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Tema politico: la nave  in balia della tempesta è metafora dello Stato

ALCEO (VI sec.).
Fr. 208a V
ἀσυννέτημμι τὼν ἀνέμων στάσιν,
τὸ μὲν γὰρ ἔνθεν κῦμα κυλίνδεται,
τὸ δʼ ἔνθεν, ἄμμες δʼὂν τὸ μέσσον
νᾶϊ φορήμμεθα σὺν μελαίνᾳ
χείμωνι μόχθεντες μεγάλῳ μάλα·
πὲρ μὲν γὰρ ἄντλος ἰστοπέδαν ἔχει,
λαῖφος δὲ πὰν ζάδηλον ἤδη,
καὶ λάκιδες μέγαλαι κὰτʼαὖτο,
χόλαισι δʼἄγκυρραι
[…]
-τοι πόδες ἀμφότεροι μενο[ισιν]
ἐν βιμβλίδεσσι· τοῦτό με καὶ σ[άοι]
μόνον· τὰ δʼἄχματʼἐκπεπ[.].άχμενα
..]μεν φ[ό]ρηντʼ ἔπερθα· τὼν[...].
 
Non comprendo la direzione dei venti: di qua unʼonda rotola, di là unʼaltra; e noi in mezzo siamo portati con la nera nave dal gran turbine duramente fiaccati; lʼacqua della sentina sormonta la base dellʼalbero, la vela è ormai tutta squarciata e larghi brandelli ne pendono giù; sʼallentano le sàrtie ...
e ambedue le scotte restano salde nelle corde: questo soltanto può salvare anche me; il carico sbalzato fuori … è trascinato in alto  ...
 

Fr. 6 V
τόδʼ αὖ]τε κῦμα τὼ π[ρ]οτέρ[ω νέμω
στείχει,] παρέξει δʼ ἄ[μμι πόνον π]όλυν
ἄντλην ἐπ]εί κε νᾶ[ος ἔμβαι
[        ].όμεθʼ ἐ[
[         ]..[..]·[
[                                   ]
φαρξώμεθʼ ὠς ὤκιστα[
ἐς δʼ ἔχυρον λίμενα δρό[μωμεν,
καὶ μή τινʼὄκνος μόλθ[ακος
λάχῃ· πρόδηλον γάρ· μεγ[
μνάσθητε τὼ πάροιθα ν[
νῦν τις ἄνηρ δόκιμος γε[
καὶ μὴ καταισχύνωμεν[
ἔσλοις τόκηας γᾶς ὔπα κε[ιμένοις
. . . . . . . . . . .
 
Ecco, di nuovo, unʼonda del precedente vento avanza, sarà duro per noi vuotare la sentina se lʼacqua invade le nave. […] Al più presto sbarriamo le fiancate, corriamo in un porto sicuro, non (vi) colga la fiacca esitazione; è in vista un grande (rischio) innanzi a voi, siate memori delle passate (pene), ora ciascuno dia proa di coraggio e non disonoriamo (per viltà) i nostri nobili padri che giacciono nel grembo della terra. (…)
 
Fr. 73 V
πὰν φόρτι[ο]ν δ..[
δʼὄττι μάλιστα σάλ[
καὶ κύματι πλάγεισ[αν
ὄμβρῳ μάχεσθαι ..[
φαῖσʼοὐδὲν ἰμέρρη[ν, ἀσάμῳ
δʼἔρματι τυπτομ[έναν
κήνα μὲν ἐν τούτ[
τούτων λελάθων ὠ.[
σύν τʼ ὔμμι τέρπ[..]α[ ]άβαις
καὶ πεδὰ Βύκχιδος αὐ..[
 
Tutto il carico (è perduto?) e, percossa dallʼonda, dice di non volere combattere con la pioggia…, ma (si è fracassata) cozzando contro uno scoglio insidioso. Quella, se tale è il suo stato, (vada in malora), io del ritorno scordandomi … (voglio) con voi stare allegro e gioire e con Bicchide … 
Nel fr. 208a V Alceo crea lʼarchetipo proiettando la profonda crisi politica che vive la sua città Mitilene minacciata da una cospirazione tirannica e la sua fazione politica  nella rappresentazione simbolica della nave travolta dalla tempesta. Crea gli elementi fondamentali del naufragio metafora del disorientamento politico in una testo che contiene una fortissima funzione espressiva  fondata senzʼaltro su basi psicologiche che rimandano, non ci sono dubbi, a reali esperienze della vita in mare:
i venti che soffiano senza direzione
le onde che rotolano da ogni parte
la nave nera
lʼacqua della sentina
la vela ridotta a cencio trasparente, solcata da squarci
le sartie e i timoni che cedono
il carico devastato
Ogni elemento è spiegabile fuori di metafora con i vari aspetti della lotta politica vissuta dalla fazione degli alceidi (onda è lʼirruenza dei guerrieri, i venti sono il disorientamento tipico delle lotte civili, lʼacqua che penetra è lʼirrompere dei nemici in città, il carico della nave devastato sono i beni degli alceidi in rovina etc.), ma lʼefficacia dellʼimmagine sta nel materializzarsi verso dopo verso del­lʼangoscia propria di chi dispera completamente della salvezza: non cʼè differenza fra il pericolo che si corre per mare e il pericolo di tirannide; questo messaggio doveva ben materializzarsi nellʼa­nimo del pubblico di Alceo che ben conosceva le pene della navigazione.
Proprio questa forte efficacia psicologica della metafora ne determinerà il  successo.
 
Nel carme 6 V. Alceo riprende la metafora per alludere a una ripresa della lotta politica, il materiale si arricchisce di significati volutamente ambivalenti (il verbo φράσσειν significa sia sbarrare le fiancate sia innalzare ripari lungo le mura) e di nuove immagini (la presenza contrastante di un porto sicuro a cui ricorrere) che avranno una lunga storia.
 
Infine il fr. 73 V. è del periodo dellʼesilio; il poeta è ormai fuori dalla nave/città e ha perso lo spirito combattivo, dichiara di disinteressarsi delle sorti della nave, cʼè un ripiegamento su di sè. Lʼimmagine si è arricchita di elementi ostili: non più solo il vento e le onde, ma anche pioggia e scoglio insidioso.
 
TEOGNIDE (VI sec.), vv. 671 ss.,
οὕνεκα νῦν φερόμεσθα καθʼἱστία λευκὰ βαλόντες
     Μηλίου ἐκ πόντου νύκτα διὰ δνοφερόν·
ἀντλεῖν δʼοὐκ ἐθέλουσιν· ὑπερβάλλει δὲ θάλασσα
     ἀμφοτέρων τοίχων. ἦ μάλα τις χαλεπῶς
σῴζεται. οἱ δʼἔρδουσι· κυβερνήτην μὲν ἔπαυσαν
     ἐσθλόν, ὅτις φυλακὴν εἶχεν ἐπισταμένως·
χρήματα δʼἁρπάζουσι βίῃ, κόσμος δʼἀπόλωλεν,
     δασμὸς δʼοὐκέτʼἴσος γίνεται ἐς τὸ μέσον·
φορτηγοὶ δʼἄρχουσι, κακοὶ δʼἀγαθῶν καθύπερθεν.
     δειμαίνω, μή πως ναῦν κατὰ κῦμα πίῃ.
ταῦτά μοι ᾐνίχθω κεκρυμμένα τοῖσʼἀγαθοῖσιν·
     γινώσκοι δʼ ἄν τις καὶ κακόν, ἂν σοφὸς ᾖ.
 
Ora, ammainate le vele bianche, siamo trasportati via dal mare di Melo, attraverso la buia notte; e non vogliono vuotare la sentina; e il mare supera entrambe le murate: davvero è molto difficile che ci si salvi. Fanno loro: hanno eliminato un pilota eccellente, che stava in guardia da esperto, e arraffano il denaro con la forza; lʼordine è finito, le tasse non si raccolgono più in modo giusto; comandano gli addetti al carico, i peggiori al di sopra dei migliori: temo che lʼonda inghiotta la nave. Questo sia detto da me in forma di metafora ai migliori; ma anche uno dei peggiori, se è intelligente, potrebbe capire.
 
La metafora è impura, lʼallusione ai cattivi (nuovo ceto emergente) che tolgono il potere ai buoni, agli aristocratici, svela nel testo la metafora nave/città. Gli elementi portanti sono gli stessi di Alceo:
mare tempestoso
onde che si riversano sulla nave
acqua nella sentina e lʼequipaggio che si rifiuta di vuotarla
il carico saccheggiato
disperazione della salvezza
Teognide ci parla di una rivolta dei cattivi che sovvertono il potere dei buoni e introduce gli elementi nuovi: eliminazione del pilota/classe dirigente, sovvertimento dellʼordine che fa fallire qualsiasi impresa.
Lʼimmagine del capitano della nave individuato come comandante assoluto, personificazione dellʼordine e della salvezza per tutti, dotato di abilità individuali non comuni, capace di compiere im­prese al limite dellʼumano costituisce unʼefficace analogia col buon governatore e avrà una note­vole tradizione.
 
ESCHILO I sette contro Tebe vv. 1-3
Κάδμου πολῖται, χρὴ λέγειν τὰ καίρια
ὅστις φυλάσσει πρᾶγος ἐν πρύμνῃ πόλεως
οἴακα νωμῶν, βλέφαρα μὴ κοιμῶν ὕπνῳ.
 
Cittadini di Cadmo, bisogna che dica parole adatte alle circostanze chi guida lo Stato reggendo il timone, senza chiudere gli occhi al sonno.
 
PLATONE Politico 297 a
ὥσπερ ὁ κυβερνήτης τὸ τῆς νεὼς καὶ ναυτῶν ἀεὶ συμφέρον παραφυλάττων, οὐ γράμματα τιθεὶς ἀλλὰ τὴν τέχνην νόμον παρεχόμενος, σῴζει τοὺς συνναύτας, οὕτω καὶ κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον τοῦτον παρὰ τῶν οὕτως ἄρχειν δυναμένων ὀρθὴ γίγνοιτʼἂν πολιτεία ἄρχειν δυναμένων ὀρθὴ γίγνοιτʼ ἂν πολιτεία, τὴν τῆς τέχνης ῥώμην τῶν νόμων παρεχομένων κρείττω καὶ πάντα ποιοῦσι;
 
Come il pilota, badando a ciò che di volta in volta giova alla nave e ai marinai, non facendo leggi scritte ma ponendo come legge la sua abilità salva i compagni, così in questo stesso modo non si avrebbe un retto governo per opera di coloro che sono in grado di comandare, ponendo la forza della loro abilità al di sopra delle leggi
 
POLIBIO VI, 44, 3-7
ἀεὶ γάρ ποτε τὸν τῶν Ἀθηναίων δῆμον παραπλήσιον εἶναι συμβαίνει τοῖς ἀδεσπότοις σκάφεσι. καὶ γὰρ ἐπʼἐκείνων, ὅταν μὲν ἢ διὰ πελαγῶν φόβον ἢ διὰ περίστασιν χειμῶνος ὁρμὴ παραστῇ τοῖς ἐπιβάταις συμφρονεῖν καὶ προσέχειν τὸν νοῦν τῷ κυβερνήτῃ, γίνεται τὸ δέον ἐξ αὐτῶν διαφερόντως· ὅταν δὲ θαρρήσαντες ἄρξωνται καταφρονεῖν τῶν προεστώτων καὶ στασιάζειν πρὸς ἀλλήλους διὰ τὸ μηκέτι δοκεῖν πᾶσι ταὐτά, τότε δὴ τῶν μὲν ἔτι πλεῖν προαιρουμένων, τῶν δὲ κατεπειγόντων ὁρμίζειν τὸν κυβερνήτην, καὶ τῶν μὲν ἐκσειόντων τοὺς κάλους, τῶν δʼἐπιλαμβανομένων καὶ στέλλεσθαι παρακελευομένων, αἰσχρὰ μὲν πρόσοψις γίνεται τοῖς ἔξωθεν θεωμένοις διὰ τὴν ἐν ἀλληλοις διαφορὰν καὶ στάσιν, ἐπι­σφαλὴς δʼἡ διάθεσις τοῖς μετασχοῦσι καὶ κοινωνήσασι τοῦ πλοῦ· διὸ καὶ πολλάκις διαφυγόντες τὰ μέγιστα πελάγη καὶ τοὺς ἐπιφανεστάτους χειμῶνας ἐν τοῖς λιμέσι καὶ πρὸς τῇ γῇ ναυαγοῦσιν.
 
Il popolo di Atene infatti suole comportarsi ogni volta come ciurma senza nocchiero: finché il timore dei nemici o lʼincombere di una tempesta inducono i marinai ad essere concordi e ad obbedire al nocchiero, ogni cosa procede sulla nave nel migliore dei modi; quando, ripreso animo, essi cominciano a disprezzare i comandanti e a discutere fra loro animati da opinioni diverse, desiderosi gli uni di continuare la navigazione, gli altri di convincere il timoniere a gettare le ancore, allora cʼè chi strappa le funi, chi si oppone e ammaina le vele; a chi li vede dallʼesterno con la loro discordia marinai siffatti presentano ben triste spettacolo e per di più la loro situazione è pericolosa: spesso accade che, dopo essere scampati ai pericoli di mari lontani e di gravi tempeste essi vadano a naufragare nei porti e vicino a terra.
                                                                                              (trad. Carla Schick)
 
Lʼelemento nuovo è il comportamento della ciurma senza nocchiero o senza lʼincombere del pericolo.
 
DIONE CASSIO LII, 16, 3-4 (discorso di Mecenate a Augusto):
καὶ διὰ ταῦθʼἡ πόλις ἡμῶν, ὥσπερ ὁλκὰς μεγάλη καὶ πλήρης ὄχλου παντοδαποῦ χωρὶς κυβερνήτου, πολλὰς ἤδη γενεὰς ἐν κλύδωνι πολλῷ φερομένη σαλεύει τε καὶ ᾄττει δεῦρο κἀκεῖσε, καθάπερ ἀνερμάτιστος οὖσα. μητʼοὖν χειμαζομένην ἔτʼαὐτὴν περιίδῃς, ὁρᾷς γὰρ ὡς ὑπέραντλός ἐστι, μήτε περὶ ἕρμα περιρραγῆναι ἐάσῃς, σαθρὰ γάρ ἐστι καὶ οὐδένα ἔτι χρόνον ἀντισχεῖν δυνήσεται· ἀλλʼἐπειδηπερ οἱ θεοὶ ἐλεήσαντες αὐτὴν καὶ ἐπιγνώμονά σε καὶ ἐπιστάτην αὐτῆς ἐπέστησαν, μὴ προδῷς τὴν πατρίδα, ἵνʼ ὥσπερ νῦν διὰ σὲ μικρὸν ἀναπέπνευκεν, οὕτω καὶ τὸν λοιπὸν αἰῶνα μετʼ ἀσφαλείας διαγάγῃ.
 
E per questo la nostra città, come una nave grande e piena di gente dʼogni genere, senza nocchiero, già da molte generazioni trascinata tra molti flutti ondeggia e sobbalza di qua e di là come priva di zavorra. Or dunque non restare indifferenti alla vista di questa nave trascinata dalla tempesta (vedi infatti come fa acqua da tutte le parti) e non permettere che essa vada ad infrangersi contro gli scogli (ché è in cattivo stato e non potrà resistere più a lungo). Ma dal momento che gli dei, avendone pietà, ti hanno elevato a suo arbitro e guida, non tradire la patria, affinché come ora per opera tua ha ripreso un poʼ fiato, così possa in avvenire vivere nella sicurezza.
                                                                                                          (trad. Andrea Favuzzi)
 
Roma è una nave senza nocchiero, di cui però gli dei hanno avuto pietà destinandola al governo augusteo.
 
ORAZIO, Odi I, 14
O navis, referent in mare te novi Battaglia di Azio
fluctus. O quid agis? Fortiter occupa
portum. Nonne vides, ut
nudum remigio latus
 
et malus celeri saucius Africo
antemnaeque gemant ac sine funibus
vix durare carinae
possint imperiosius
 
aequor? Non tibi sunt integra linrea,
non di, quos iterum pressa voce malo.
Quamvis Pontica pinus,
silvae filia nobilis,
 
iactes et genus et nomen inutile,
nil pictis timidus navita puppibus
fidit. Tu nisi ventis
debes ludibrium, cave.
 
Nuper sollicitum quae mihi taedium,
nunc desiderium curaque non levis,
interfusa nitentis
vites aequora Cycladas.
 
È chiara la ripresa di Alceo, non solo però nellʼutilizzo di un materiale metaforico che ormai risulta consolidato (la minaccia del vento e delle onde, la descrizione dello sconquasso provocato dalla tempesta sugli elementi della nave: vele, carena, albero), ma proprio per la stessa efficace materializzazione attraverso il simbolo della angoscia psicologica vissuta dal poeta in un momento di grande incertezza politica. A quale momento di preciso qui il poeta alluda (novi fluctus) la critica risponde in modo discorde (guerra contro Sesto Pompeo? guerra Ottaviano/Antonio?), ma mi pare importante il coinvolgimento emotivo del poeta che pur non essendo sulla nave (Orazio non partecipa alla vita politica) soffre nel guardare dalla riva la nave dello stato che non riesce a entrare in un porto sicuro. Qualsiasi accusa di atarassico disinteresse qui sembra cadere.
 
 
DANTE, Purg. VI, 76-7
 
Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta...

 
Conv. IV iv 5-6; IV v 8
Sì come vedemo in una nave, che diversi offici e diversi fini di quella a uno solo fine sono ordinati, cioè a prendere loro desiderato porto per salutevole via: dove, sì come ciascuno officiale ordina la propria operazione nel proprio fine, così è uno che tutti questi fini considera, e ordina quelli ne lʼultimo di tutti; e questo è lo nocchiero, a la cui  voce tutti obedire deono...
Né ʼl mondo mai non fu né sarà sì perfettamente disposto come allora che a la voce di un solo, principe del roman popolo e comandatore, fu ordinato, sì come testimonia Luca evangelista. E però che pace universale era per tutto, che mai, più, non fu né fia, la nave de lʼumana compagnia dirittamente per dolce cammino a debito porto correa.

 
Cʼè poi il motto della città di Parigi che porta sullo stemma una nave sballottata dalle onde: fluctuat nec mergitur. Allude bene alla forza dello stato come istituzione; alcuni lo applicano volen­tieri alla chiesa cattolica che, pur in mezzo a flutti, non sarà sommersa secondo la divina promessa.
 
Infine sono finita per caso su questo passo di Montale, Elzeviri, Dal mare,  “Corriere della Sera” 10 Agosto 1968, che sembrerebbe decretare la fine del filone politico della metafora nella nostra epoca:
 
In altri tempi i comandanti di navi da guerra andavano a picco con la nave dopo aver salvato lʼequipaggio. Essi erano i depositari di una responsabilità e per questo rispettati. Ma si potrebbe anche immaginare una civiltà che affonda dopo che i suoi capi hanno già fatto le valigie. (Ogni riferimento ai nostri tempi è ovviamente da escludersi).

Non è più solo questione per la nostra epoca di scarsa abitudine alla vita di mare, sono le analogie che sono venute meno insieme alla fine del senso di responsabilità dellʼuomo politico.

Nell'immagine: Battaglia di Azio, del pittore fiammingo Lorenzo a Castro (1672: Londra, National Maritime Museum, tela cm. 158 x 108)
 
 

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