"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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3 Il tema bucolico nella letteratura italiana
Se il genere letterario bucolico nasce dalla "stretta correlazione fra determinati temi (ad esempio, la vita campestre, il locus amoenus, ecc.) e specifiche scelte formali (ad esempio, uso di una forma metrica come l’ecloga e di un certo registro linguistico medio)" (A. Marchesi, Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori, Milano 1978, p. 113), non si può certo affermare che all’interno della letteratura italiana esista un vero e proprio genere bucolico e pastorale, a meno di non considerarlo tanto poco rigido nella sua codificazione interna da accogliere, accanto a mutazioni di forma, anche mutazioni di significato e di rapporti con la realtà esterna. Infatti, a prescindere dalla prima produzione espressamente bucolica di Dante, Petrarca e Boccaccio e dell’esperienza poetica dell’Arcadia nel ’700, il riferimento al mondo pastorale, le tematiche e i toni bucolici hanno preso corpo via via in forme differenti quali il romanzo e il dramma (1). Dante [clicca qui per la finestra dedicata], Petrarca e Boccaccio composero, infatti, ecloghe secondo il modello virgiliano innestando nelle ambientazioni pastorali e nelle vicende dei personaggi riferimenti alla propria attività poetica (Dante nella I ecloga affronta il tema della scelta per il volgare nella Divina Commedia), alla vita privata (Petrarca esprime nei componimenti bucolici la medesima perplessità tra vita religiosa e desiderio di gloria mondana che si ritrova sia nel Canzoniere sia nelle opere latine) e alle vicende storiche contemporanee (Petrarca fa riferimento alle stragi della peste, al suo abbandono dei Colonna, alla morte di Roberto d’Angiò, alla vicenda di Cola di Rienzo, alla guerra anglo-francese). All’imitazione contenutistica del modello si accompagna una fedele riproduzione formale. Tuttavia Boccaccio nel Ninfale d’Ameto e nel Ninfale fiesolano inserisce gli ambienti boschivi, i pastori, le ninfe e le pene d’amore, proprie del genere pastorale, nella struttura del romanzo costituendo cosi il paradigma per lo sviluppo di tale genere nell’ambito della letteratura italiana. Permangono così come elementi fondamentali sia la descrizione di una natura partecipe ai dolori e alle gioie umane e rifugio dalle avversità (cfr. I Ecloga, vv. 49 ss. "Non truovo tra gli affanni altro ricovero / che di sedermi solo appiè d’un acero"), sia il mito dell’età dell’oro in cui "non teman de’ lupi / gli agnelli mansueti; / ma torni il mondo a quelle usanze prime" (III Ecl. 30-33) e in cui "nacque l’alma beltade, / e le virtudi racquistaro albergo: / per questo il ecco mondo / conobbe castitade, / la qual tant’anni avea gittata a tergo" (ibid. 54-58). Ugualmente centrale resta il tema dell’amore che da un lato rende "quest’aspra amara vita dolce e cara" (ibid. 77-78) e dall’altro "di ferir non è mai stanco, o sazio / di far de le medolle arida cenere" (I Ecl. 20-21), ma che sempre e comunque è sentito come un "giogo al collo" (ibid. 68). Accanto a questi caratteri comuni alla tradizione bucolica Sannazzaro riproduce nelle immagini e nei luoghi dell’Arcadia e nei pastori che la abitano la società umanistica con le sue aspirazioni di armonia, di pace e di vita ideale, gli ambienti dell’accademia pontiana, gli amici e poeti Cariteo e Pietro Summonte, la moglie morta di Pontano, nonché sé stesso nella figura del protagonista Sincero, nome che, come traduzione latina di Nazaro che in ebraica significa 'sincero, incorrotto', fu usato nell’accademia napoletana come soprannome per l’autore. A conferma dell’utilizzo formale e strumentale dei toni e dei temi pastorali appare interessante e innovative l’allargamento di questi da una parte ad altri campi dell’attività umana, quale la pesca nelle Eclogae piscatoriae, e dall’altra ad argomenti cristiani come nel De partu Virginis in cui le scene della natività sono descritte con il frequente ricorso al testo virgiliano. Analogamente anche nell’Arcadia il paradiso cristiano è descritto da Ergasto come un luogo caratterizzato da "altri monti, altri piani, / altri boschetti e rivi / ... e più novelli fiori" (V Ecl. 14-16). L’ambientazione pastorale in un’ampia struttura narrativa come quella dell’Arcadia di Sannazaro appare idonea ad accogliere il moltiplicarsi dei casi amorosi e delle vicende, da una parte, e i sentimenti della natura, dell’amore e della malinconia dall’altra, che tanto spazio avranno nel filone del romanzo italiano e straniero dei secoli successivi. Nel 1482 veniva stampato a Firenze un volume, intitolato Bocoliche elegantissime, contenente una traduzione latina in terzine delle Bucoliche virgiliane e altri componimenti di argomento pastorale scritti da poeti e letterati contemporanei (Arsochi, Beniveni, Boninsegna). La stampa di questo libro sicuramente influenzò e ispirò Matteo Maria Boiardo, che tra il 1482 e il 1483 scrisse dieci componimenti esemplati (anche nel numero) sulle Ecloghe virgiliane e intitolati Pastorale. Si tratta di componimenti in terzine che si caratterizzano per un'accentuata utilizzazione dei riferimenti allegorici per l'attualizzazione dell'argomento pastorale, per cui accanto alle tematiche e ai nomi tradizionali vi sono riferimenti espliciti ai personaggi e alle vicende del tempo. Ad esempio nella decima ecloga Orfeo intona il panegirico di Alfonso di Calabria per le imprese compiute nella guerra combattuta da Modena contro Venezia. In modo specifico nell’ambito della narrativa del XVI secolo l’influsso dell’evasione idillica e bucolica del Sannazaro si unisce con il filone più avventuroso e romanzesco rappresentato dal Libro del Peregrino del Caviceo (1508) e dall’Istoria di Phileto veronese del Corfino (1520-30), nel generale e costante riferimento all’intera produzione boccacesca. A conferma, inoltre, del particolare gusto cinquecentesco per il romanzo pastorale va ricordata la traduzione che nel 1537 Annibal Caro opera degli Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista. Nel 1500 tuttavia i motivi presenti nell’Arcadia del Sannazaro, quali il classicismo e la letterarietà, l’idealizzazione nell’ambiente pastorale del mondo cortigiano, vengono a proiettarsi in nuove forme ricche di possibilità di evoluzione. Inizialmente infatti assumono la veste di ecloghe dialogate con numerosi espedienti musicali, come nel Tirsi di Castiglione (rappresentata ad Urbino nel 1506), ne I due pellegrini di Tansillo (1526), nell’Egle di Giraldi Cinzio (1545) (2), e, secondariamente, di veri e propri drammi pastorali in cinque atti, con un numero ristretto di personaggi e nel pieno rispetto delle tre unità aristoteliche, la cui teorizzazione è formulata da Guarini, autore del Pastor Fido, ma il cui apice letterario è costituito dall’Aminta del Tasso. Tale genere, caratterizzato dalla compresenza di elementi propri della tragedia (la nobiltà dei personaggi), della commedia (lo scioglimento felice delle vicende), della lirica petrarchesca (la purezza dello stile) non è avvertito dal Guarini, autore del Pastor fido, come estraneo ai generi codificati da Aristotele, ma come la necessaria adeguazione alla società contemporanea che desiderava sublimate in un mondo ideale e perfetto le proprie ambizioni di naturalità, di fuga dal mondo sociale e dalle convenzioni moralistiche. Il genere tragico con la sua funzione etica è soppiantato dall’azione catechetica della Chiesa e fine dell’arte non è più la moralizzazione e l’educazione, ma il diletto e il piacere dei sensi e dell’intelletto. A tale scopo la tragicommedia deve presentare lo stemperamento delle passioni in sentimenti languidi, in lamenti sussurrati e in una sensualità privata di ogni realismo o crudezza. I caratteri del dramma pastorale, cosi teorizzati dal Guarini, si ritrovano nell’Aminta di Tasso, che attraverso numerosissime citazioni, testuali o lievemente modificate, di Virgilio, di Teocrito, di Boccaccio, di Poliziano, ed una capacità di libera e vibrante imitazione, rappresenta un’abile sintesi di letterarietà e di naturalezza nel lessico, nelle immagini, nella linearità e nella regolarità dello svolgimento narrativo. Tale naturalezza si pone come il riverbero letterario dell’ideale stato dell’uomo rappresentato nell’opera dall’Arcadia che appare via via come l’oggettivazione dell’età dell’oro, della bellezza, della giovinezza e dello stato beato della natura, in contrapposizione alla vita piena di preoccupazioni e di affanni. Centrale anche nell’Aminta è la tematica dell’amore che può portare il dolore e la sofferenza (Aminta vv. 350 ss. "il crudo amor di lacrime si pasce, | né se ne mostra mai satollo"), la gioia (ibid. 946 "ché sol amando uom sa che sia diletto"), ma che sempre si presenta come una forza naturale che ingloba tutto l’universo, che domina potentemente e inevitabilmente gli uomini che pur tentano di sottrarglisi (ibid. vv. 152 ss.; cfr. 726-733; 850). Tali esigenze estetiche trovano espressione letteraria nei sonetti petrarcheggianti e classicheggianti di Zappi e Manfredi, ma soprattutto nelle canzonette pastorali di Zolli che, grazie alla brevità, alle cadenze musicali, alla linearità e alla semplicità formale, esprimono in modo adeguato la tenuità dei sentimenti e lo stemperarsi delle passioni, in opposizione all’eroicità e alla tragicità precedenti. Tuttavia a fianco di prove arcadiche sincere e coscienti, quali quelle del Rolli, si annoverano numerose espressioni poetiche convenzionali e accademiche in cui i paesaggi, i personaggi, i gesti e le situazioni proprie del mondo e della lirica bucolica diventano forme stereotipate, vissute senza consonanza e partecipazione personali e i modelli, Anacreonte e Teocrito per la prima metà del secolo, Virgilio per la seconda metà, sono riprodotti in modo pedissequo. Interessante è anche l’estensione del motivo pastorale e dell'allegoria religiosa nelle opere del Bini. Ancora un titolo troviamo in Montale. Una delle poesie comprese in Ossi di seppia si chiama Egloga. Anche in essa il genere offre solo uno spunto: un’idea di natura come quiete e uniformità – minacciata da elementi esterni, quali il treno e lo sparo, e interni, come l’acquazzone e la canea. Quiete e uniformità, anche quando si ricompongono (tosto potrà rinascere l’idillio), sono comunque insoddisfacenti: la donna intravista e subito sparita non è una Baccante, la quiete è troppa, i pensieri sconnessi, i "vagabondari" infruttuosi. Lo spunto appare quindi sostanzialmente negativo, evocatore di un rapporto creativo uomo-natura non più possibile (3). Un caso a parte è rappresentato da D’Annunzio. Il poeta identifica con Pan tutto un mondo concettuale che va ben oltre la semplice ripresa bucolica e che eccede, evidentemente, la nostra ricerca. Il testo fondamentale è L’annunzio, uno dei due componimenti che introducono le Laudi: in esplicita polemica sia con Plutarco (che nel De defectu oraculorum, 419 bd, aveva raccontato la rivelazione della morte di Pan) sia con gli interpreti cristiani di Plutarco, che avevano notato la coincidenza cronologica del racconto con la venuta di Cristo (ad esempio Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica, 5, 17), il poeta canta l’annuncio che Pan è vivo e dà vita e senso alla natura e alle opere dell’uomo, compresa la sua stessa poesia. Ma già nelle opere giovanili troviamo motivi tratti dalla poesia pastorale: da Fantasia pagana scritta a sedici anni, all’Offerta votiva (una rustica offerta a Pan che riprende gli epigrammi dedicatori dell’Anthologia Palatina), al Peccato di maggio (che si apre con una citazione da Teocrito e comprende un’invocazione a Virgilio), il genere offre al poeta soprattutto modelli di vitalità sensuale, cui si aggiunge una dialettica innocenza ~ trasgressione totalmente assente negli originali. Anche la ripresa dei paragoni realistici tratti dalla natura si trasforma in qualcosa d’altro: una immedesimazione uomo/natura che il mondo antico non conosce (e rifiuterebbe): Piove su le tue ciglia nere | sì che par tu pianga | ma di piacere; non bianca | ma quasi fatta virente, | par da scorza tu esca. | E tutta la vita è in noi fresca | aulente, | il cuor nel petto è come pèsca | intatta, | tra le pàlpebre gli occhi | son come polle tra l’erbe, | i denti negli alvèoli | son come mandorle acerbe (La pioggia nel pineto, vv. 97 segg.). Note (1) Le pastourelles provenzali, a cui si rimanda, influirono anche sugli autori italiani: una delle ballate del Cavalcanti, In un boschetto trova’ pastorella (Rime 46) narra dell’incontro a lieto fine di un cavaliere e una pastorella; in una delle ballate di Sacchetti, O vaghe montanine pastorelle, troviamo un dialogo malinconico fra il vecchio poeta e delle giovani pastorelle. (2) Quattordici egloghe ispirate sia a Virgilio sia a Teocrito e a Mosco e Bione compose anche Luigi Alamanni (1495-1556), introducendo motivi autobiografici come l’esilio da Firenze per motivi politici. (3) Un altro autore del 900, Andrea Zanzotto (1921-2011), ha composto nove egloghe in cui ricorrono i suoi temi più tipici, il paesaggio e il compito del poeta.
Nelle
figure: 1. Codice del Ninfale fiesolano con veduta di Fiesole (XV sec.,
Firenze, Biblioteca Riccardiana); 2. Giorgione (attr.), Concerto
campestre, Parigi, Louvre; 3. M. Marieschi (1710-1744), Paesaggio
bucolico con rovine e cascinali (particolare), Trieste, Civico
Museo di Storia e Arte; 3. N. Poussin, Il trionfo di Pan (Londra,
National Gallery); 4. Aligi Sassu, Il
dio Pan è morto (Milano, Piazza Piemonte, collocazione
provvisoria). |
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