Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine
 

 

 

 

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Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine (Ninfale d'Ameto), V, 1-3

1. Ameto, poi che de' cani gli fuggì la paura e l'angelica voce ebbe ricominciata la bella canzone, con timido passo a quelle si fece vicino; e poggiato in terra il noderoso bastone, sopra la sommità di quello compose ambo le mani, e sopra esse il barbuto mento fermato, come se quivi non fosse, fiso la cantante, alienato, mirava; la quale, poi che ebbe posta fine alle sue note, dopo lungo spazio, cotale in sé si mosse quale colui che da profondo sonno è a vigilia subito rivocato, il quale, gli occhi volgendo sonnolenti in giro, quasi appena conosce dove si sia; di che le compagne di Lia, vedutolo, a forza ritennero le vaghe risa agli occhi già venute per dimostrarsi. Egli appena, aiutandolo la forte mazza, in piè rimase, ma pur si sostenne; e poi che tutto fu del preso stordimento uscito, quivi, sanza niente parlare a quelle, si pose sopra l'erbe a sedere; e, rimirando la bella ninfa con l'altre sopra gli ornati prati sollazzevolmente giucante, la vede di quel colore nel viso lucente, del quale si dipigne l'Aurora, vegnente Febo col nuovo giorno, e i biondi capelli, con vezzose ciocche sparti sopra le candide spalle, ristretti da fronzuta ghirlanda di ghiandifera quercia discerneli; e rimirandola tutta con occhio continuo, tutta in sé la loda, e insieme con lei la voce, il modo, le note e le parole della udita canzone; e in sé con non falso pensiero reputa beato chi di sì bella giovane la grazia possiede; e in cotale pensiero dimorando, sé medesimo mira, quasi dubbio fra 'l sì e 'l no d'acquistarla; e alcuna volta, sé degno di quella estimando, in sé si rallegra; poi, con più sottile investigazione ricercandosi, danna larozzezza della sua forma con l'avuta letizia, e indegno si reputa della ninfa; ma dopo questo pensiero riforma il primo, e dopo il primo nel secondo ricade, ora dannando, ora sé lodando nella sua mente. E così in continui combattimenti s'accende del piacere di colei la quale mai più non aveva davanti veduta; e quanto che elli imagini il nuovo disio non dovere al disiderato fine arrecare, cotanto più di quello l'appetito s'affuoca.

2. Egli, grosso e nuovo in queste cose, non sappiendo onde tal passione si movesse, né chi lo stimoli, mirando la ninfa, alli mai non sentiti amori apre la via e già conosce il suo disio dagli occhi di colei ricevere alcun conforto: per la qual cosa, più e più fiso mirandoli, credendosi forse porre fine a quello col riguardarla, più forte gli apparecchia principio e più l'alluma, e, non sappiendo come, bevendo con gli occhi il non conosciuto fuoco, s'accende tutto. E sì come la fiamma si suole nella superficie delle cose unte con sùbito movimento gittare e, quelle leccando, leccate fuggire e poi tornare, così Ameto, colei rimirando, s'affuoca; e come da lei gli occhi toglie, fugge la nuova fiamma, ma per lo sùbito più mirare, torna più fiera. Né prima di questo si prese il giovane guardia che amore inestinguibile nella calda mente prese etterne forze. Onde egli, in sé molte volte le parole della udita canzone ripensando, tutte le 'ntende, ma solamente chi questo Amore si sia, non conosce; per che così fra sé quivi con voce tacita cominciò a parlare:

3. – O celestiali iddii, di tutti ho già, co' satiri dimorando, la mirabile potenzia ascoltata e ciascuno in parte m'è noto; ma solamente questo Amore, per cui costei si diletta d'essere seguita e del quale ella cotanto canta, io nol conosco, né le sue vie vidi già mai; per che io voi e lui per li suoi medesimi meriti priego che mi si faccia conoscere, acciò che io sappia in che piacere a costei, gli occhi di cui hanno avuta forza di trarmi dalle mie ombre, di farmi dimenticare la mia preda, d'abandonare l'arco, le saette e i cani miei. Ella sola mi piace: io non so se questo si chiama Amore o se cotale effetto muove dalla colui deità, nome prendendo dal suo motore. S'egli è così, sopra ogni altra cosa m'è caro, e se così non è, ella pur piace. -


 

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