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Seneca, Fedra

La  messa in scena della Fedra di Seneca, realizzata lo scorso novembre dalla compagnia Kerkis, teatro antico in scena è stata giustamente inserita nel dibattito sulla rappresentabilità delle tragedie di Seneca.

La tavola rotonda infatti organizzata precedentemente dall’Università Cattolica sul tema,  ha posto le giuste domande sulla finalità, sulla fruizione, sulla struttura e sulla teatralità dei testi drammatici di Seneca attraverso l’intervento di illustri studiosi.  Questo indubbiamente ha aumentato l’interesse nello spettatore che poi, consapevole e con grande attesa, si è recato al Teatro delle Colonne per assistere allo spettacolo.

Il dramma della mitica figura di Fedra è rivisitato da Seneca con una potenza e uno spessore notevoli. E’ il dramma di una donna discendente dell’alto sangue di Giove, sposa del grande re di Atene Teseo, che a causa dell’impotentia, l’incapacità a dominare la folle passione per il figliastro Ippolito travolge nel male tutta la corte fino all’annientamento finale, stigmatizzato dal cinismo quasi nichilista del superstite Teseo: “Lei gettatela in una fossa, sull’empio capo gravi la terra con tutto il suo peso”. 

Un testo che, di scena in scena, scorre con un’intensità sorprendente, frequentemente arricchito, per chi conosce il periodo storico dell’autore, da facili analogie con personaggi e problematiche di quel tempo.

Palcoscenico e costumi essenziali, qualche opportuno elemento simbolico, una recitazione molto attoriale, l’utilizzo come spazio scenico dell’intero teatro hanno senz’altro favorito la buona riuscita dello spettacolo di Kerkis, dimostrando che è possibile dare forma drammatica anche a ciò che sembrerebbe arduo rappresentare. Mi riferisco ad esempio alla scena finale quando Teseo, scoperta l’innocenza del figlio che precedentemente e ingiustamente aveva maledetto e ucciso, tenta di ricomporne il corpo straziato. Nel testo di Seneca Teseo è lì, stordito dal male che si è appena abbattuto su di lui…suo figlio gliel’hanno portato, è un groppo di resti ammucchiati a caso lì vicino che lui goffamente cerca di rimettere insieme, ma non riesce, piange si lamenta e prova e riprova a ricomporre quel corpo, ma il puzzle non funziona forse mancano dei pezzi… Una scena potente per lo strazio e il raccapriccio insieme. L’espediente simbolico di utilizzare una tintura molto materica con cui gli attori attraverso un buon linguaggio del corpo s’imbrattano a vicenda, accompagna la recitazione di quelle battute e non toglie nulla alla tensione drammatica.

Bravi quindi gli attori, sapiente la regia e il supporto scientifico, ma rimane che il vantaggio di un gran testo è un buon punto di partenza per un sicuro successo.

 

 Olivia Merli

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