Antonia Arslan
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Perché siamo tutti greci, nella mente e nel cuore

 

di Antonia Arslan


La scrittrice Antonia Arslan, autrice di libri quali La Masseria delle Allodole e La strada di Smirne (dal primo libro, tradotto in molte lingue, tra cui l'armeno, è stato tratto anche un film che ha ottenuto un ampio successo internazionale) rievoca in questo passaggio, pubblicato sul quotidiano Avvenire, l'importanza degli studi classici, assumendo come punto di partenza la sua esperienza personale.

 

(da Avvenire, 29 marzo 2009)


Avevo tredici anni compiuti da poco, e avevo appena passato l’esame di terza media. Mi godevo le lunghe vacanze estive, leggendo, arrampicandomi sugli alberi, costruendo pupazzi di stoffa (era la grande moda di quell’estate) e giocando a calcio come portiere.
Sapevo che sarei andata al Liceo classico della mia città, ma mi frullava in testa un’idea che mi sembrava molto ardita, di andare a frequentare invece il Liceo presso il famoso Collegio armeno di Venezia. Imparare quella lingua misteriosa, che sentivo risuonare per casa solo quando venivano i parenti dal Libano o dalla Siria, distinguermi dai miei compagni, essere la più originale, che sfida affascinante!
Ma non fu possibile, il collegio armeno era solo maschile. E così, la lingua armena rimase per me un mito inaccessibile: e mi limitai ad ascoltare canzoni, a distinguere qualche lettera dell’alfabeto, a scrivere elenchi di parole con l’aiuto di zia Henriette. Ma il greco, oh il greco mi conquistò subito!
L’alfabeto lo sapevo già, perché lo avevo imparato sul manualetto di astronomia per i bambini di Fede Paronelli, con cui per tutta l’estate precedente, con uno zio un po’ matto, avevamo cercato di capire le costellazioni. Ma la lingua mi avvolse come un manto sontuoso, una gioiosa scoperta.
Amavo tutto di quella fluente meraviglia, giocavo con i verbi, sprofondavo nelle radici, imparavo le declinazioni come un canto armonioso: e nonostante i rimproveri dei miei insegnanti, trovavo il latino molto più rozzo, meno delicato ed espressivo, con meno sfumature di pensiero.
E poi tutto il moderno vocabolario medico, politico e scientifico si apriva come un rebus risolto appena si imparavano le giuste parole greche; da quel tronco fluivano, come da una sorgente inesausta, senso e significato per ogni azione dell’uomo, per ogni riflessione filosofica, per ogni pensiero strutturato, per ogni costruzione di scienza politica, di psicologia, di teologia: per esempio, la consueta parola 'anima' diventava 'psiche', e subito, a parte la psicanalisi, veniva in mente la leggenda di Amore e Psiche, la bellezza dei marmi e le favole antiche.
A questo naturalmente arrivai un po’ alla volta, anche perché ebbi un maestro eccezionale, che ci accompagnò lungo la strada di una cultura assorbita con gioia, con le parole perenni della poesia e della tragedia, magari insegnandoci la struttura del trimetro giambico attraverso una frase di Antigone che non mi è più uscita dalla memoria: «Non sono nata per portare l’odio reciproco, ma l’amore reciproco», che in greco, ovviamente, suona di un’eleganza definitiva.
Ogni versione era una sfida, perché il greco è una lingua fluida e ingannevole, con le sue parole-chiave dai molti significati, per cui è necessario sviluppare una capacità di intuizione veloce, per non uscire di strada e non capire più niente; ed è per questo un ottimo esercizio di svelamento di enigmi, di risoluzione di inganni, come i miti immortali degli dei e degli eroi ancora ci insegnano.
Nessuna cultura occidentale può ancora oggi prescindere dalla Grecità, dal patrimonio enorme per lo sviluppo della mente umana che il V secolo ateniese ci ha consegnato in ogni campo, dalla storia all’architettura, dalla scultura alle arti 'minori', alla tragedia: e qui sono presenti alla mente di ognuno, e sono diventati dei simboli eterni, personaggi così potenti e ricchi di senso, come Edipo, Antigone, Ippolito, Ifigenia, Clitennestra, da rappresentare ancor oggi i vertici della riflessione dell’uomo sul suo destino.

 

 

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