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Virgilio e la tradizione bucolica dopo Teocrito

 

Virgilio è forse il primo fra i latini a riprendere la poesia bucolica: cosi almeno Servio Danielino interpreta ecl. VI 1-2: Prima Syracosio dignata est ludere versu | nostra neque erubuit silvas habitare Thalea. Come dice il poeta nei versi successivi (3-5), un’imitazione degli Aitia callimachei (21 ss.), lo stesso Apollo lo stornò dal comporre poesia epica o forse tragica esortandolo alla poesia pastorale, in stile deductum (non ‘dimesso’, come è sovente inteso, ma ‘sottile’, corrispondendo al callimacheo λεπταλέην). Che altri poeti contemporanei si siano cimentati in questo genere non sappiamo: due passi dello stesso Virgilio farebbero pensare ad una conversione di Cornelio Gallo alla poesia bucolica (ecl. VI 64 ss.; X 50 ss.): ma non è certo né che si tratti di un fatto reale, né che sia precedente all’inizio del poetare di Virgilio. Il modello vergiliano per le ecloghe è sicuramente Teocrito. Anzitutto troviamo numerosi riferimenti alla poesia siciliana o siracusana in particolare: ecl. IV 1 Sicelides Musae, VI 1 Syracosio ... versu, X 1 Arethusa, 51 carmina pastoris Siculi. Inoltre l’imitazione teocritea si riscontra ovunque nell’opera: cfr. ecl. II con Theocr. XI (Il Ciclope); ecl. III con Theocr. IV, V e VIII, ecl. V con Theocr. VIII; ecl. VIII con Theocr. I, III e XI per la prima parte, II (Le incantatrici) per la seconda parte. Si tratta di rilevare in che cosa Virgilio si differenzi dal modello ellenistico.

1. La prima caratteristica virgiliana è l’idealizzazione. Nonostante la precisione dei termini con cui sono indicati piante, animali e attrezzi della vita pastorale, viene a mancare il realismo teocriteo e la concretezza con cui ogni aspetto della vita, e soprattutto l’amore, è presente al poeta greco. Si vedano ad esempio i passi seguenti: Theocr. XI 42-49 "Su, vieni da me e non possederai di meno: lascia infrangersi sulla riva il glauco mare. Più doleemente nella grotta presso di me trascorrerai la notte. Qui ci sono piante d’alloro, qui svettanti cipressi, un’edera seura, la vite dai dolci frutti, acqua fresca, che l’Etna boscoso mi manda dalla neve bianca, bevanda immortale. Chi preferirebbe a ciò avere il mare e le onde?" ~ ecl. IX, 36-43 "Vieni qui, Galatea. Che piacere c’è nelle onde? Qui la purpurea primavera, qui intorno ai fiumi la terra fa nascere fiori di vari colori, qui un candido pioppo sporge sulla grotta e flessibili viti intrecciano ombre: vieni qui; lascia che i flutti impazziti urtino le rive".

L’imitazione virgiliana è esplicita: anche in Teocrito è Galatea la ragazza invitata (da Polifemo). Ma nel passo teocriteo la descrizione della natura finalizzata all’utilità pratica è incentrata sul soddisfacimento amoroso; in quello virgiliano troviamo piuttosto la contrapposizione di una bellezza naturale ad una bellezza naturale inferiore, e l’elemento erotico è solo sottinteso. L’amore, pur presente come elemento tradizionale del genere, è povero di descrizioni sia realistiche sia psicologiche (il linguaggio delle Bucoliche è carente proprio nel lessico dei sentimenti). Ciò che prevale nella poesia bucolica virgiliana, invece, e che appare come connotato fondamentale dell’opera, è l’individuazione di un locus amoenus, un luogo ideale per bellezze naturali e per tranquillità, in cui "vivere appartato" secondo i suggerimenti epicurei. Quale luogo è individuato dal poeta come amoenus? La collocazione geografica delle ecloghe è generalmente vaga: tre volte si tratta probabilmente della Valle Padana, cioè la campagna del poeta stesso (ecl. I, VII e IX), una volta la Sicilia, per la precisa imitazione teocritea (ecl. II, in cui Coridone è modellato su Polifemo). Ma il locus amoenus per eccellenza è l'Arcadia, terra del dio Pan, che, come sappiamo da un epigramma di Meleagro (AP VII 535), è dio dei pastori.

I riferimenti all’Arcadia come luogo di poeti cantori sono frequenti: basti pensare all’Arcades ambo della VII Ecloga (VII 4), in cui l’indicazione serve a sottolineare le qualità ideali dei due gareggianti, e supera l’incongruenza della collocazione geografica presso il Mincio. Soprattutto nella X ecloga l'Arcadia appare come locus amoenus: una regione remota e appartata, rifugio al dolore di Gallo abbandonato da Licoride e ricca di canti bucolici che permettono un’evasione dal reale. Altri brevi squarci paesaggistici sono di volta in volta idealizzati come loca amoena, felicemente scoperti da qualcuno che invita altri a soffermarvisi per trovare un riposo sereno: ecl. I 79-83 Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem | fronde super viridi: sunt nobis mitia poma, etc. (in cui l’idealizzazione è sottolineata dal rimpianto per l’impossibilità che l’invito sia accolto: poteras); II 28 segg.: O tantum libeat me cum tibi sordida rura | atque humilis habitare casas et figere cervos, etc. Anche qui l’invito è accompagnato dal rimpianto: o tantum libeat); VII 8 segg 'ocius' inquit | 'huc ades, o Meliboee; caper tibi salvos et haedi; | et siquid cessare potes, requiesce sub umbra (in cui l’invito è accolto con difficoltà: quid facerem?).

Molte sono le cause ch e impediscono di accogliere l’huc ades, – la ricorrente espressione dell’invito: le dure necessità della vita, come l’esilio nella I ecloga o i mea seria della VII; l’incapacità personale di adesione, come l’insensibilità di Alessi per cui i rura sono non amoena, ma sordida; anche Gallo, dopo aver aderito al soggiorno in Arcadia, è ripreso dall’amor che omnia vincit e rinuncia alla pace.

Anche per chi trova rifugio nel locus amoenus la tranquillità è breve e sempre minacciata: dall’esilio che può sopraggiungere pure a chi era stato risparmiato: IX 7-13 (in cui la lieta descrizione della natura salvata dalla poesia di Menalca/Virgilio contrasta con l’amara constatazione che carmina tantum | nostra valent, Lycida, tela inter Martia, quantum | Chaonias dicunt aquila veniente columbas), dal venir della sera che impone i lavori usuali: VI 85-86 cogere donec oves stabulis numerumque referri | iussit et invito processit Vesper Olympo), dalla natura che cela insidie: X 75-77 (surgamus. solet esse gravis cantantibus umbra, etc.), soprattutto ecl. III 92 ss. frigidus, o pueri, fugite hinc, latet anguis in herba. | M. Parcite, oves, nimium procedere: non bene ripae | creditur ... | D. Tityre, pascentes a flumine reice capellas...) tutte espressioni costruite all’inverso rispetto all’huc ades.

Il locus e tempus amoenum stabile e definitivo è solo l’età dell’oro, presente nelle Bucoliche proprio nell’ecloga che più esplicitamente si sottrae al genere, cioè la IV paulo maiora canamus | non omnis arbusta iuvant humilesque myricae (vv. 1-2). La nuova età sperata e attesa è un ambito stabile di riconciliazione fra l’uomo e la natura, e quindi fra uomo e uomo: cesseranno le insidie (occidet et serpens, et fallax herba veneni | occidet, vv. 24-25), non vi sarà più bisogno di lavoro (ipsae lacte domum referent distenta capellae | ubera, v. 21-22, fra i molti esempi), né vi sarà più necessità di andarsene (omnis feret omnia tellus, v. 39). Il locus amoenus che lo scelus e la fraus dell’uomo hanno ridotto a pochi spazi e brevi momenti e destinato a pochi privilegiati, sarà tutta la terra e per sempre e per tutti.

2. La seconda caratteristica virgiliana è la commistione di personaggi fittizi, personaggi simbolici, personaggi storici, personaggi mitologici e divinità. Anche senza voler seguire i critici che identificano in tutti i pastori personaggi reali e cercano in ogni accenno un riferimento storico, il legame con vicende e persone del tempo è sicuro e evidente.

Le dediche, da un lato, attualizzano quanto c’è di acronico nell’ecloga: d’altro canto un personaggio come Gallo nella VI ecloga è inserito nel tempo non-tempo che va dalle origini dell’universo alla storia già trasformata in mito e, in questa come nella X, s’incontra con pastori, figure leggendarie come Lino, dèi greci e italici in un rapporto alla pari. I riferimenti a Ottaviano e alle guerre civili nella I e IX ecloga portano nel presente e nel concreto: la trasfigurazione di Cesare come Dafni nella V (se così dobbiamo intendere) fa svanire ogni aspetto cronachistico. In questa fusione di elementi si stempera, a nostro parere, ogni polemica sulla IV ecloga: realtà e trasfigurazione, connotazioni infantili e partecipazione alla vita degli dèi, Asinio Gallo o Salonino o chiunque altro e puer delle antiche profezie sono commisti al di là di ogni distinzione logica e razionale, come nel complesso dell’opera.

Nella letteratura dell’età imperiale la poesia bucolica prosegue in epigoni di valore generalmente scarso, il cui interesse è per noi legato esclusivamente alla fortuna del genere. Nell’età neroniana sono da situare due ecloghe anonime conservate in un manoscritto di Heidelberg (lat. 266, del X sec.) proveniente dal monastero di Einsielden e le sette ecloghe di Calpurnio Siculo: nella prima ecloga di Calpurnio in particolare il tema messianico dell’età dell’oro è ripreso dalla profezia di Fauno, che l’identifica col regno di Nerone. .

Nel secolo terzo abbiamo quattro ecloghe piuttosto banali attribuibili con certezza al poeta cartaginese Nemesiano, benché inserite nel corpus di Calpurnio.

In questa età motivi tipici della poesia bucolica teocritea o vergiliana si incontrano in componimenti greci o latini non appartenenti propriamente al genere bucolico. Facciamo tre esempi. il romanzo di Longo Sofista Gli amori pastorali di Dafni e Cloe riprende nella sua struttura in prosa i temi della vita a contatto con la natura, accentuando un aspetto in particolare, quello cioè dell’innocenza di una tale vita in contrasto con la corruzione della vita cittadina, tanto che Dafni e Cloe decideranno di restare legati alla loro esperienza di pastori anche dopo aver ritrovato le ricche famiglie d’origine; tema, quello del "buon selvaggio", gravido di riprese future. Il poeta cristiano Prudenzio ha echi bucolici nelle sue poesie d’ispirazione biblica: si veda ad esempio la parabola della pecorella smarrita (Cathemerinon 8, 33-52), in cui Prudenzio accentua fortemente il contrasto fra una natura ostile in cui la pecora era incappata e il luogo felice (locus amoenus?) in cui è riportata dal pastore (vv. 42-48: strofe saffiche). Echi dell’huc ades e del rimpianto per l’invito mancato si ritrovano infine in una lettera di Basilio di Cesarea all’amico Gregorio di Nazianzo (ep. 14). "Rinunciando a malincuore alle speranze che avevo riposto in te, anzi più che alle speranze ai sogni, a dire il vero (perché giustamente si dice che le speranze sono i sogni dell’uomo sveglio) giunsi qui al Ponto, per cercarvi quella vita che si adatta all’anima mia. E qui Dio mi ha fatto scoprire il luogo secondo il mio cuore. Quello che tante volte ci siamo creati nella fantasia, nel gioco dell’immaginazione, ecco, l’ho dinnanzi: è divenuto vero." La lettera prosegue con una descrizione della natura del luogo prescelto da Basilio per la sua vita contemplative; una natura bellissima, solitaria e felice: un locus amoenus cristiano.

Le riprese cristiane sono prevalentemente un segno della fortuna del genere bucolico, giacché i contenuti sono di tipo apologetico-encomiastico. Si pensi al De mortibus boum di Endelechio (un retore del IV sec., amico di Paolino da Nola), un idillio di 33 strofe asclepiadee in cui il protagonista (Bucolo) espone all'amico Egone la sua amarezza perché la mandria è stata colpita da un'epidemia: a questo punto entra Titiro, che spiega ai due come ha salvato i capi della sua mandria tracciando il segno della croce sulla fronte dei suoi animali: i due amici, convinti e colpiti dal miracolo, decidono alla fine di farsi cristiani; l'idillio, al di là del suo valore poetico (vi sono numerose reminiscenze, oltre che delle ecloghe virgiliane, anche del terzo libro delle Georgiche), ha un discreto interesse documentario, perché mostra la persistenza del paganesimo in ambiente rurale nel V secolo.

Una ripresa del tema bucolico si ha, in ambiente carolingio, con Alcuino da York (Northumbria 730-Tours 804), le cui ecloghe ispirate a Virgilio sono considerate il momento di transizione tra l'ecloga antica e l'ecloga dantesca. Nel Canto sul cuculo (Versus de cuculo) l'autore trasfigura sotto le vesti pastorali e con un'insistita metafora ornitologica le vicende di un suo allievo (Dodone) che, a quanto pare, ha abbondonato la vita monastica, per darsi a Bacco e alla vita mondana. Nel canto amebeo tra Menalca e Dafni (già nei nomi si percepisce il richiamo alla tradizione virgiliana) si rimpiange la dipartita del cuculo, che ha lasciato tristezza e freddo nel cuore dei suoi amici, ma si insinua la speranza che il cuculo possa ritornare, riportato dalla primavera che risveglia le creature dal sonno dell'indifferenza e del vizio: come anche in altri componimenti dello stesso Alcuino, il ritorno del cuculo è segno del ripresentarsi della primavera. Nonostante i continui richiami a Virgilio, il tema pastorale è rinnovato e l'ambientazione è profondamente diversa, perché il carme allude in continuazione ai valori della vita monastica e di una condotta di vita cristianemente temperante. Richiamo insistito di motivi virgiliani e pastorali, e ripresa del tema del cuculo, si ha anche nel Conflictus veris et hiemis, una tenzone tra le due stagioni, che intonano un canto amebeo in cui a ognuno dei contendenti sono assegnati tre versi. I due pastori giudici della gara (Dafni e Palemone) alla fine mettono a tacere l'inverno "dissipatore e vizioso" (v. 45) ed esprimono la loro speranza nel ritorno del cuculo, pastorum dulcis amicus.      .

 Nelle figure: 1. Ritratto di Virgilio (Roma, Villa Medici). 2. Immagine della I Ecloga, da un codice virgiliano; 3. Virgilio con le Muse (mosaico, Museo del Bardo, Tunisi); 4. Ritratto di Alcuino da York, da una stampa di epoca rinascimentale.



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