Lucio Russo
 

 

 

 

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Ma anche Euclide è un classico
 

(da Avvenire, 26 maggio 2010: intervista di Luigi Dell'Aglio)

Attenzione: la tendenza a dimenticare i classici, a lasciarli morire, sta danneggiando non solo la conoscenza umanistica ma la stessa conoscenza scientifica. Oggi sempre meno studenti sanno dimostrare teoremi e chi abbandona questa antica tradizione domani non sarà in grado di argomentare, cioè di ragionare, avverte Lucio Russo, professore all’Università di Roma Tor Vergata, che ha insegnato in Italia e a Princeton, negli Usa. Russo ha sperimentato personalmente come sia naturale e proficuo un continuo scambio fra i due saperi: ha lavorato diversi anni nella meccanica statistica e nel calcolo delle probabilità, poi nel 1991, affascinato dalla lettura di un classico – il trattato Sui galleggianti di Archimede (anche i grandi libri di scienza sono classici) – è passato d’impulso a studiare storia della scienza, ora il suo principale campo di ricerca.

Professore, storicamente l’"auctor classicus" era quello le cui opere costituivano un tale modello di eccellenza da essere studiate nelle scuole. È giusto che ora vengano isolate ed estromesse?
«I classici sono le opere in cui le idee radicate nella nostra cultura (che spesso finiscono con l’essere assorbite inconsapevolmente e acriticamente) appaiono in forma viva e consapevole. I classici, così intesi, sono fondamentali per la formazione del pensiero. Non perché trasmettano verità e valori perenni, come in genere si dice, ma, al contrario, perché permettono di esaminare criticamente, nella loro genesi, strutture concettuali e valori che ci sono familiari».

Esiste una sufficiente consapevolezza che difendere i classici significa difendere il libero esercizio del pensiero?
«Certo la lettura dei classici non può essere apprezzata da chi preferisce il conformismo e l’adesione passiva ai luoghi comuni. Le prospettive dei classici coincidono quindi in larga misura con quelle della cultura e del pensiero critico. Ora si sta abbassando il livello culturale della scuola e dell’università: queste rischiano di non fornire più né gli strumenti culturali necessari per comprendere i classici, né le motivazioni sufficienti per leggerli».

Oggi conoscenza scientifica e conoscenza umanistica combattono per ampliare (la prima) o per difendere strenuamente (la seconda) la propria sfera di influenza. Come sta cambiando il rapporto di forze tra i due saperi?
«A me sembra che cresca la pressione diretta a ridurre in generale lo spazio del sapere nelle scuole e nella società. L’impressione che la cultura umanistica sia sacrificata a vantaggio della cultura scientifica è un’illusione ottica di cui è vittima chi adotta un particolare punto di vista. Credo piuttosto che le discipline oggi vincenti, che hanno assunto un ruolo centrale nell’organizzazione degli studi, siano le tecniche di marketing e le arti della comunicazione. Il diminuito peso dei "classici" non colpisce solo il sapere umanistico. Tra i classici più importanti includerei gli Elementi di Euclide: l’opera ellenistica che, per ventidue secoli, ha trasmesso i fondamenti del metodo scientifico non solo ai futuri scienziati ma a tutti gli uomini di cultura. Quintiliano, nella Institutio oratoria, sosteneva che non si può diventare oratori se si è digiuni di geometria. A maggior ragione non vi è stato filosofo che non conoscesse il metodo dimostrativo usato in geometria. Oggi nessuno legge più Euclide; nello stesso tempo si sta spegnendo la tradizione di insegnare come si dimostrano i teoremi. Pesanti saranno le conseguenze sulle capacità di argomentare che avranno le nuove generazioni. Mi sembra questo un buon esempio di come sia pericoloso l’abbandono dei classici e di come il fenomeno colpisca in pieno anche le conoscenze scientifiche».

Ma quali teorie alimentano lo scontro?
«Direi che siano oggi vincenti due tendenze solo apparentemente contrapposte, che in realtà rappresentano due facce della stessa medaglia. Da una parte vedo uno scientismo ingenuo che nega la rilevanza di temi, come quelli etici ed epistemologici, non affrontabili con i soli metodi scientifici (ma che non possono neppure essere affrontati ignorando gli strumenti conoscitivi forniti dalla scienza). Dall’altra, un diffuso atteggiamento anti-scientifico. Questo, più che di teorizzazioni esplicite, vive del dilagare dell’ignoranza in materia scientifica, spesso esibita quasi con compiacimento. Mi piacerebbe pensare a un "nuovo umanesimo" che superasse questa contrapposizione recuperando, nell’ambito di una cultura unitaria, un pensiero scientifico critico. Ma non si tratterebbe certo di un umanesimo in conflitto con la scienza».

Dall’umanesimo prende corpo il metodo sperimentale della scienza moderna. Perciò lo scientismo, quando attacca il sapere umanistico e vuole limitarne lo spazio nella scuola, attacca anche Galileo.
«Credo che l’attacco scientista contro l’umanesimo nasca dall’ignoranza e debba essere respinto. È necessario però respingere, nello stesso tempo, una versione anti-scientifica della cultura umanistica, che in Italia ha una lunga e triste tradizione. Per essere più chiaro, penso che non sia esistito un solo umanesimo ma almeno due versioni della cultura umanistica. Una, che penso sia oggi superata, proponeva un modello di cultura (basato su classici come il De oratore di Cicerone) che assegnava una posizione centrale all’eloquenza e mirava soprattutto a formare dirigenti politici. A questi venivano trasmesse le virtù civiche descritte in opere letterarie e storiche latine. Tutt’altra cosa è la cultura di quegli intellettuali del Rinascimento che crearono la civiltà moderna basandola in larga misura sul recupero della filosofia e della scienza dei Greci. A questa cultura dobbiamo non solo capolavori artistici e letterari, ma anche la nascita della scienza galileiana. Si tratta di una cultura realmente unitaria, un approccio di cui abbiamo oggi bisogno anche per affrontare le questioni nuove poste dalla scienza e dalla tecnologia».

Lo scienziato, il tecnologo, il medico non possono agire secondo scienza e coscienza se hanno ricevuto un insegnamento esclusivamente specialistico...
«Sono convinto che la carenza di educazione umanistica avrebbe effetti gravi. Credo, in particolare, che il livello di consapevolezza epistemologica degli scienziati si sia abbassato nell’ultimo secolo, insieme con il livello di cultura filosofica di chi si dedica alla scienza. Se vengono ignorati i classici della scienza e della filosofia, si ridà spazio, tra gli scienziati, a tendenze filosofiche che direi arcaiche, come quelle neopitagoriche. Naturalmente gli eccessi dello "specialismo" non costituiscono un problema delle sole facoltà scientifiche. Mi sembra che le facoltà umanistiche ne siano colpite in misura simile, ma con effetti forse ancora più devastanti, proprio perché l’eccessivo specialismo mina alla base il senso stesso degli studi umanistici. Sarebbe utile e significativo che uno studente di fisica potesse seguire corsi di filosofia, ma mi sembrerebbe addirittura indispensabile, per un futuro studioso di filosofia della scienza o di storia della scienza, seguire corsi scientifici (e oggi può non accadere)».

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