, il De verborum significatione di Pompeo
Festo. Non per questo viene meno in lui l'orgoglio dell'appartenenza
alla gente longobarda: semplicemente, l'essere e il parlare longobardo
sono il particolare, mentre il pensiero e la lingua di Roma offrono un
respiro universale.
La sua Historia Langobardorum (1) è
un documento molto interessante di prosa latina tarda: se paragonata ad
altri documenti coevi di minore impegno, risalta la sua grande pulizia
formale. Questo non elimina la presenza, rispetto alla morfologia e alla
sintassi ciceroniana, di discordanze, che spesso documentano non tanto
la negligenza di copisti che avrebbero travisato e involgarito il
dettato dell'autore, quanto il carattere vivo di una lingua che, pur
assumendo i grandi modelli del passato come punto di riferimento
costante per un'espressione piena e articolata del pensiero, non rifiuta
di adeguarsi alla rapida evoluzione del parlato. In Paolo Diacono
l'adeguamento è comunque moderato, e, laddove forme del latino classico
sono completamente uscite dall'uso, si ricorre per sostituirle non già
alla forma volgare corrente, bensì a un'altra forma classica: ad
esempio, in luogo dell'ormai debole ire, le cui forme
monosillabiche sono all'epoca desuete, non si usano generalmente i
volgari ambulare e vadere, bensì pergere; in
luogo del disusato edere non si usa comedere
(prevalente nella latinità iberica) o manducare (prevalente in
Gallia e in Italia), bensì vesci. Si legga la presentazione di
Liutprando (VI 58), per avere un'idea della sua prosa:
Fuit autem vir multae sapientiae, consilio sagax, pius admodum et
pacis amator, belli praepotens, delinquentibus clemens, castus, pudicus,
orator pervigil, elemosinis largus, litterarum quidem ignarus, sed
philosophis aequandus, nutritor gentis, legum augmentator.
L'ossatura del periodo, con parallelismi, chiasmi, eleganti variazioni,
la scelta dei vocaboli, tutto il modo di procedere insomma denuncia
evidente il richiamo ai modelli classici: ma gli elementi caratteristici
della latinità tarda si presentano in modo prepotente: un grecismo come
elemosinis (nel latino tardo l'influsso greco è assai più forte
che nella lingua classica), nomi in -tor (formazione
particolarmente amata dal latino tardo) come amator e
soprattutto nutritor, augmentator, o ancora un termine
come pervigil, che la prosa postclassica (a partire da Apuleio)
accoglie dalla poesia. Ma l'ossatura fondamentale della lingua è quella
classica. Secondo L.J.Engels, che ha operato uno spoglio minuto del
lessico di Paolo Diacono, gli elementi comunque classificabili come
tardi costituiscono appena il 12,6% del totale, ed è significativo, in
questo storico di madre lingua germanica, che mentre i grecismi hanno un
discreto rilievo, i germanismi (limitati comunque a termini tecnici
insostituibili) sono presenti nella proporzione di appena lo 0,6%. La
conclusione è che "il latino di Paolo Diacono è il latino letterario.
Non è una lingua artificiale («Kunstsprache»). Contiene un elemento
artificiale: il mantenimento delle regole classiche, trasmesse dalla
scuola; ma vi si aggiunge un elemento vivo, vale a dire l'applicazione
di queste regole antiche ai materiali linguistici dell'epoca". Le porte
verso il nuovo sono aperte: ma il manifestarsi completo del nuovo non
può avvenire che attraverso un'equilibrata valorizzazione dell'antico.
(1) Vi sono
attualmente a disposizione almeno tre edizioni con testo e traduzione a
fronte, tuute facilmente accessibili e affidabili: quella di Lidia Capo
nella Collezione Valla (ed. Mondadori) e quelle economiche nella TEA
(cur. E. Bartolini) e nella BUR (trad. e note di A.Zanella, introd. di
B.Luiselli).
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