Il latino dei medici
Nuova Secondaria, 15 febbraio 2001, pag. 88-89
Anche in latino esistevano linguaggi
settoriali, funzionali cioè alla comunicazione di contenuti molto
specifici in un ambito preciso. Caratteristica dei linguaggi settoriali
è di essere carichi di tecnicismi e tendenzialmente chiusi:
preoccupazione fondamentale del parlante è di rendere la propria
comunicazione concisa ed efficace, evitando giri di parole inutili e
ambiguità pericolose; peraltro l’inevitabile interazione con la lingua
comune fa sì che termini o modi di dire propri del linguaggio settoriale
si affermino anche in un ambito più generale.
Un accenno all’esistenza di lingue settoriali in latino non dovrebbe
mancare, anche se certo lo studio del latino tecnico non può essere fine
a sé stesso. Anni fa erano diffuse nel liceo scientifico antologie di
testi di prosa scientifica, in quanto si riteneva che una scelta
siffatta corrispondesse meglio all’identità di questo indirizzo di
studi: questo modo di procedere si è rivelato errato ed è stato quasi
abbandonato negli anni successivi. Da una parte, infatti, non si capisce
perché proprio nello studio del latino il liceo scientifico dovrebbe
affermare una vocazione specifica che non risulta neppure presa in
considerazione in altre discipline di area umanistica come la storia o
la filosofia; in secondo luogo, nell’esiguità di tempo a disposizione
per la lettura non è coerente valorizzare Vitruvio o Columella a scapito
di prosatori culturalmente più significativi come Tacito o Seneca. Poste
queste premesse, un’incursione in qualche linguaggio settoriale,
limitata alla lettura intelligente di qualche brano di versione, è
ipotesi da non scartare .
L’esempio che proponiamo è quello della medicina, e l’opera a cui
facciamo riferimento è quella di Celso, autore ben rappresentato nelle
antologie di versioni, e addirittura prescelto per il brano della
maturità magistrale in anni recenti: ma senza un richiamo almeno
iniziale al linguaggio della medicina non si potrebbero affrontare, per
esempio, il finale di Lucrezio o tante pagine di Seneca in cui viene
istituito e perseguito con descrizioni realistiche il paragone tra
malattie del corpo e dell’anima. Noteremo innanzitutto nella lingua di
Celso un carattere meno lontano dalla lingua dell’uso parlato di quanto
avvenga nella prosa letteraria: p.es. ricorre l’uso di si per introdurre
l’interrogativa indiretta o di cum con l’ablativo per esprimere il
mezzo. Lo sforzo di comunicare con precisione porta a mettere sullo
sfondo altre preoccupazioni stilistiche: da qui l’impressione di
trascuratezza che si avverte. La presenza di grecismi è significativa (glaucoma,
collyrium, emplastrum, dyspepsia, ecc.):
poiché sempre nei linguaggi settoriali sono presenti termini stranieri
che provengono dalle lingue che hanno goduto di particolare prestigio
nell’ambito particolare (si pensi al francese nella moda, all’italiano
nella musica, all’inglese nello sport o nell’informatica), risulta
chiara la dipendenza di Roma dalla Grecia nell’arte medica, a lungo
studiata e praticata da greci, spesso di condizione servile. I
tecnicismi possono presentarsi in due modi: o come termini di uso
limitato, propri di quel determinato linguaggio settoriale, o come
termini della lingua comune usati con un significato particolare. Esempi
del secondo tipo sono ad es. loci (per indicare parti del
corpo) o causa (per indicare la malattia), quest’ultimo ellissi
(fenomeno frequente nelle lingue tecniche) da causa morbi: a
questo valore tecnico di causa si riallaccia il derivato causarius,
la persona facilmente soggetta a malattie (analoga la derivazione di it.
cagionevole da cagione ‘causa’). In fracta o contusa usati isolatamente si dovrà sottintendere
membra: l’uso ripetuto di aggettivi o participi sostantivati è
caratteristica notevole del linguaggio medico.
Altro carattere comune delle lingue settoriali è il ricorso a metafore.
L’esatto significato originario e l’etimologia di ieiunus ci
sfuggono: forse la parola indicava in origine i campi aridi e poco
produttivi in opposizione a umidus. Nella medicina la coppia
ieiunus : umidus viene ripresa con valore diverso:
ieiunus è il corpo smagrito per mancanza di cibi o liquidi, e si
oppone a umidus ‘linfatico’. In séguito ieiunus viene
a indicare la persona che non ha ingerito cibi, e in questo senso il
termine passa alla lingua comune, ove è proseguito fino ai nostri giorni
ad es. nel franc. jeûne o nell’ital. digiuno
(attraverso una fase intermedia non documentata *gigiuno).
Partendo dal valore di ‘affamato’ o ‘assetato’ la parola assume
sfumature nuove: ad es. in contesti astratti vale ‘gretto, povero,
limitato’, con implicazioni etiche o intellettuali (animus ieiunus,
mens ieiuna). Con ulteriore estensione della metafora, ieiunus
entra in un diverso linguaggio settoriale, quello dell’oratoria, dove
espressioni come oratio ieiuna o orator ieiunus indicano
il carattere disadorno di un testo o di un oratore.
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