Latini e Germani (I)
Nuova Secondaria, 15 ottobre 1998, pag. 74-75
Nell’insegnamento del latino aspetti linguistici
e culturali sono correlati: non è possibile un insegnamento della lingua
che prescinda dall’aspetto culturale né un insegnamento della civiltà
romana che trascuri l’importanza della lingua; se il primo sarebbe
sterile, il secondo sarebbe monco, se non altro perché la lingua è essa
stessa parte integrante di una cultura e veicolo essenziale del suo
mondo di valori. Quanto l’affermazione di principio è ovvia, tanto il
suo tradursi nella pratica presenta aspetti delicati: negli anni
iniziali la lingua ha un peso predominante, col rischio di mettere
troppo sullo sfondo l’aspetto culturale. Ma già all’inizio il momento
dell’apprendimento lessicale permette di allargare la prospettiva
avviando l’allievo a una prima percezione del mondo valoriale latino e
richiamando a fatti storici e culturali di un certo spessore. La pista
di lavoro che qui suggeriamo, oltre a dare del mondo romano un’immagine
un po’ diversa da quella di molti manuali di storia, consente anche un
lavoro interdisciplinare tra latino e lingua straniera.
Il prestigio della cultura latina ha favorito una penetrazione di usi e
pratiche romani in vasti territori dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia
che non furono mai assoggettati dalle armi di Roma. Poiché
l’importazione di un oggetto o di una moda straniera reca generalmente
con sé anche l’importazione del relativo significante, si assiste a una
irradiazione di parole latine in tradizioni linguistiche anche lontane.
In precedenti contributi apparsi su “Nuova secondaria” (settembre 1993 e
giugno 1994) ho già avuto occasione di richiamare il ruolo avuto dalle
lingue classiche (non solo dal latino, quindi) nel favorire la
progressiva convergenza, tuttora in atto, di molte lingue europee. Tale
processo fu indubbiamente accelerato da quell’incontro-scontro di
culture che si attuò dopo la fine dell’impero e che portò alla
formazione dei regni romano-barbarici, ma il suo inizio va collocato in
epoca assai anteriore alla dissoluzione dell’impero. L’intensificarsi
dei commerci ebbe notevole rilievo nell’annodarsi di relazioni sempre
più strette fra Latini e Germani. Se la cultura ufficiale ebbe nei
confronti del mondo germanico un atteggiamento ambivalente (il complesso
di superiorità di chi riconosce il proprio tenore di vita più elevato, e
il complesso d’inferiorità di chi è convinto che lo stile di vita più
austero pone i Germani al riparo da quelle debolezze e da quella
corruzione che sembrano fatalmente il portato di una cultura
su-periore), i mercanti favorirono in modo diretto e dinamico il
contatto tra le due culture. La storiografia ufficiale guarda con un
disprezzo non dissimulato l’attività del commercio: Cesare (B.G.
IV 2) e Tacito (Germania 5) ne minimizzano l’importanza, e ne
mettono in rilievo il carattere unilaterale (i Germani vendono i propri
prodotti, ma sono restii a introdurre merci straniere); i dati
archeologici per contro accennano a scambi di una certa consistenza,
perché si sono trovate quantità notevoli di monete romane in territori
dell’Europa centro-orientale anticamente abitati da tribù germaniche
(nella zona della Vistola o nella Bielorussia, per esempio). Un episodio
narrato da Tacito (Annales II 62) mostra come i mercanti romani
non avessero timore di inoltrarsi ben addentro ai territori barbarici:
nel 19 d.C. un nobile goto di nome Catualda alla testa di un esercito
invade il territorio dei Marcomanni, nell’odierna Boemia, e nella loro
capitale trova numerosi mercanti romani che l’ingordigia e un colpevole
oblio delle proprie radici aveva spinto nel cuore di una terra nemica (lixae
ac negotiatores … quos ius commercii, dein cupido augendi pecuniam,
postremo oblivio patriae suis quemque ab sedibus hostilem in agrum
transtulerunt).
L’importanza del commercio tra Latini e Germani si riflette sul piano
linguistico. Le più antiche parole germaniche che designano il commercio
sono prestiti dal latino: si tratta del verbo che troviamo nella
traduzione gotica della Bibbia (sec. IV d.C.) nella forma kaupon
e che ha assunto nelle lingue germaniche moderne, in seguito a regolari
trapassi fonetici, la forma ted. kaufen, sved. köpa,
ingl. to cheapen (in quest’ultima lingua col valore più
ristretto di ‘abbassare il prezzo, svalutare’); in antico alto tedesco
troviamo anche il sostantivo koufo ‘mercante’, che non è però
continuato nella fase moderna della lingua. Si tratta di una derivazione
del lat. caupo (o del suo derivato cauponari) nel suo
duplice valore di ‘oste, albergatore’ e di ‘mercante’. Poiché la parola
apparteneva a un registro non particolarmente elevato, appare chiaro che
i primi termini latini sono approdati al germanico attraverso la viva
voce dei parlanti, non attraverso i libri e la letteratura: è anche
singolare che di caupo e derivati non sia rimasta traccia nel mondo
romanzo. I Germani hanno poi fatto da tramite per l’ulteriore passaggio
della parola ad altre lingue e culture: troviamo così riflessi della
parola latina nel mondo slavo (p. es. russo kupit’ ‘comprare’,
pol. kupiec ‘mercante’) e addirittura, al di fuori dell’ambito
indeuropeo, nel lontano finnico (kouppo ‘vendere’); si presenta
così davanti ai nostri occhi una rete di relazioni e di rapporti tra
popoli e culture quanto mai complessa e inattesa.
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