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Ciclo primavera 2021. Primo Sabato di Zetesis

6 marzo 2021, ore 17/19

 
Lettura dell’Inno omerico a Demetra: resoconto degli interventi.
 
- Nell’ultimo incontro prima di Natale abbiamo letto gli inni di Prudenzio e Ambrogio sul Natale, nel quadro della poesia cristiana latina. Per questo abbiamo pensato di riprendere il genere dell’inno tornando alle origini greche. In realtà il tema è risultato molto più complesso da affrontare di quanto pensassimo, abituati al poco spazio (e poco interesse nei manuali) riservato agli inni omerici in particolare. Suggeriamo quindi di riprendere personalmente l’argomento del genere dell’inno, origine, forma, occasioni, sviluppo all’interno di altri generi, ad esempio leggendo l’introduzione di Càssola agli Inni omerici nell’edizione della Fondazione Valla. Particolarmente complessa è la questione della datazione: ad esempio Cantarella colloca gli inni omerici fra il settimo e il terzo  secolo, quindi fino all’ellenismo avanzato, mentre Colonna si ferma al quinto. Per l’inno a Demetra di cui ci occupiamo oggi la datazione è alta, fra la fine del settimo e il sesto secolo: discriminante è il rapporto fra Eleusi ed Atene, se cioè Eleusi sia già nell’orbita politica ateniese o sia ancora autonoma: nell’inno ha un proprio governo, ma può trattarsi della proiezione mitica di una situazione storica e del resto anche la conquista ateniese è di datazione molto incerta.
- La decisione di scegliere questo inno e di farlo seguire dal primo stasimo delle Baccanti e dall’Inno a Demetra di Callimaco ha un interesse particolare, l’indagine cioè sul rapporto beneficio ~ vendetta nelle divinità che più sono vicine alla vita degli uomini, cioè Demetra e Dioniso (esplicitamente alleati nella punizione in Callimaco). Sembra cioè che il dono richieda una particolare adesione, e il dono di una divinità della natura un particolare rispetto. Che Demetra sia una datrice di doni è detto da lei stessa ai vv. 268-69: ὄνεαρ καὶ χάρμα sono doni che richiamano Dioniso.
- E’ vero però che nell’inno omerico la vendetta di Demetra colpisce gli uomini indirettamente, perché qui l’ira è rivolta agli dèi: Ade, Zeus che ha permesso il rapimento, Gea che l’ha favorito, gli dèi consapevoli ma ben poco partecipi del dolore materno. Invece l’offesa ricevuta da Metanira  viene placata con l’offerta del tempio.
- Per quanto riguarda la lingua, nell’epica postomerica si nota l’influsso duraturo del modello omerico ma anche un progressivo avvicinamento della lingua letteraria a quella parlata. Ad esempio ᾠδή subentra all’omerico ἀοιδή negli inni (v. 494 di questo, ma anche v. 20 dell’Inno ad Apollo); allo ionico κούρη  (κούρῃσι  v. 5) si affianca l’attico κόρη (si veda il v. 439).    
- Ma l’atticismo potrebbe dipendere dal culto eleusinio di Kore.
- Altri aspetti linguistici: si alternano temi doppi: ὄχος omerico come tema neutro  in -s- si trova ad esempio nel nostro inno al v. 19 (ὄχεσφιν) ma altrove è declinato come un tema maschile in -o-; θυγάτρα (v. 2) si alterna a forme con l’-ε- interna. Nel primo verso θεάν del testo tradito richiamerebbe il primo verso dell’Iliade (ma le edizioni preferiscono θεόν); v. 3 l’epiteto εὐρύοπα ha una desinenza omerica dalla formazione poco chiara (un vocativo?), e anche il significato non è chiaro, come spesso negli epiteti divini. Al v. 267 ἤματα è antichssima forma ionica (si tratta di una formazione co tema r/N che sta diventando desueta già nella fase antica delle lingue indoeuropee) soppiantata prestissimo dall’attico ἡμέρα.
-  L’etimologia di ἦμαρ è sconosciuta. Fra le lingue ie. solo l’armeno  utilizza la stessa radice per “giorno” nella forma awr (< *āmṛ)..
- Attingendo al materiale omerico vengono create nuove forme, come κύδιμος, che non si trova prima degli Inni ma ha sia la radice sia il suffisso che risalgono ad epoca ie. Sono recenti anche diversi epiteti di divinità, come ὀβριμόθυμος  nell’Inno ad Ares, v.2, ma sono esemplati sullo stile omerico, come avviene anche per epiteti esiodei. Naturalmente potrebbero trovarsi  anche in testi epici non pervenuti.

The Rape of Proserpine - The Collection - Museo Nacional del Prado- Una di noi legge metricamente il primo gruppo di versi che abbiamo scelto. 1-21. Notiamo alcune particolarità: ἀθάνατος (v. 18, ma ricompare anche in seguito) ha lunga l’α iniziale, con allungamento in arsi già omerico. In questo verso la parola compare nel cod. come ἀθανάτοισι, ma è testimoniata anche al femminile in un papiro: poiché ἵππος è usato anche per il femminile, e ἀθάνατος è per lo più a due terminazioni, solo la variante del papiro specifica che si tratta di cavalle, come è frequente nei miti.  Più avanti troveremo χερσίν τ᾿ ἀθανάτῃσι a tre terminazioni al v.232 nell’edizione Valla, ma il codice ha ἀθανάτοισι a due terminazioni.
- Metrica omerica, con alcuni versi spondaici, fenomeni della lingua omerica come la distractio.  
- Si nota un accumulo di epiteti, a volte superflui. Ad esempio Demetra è definita con epiteti tipici di personaggi femminili (ἠύκομον), o suoi propri (ἀγλαοκάρπου), ma anche con χρυσαόρου che si trova genericamente per varie divinità e sembra un di più. L’impressione è che si voglia accentuare con l’accumulo di epiteti il tono epico.
- I nomi dei fiori, come spesso per i termini della flora, sono preindeuropei: vedi ad esempio la terminazione -ισσος.
- Troviamo qui il primo αἴτιον dell’inno. E’ interessante il fatto che non corrisponde al più comune mito della nascita del narciso dalla morte del personaggio eponimo: qui invece è fatto spuntare da Gea per ingannare Persefone. Ci riproponiamo di indagare sullo sviluppo del mito, che ha come costante la straordinaria bellezza del fiore.
- Ricordiamo l’elogio del narciso nel primo stasimo dell’Edipo a Colono, a cui anche Del Corno si è ispirato per il libro I narcisi di Colono.
- Ricordiamo anche The daffodils di Wordsworth: in quella poesia, molto amata nei programmi scolastici d’inglese,  i narcisi sono gialli, tanto da dare un’impressione di oro.
 
- Leggiamo il secondo passo scelto, vv. 231 segg.
- Notiamo un secondo αἴτιον,  la lotta annuale ad Eleusi in onore di Demofonte.  Naturalmente nel prosieguo dell’inno c’è l’αἴτιον principale, l’origine dei misteri eleusini. Ne nascono due osservazioni:
- in genere a scuola si dice che il gusto eziologico è tipico dell’ellenismo, in quanto aspetto dell’erudizione, ma in realtà è presente in tutta la letteratura greca, come si nota in questo inno;
- il mito di Demetra sembra decisamente diverso rispetto alla variante più nota, cioè il dono dell’agricoltura agli uomini; qui l’agricoltura è già conosciuta e praticata (v. 305 segg.), mentre l’intervento vendicativo della dea ha come esito il vanificarsi di aratura e semina. Trittolemo, protagonista della variante più nota, è qui uno dei capi politici della città (v. 473 segg.), destinatario come gli altri, o forse più degli altri perché nominato per primo, del dono dei misteri. Ci ripromettiamo anche su questo punto di indagare le varianti mitiche.
- Ci pare un elemento realistico il discorso di Metanira a Demetra nell’affidarle il figlio. Demofonte è l’unico maschio, in una società patriarcale, figlio di un capo politico, nato tardi e insperato:  ciò che si richiede alla balia è di farlo giungere alla giovinezza, segno evidente della mortalità infantile sempre in agguato (v. 221)                     
-  In un punto in cui il testo è problematico, forse lacunoso (v.235), si dice che Demetra allevava Demofonte senza dargli cibo (forse anche senza porgergli il latte, ma questa parte è controversa). Cibo è σῖτον, che più specificamente sarebbe grano lavorato, pane, peraltro prerogative proprie di Demetra.
- Viene dunque evitata la caratteristica umana del mangiare (pane o comunque cibo), per far crescere il bambino come fosse un dio, perché gli dèi non mangiano cibo umano. Infatti nel quinto dell’Odissea Odisseo e Calipso pur mangiando insieme hanno cibi diversi, lui da mortale lei da dea.
- Si introduce fra noi una digressione sul rapporto uomo ~ dio nelle offerte sacrificali, sia di cibi come carni sia di fumo. Clemente Alessandrino negli Stromati critica l’offerta di carni agli dèi, affermando che in Omero dono agli dèi è il fumo delle vittime (Il. IV, v.49). Si discute sul termine κνῖσα  / κνίση (oltre a fumo del grasso o delle carni s’incontra nel senso di grasso): Clemente comunque intende il senso di fumo.   
- Fra le divinità dell’India Agni (il dio del fuoco) ha il compito di distribuire le offerte di fumo agli altri dèi.
- Tornando al rapporto dèi ~ cibo, notiamo come Persefone mangiando (i chicchi di melograno) si condanna a restare legata agli Inferi
- Un grosso tema presente nell’inno è quello della possibile immortalità. Confrontando diversi miti notiamo delle costanti:
- l’uso del fuoco per rendere immortali: qui Demetra pone nel fuoco Demofonte unto di ambrosia, Teti fa lo stesso con Achille, come è narrato nel IV libro delle Argonautiche (diversa è la questione dell’immersione in acqua, mito forse tardivo, comunque noto non prima del vago accenno dell’Achilleide di Stazio; decisamente posteriore, forse nato da un equivoco sulla ferita ricevuta, il fatto del tallone vulnerabile); a sua volta la vita di Meleagro è legata ad un tizzone estratto dal fuoco e conservato dalla madre (diverse varianti in Bacchilide ep. 5 e in Iliade IX).
- un intervento umano impedisce il compiersi della immortalità: qui è Metanira che ferma Demetra, per Achille è il padre che ferma Teti (in entrambi i casi per errore e ignoranza), mentre per Meleagro è la madre adirata che brucia volontariamente il tizzone.
- Possiamo trarne delle riflessioni:
- nonostante i tentativi, per l’uomo l’immortalità è impossibile
- tutta la vicenda potrebbe alludere ai riti eleusini di iniziazione misterica
- Una digressione, a partire da esempi fiabeschi simili,  porta a discutere sul rapporto fra mito e fiaba, che apre una grossa tematica da riprendere.   
 
Come si è visto, la conversazione ha aperto molte di piste di lavoro, che affidiamo da approfondire ai partecipanti e ai lettori.

                                                             


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