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Ciclo primavera 2021. Terzo Sabato di Zetesis

24 aprile 2021, ore 17/19

 
Lettura dell’Inno a Demetra di Callimaco: resoconto degli interventi.
 

-    Nel preparare questo incontro ho scoperto una storia mitico-letteraria che ignoravo. Esiodo nelle Eee (il lungo frammento papiraceo 43a) racconta la storia di Mestra, figlia di Erisittone: quando Erisittone è colto da fame insaziabile, organizza una truffa matrimoniale, fidanzando la figlia in cambio di doni nuziali; però Mestra ha ottenuto da Posidone di trasformarsi ed ogni volta lascia lo sposo e torna a casa; persino l’astutissimo Sisifo, che l’ha scelta come sposa per il figlio Glauco, cade nel tranello. La vicenda è accennata da Licofrone nell’Alessandra, dove in pochi versi (1393-5) si parla di una volpe versatile e lasciva che aiuta il padre, quindi di una Mestra connivente e complice; sarà poi ripresa in modo diverso da Ovidio (Met. VIII, v. 738 segg.), secondo cui Mestra è venduta una prima volta come schiava da Erisittone, esaurite altre possibilità di guadagno; ma, avendo ottenuto da Nettuno di trasformarsi, fugge dal padrone e torna a casa; allora Erisittone approfitta della sua capacità di metamorfosi  per rivenderla a diversi padroni sotto diverse forme.

- Callimaco si colloca cronologicamente all’interno di questa tradizione innovandola o accogliendo una variante meno nota, secondo il suo gusto per la novità: Erisittone non è un uomo adulto, ma un giovane che abita in famiglia; quindi Mestra sparisce dalla storia.

- Forse Callimaco vuole creare un legame fra i due ultimi Inni, già accomunati dal dialetto dorico e dallo svolgersi di un rito: nei Lavacri di Pallade  è narrato il mito di Tiresia, che da ragazzo incidentalmente vede la dea, e del giovane Atteone, il sacrilego punito. Quindi se anche Erisittone è qui un ragazzo, le tre storie, pur differenti (Tiresia è l’unico innocente), creano un parallelo: e in tutte c’è il dolore della madre, in questo inno anche del resto della famiglia.  

-   Callimaco è di Cirene, zona dorica, quindi scrive nel suo dialetto, non nel dorico letterario dei cori tragici. Il dialetto di Cirene è molto complesso, in quanto subisce l'influenza di altre parlate doriche e non doriche. E’ una delle tre aree dialettali, con Lesbo e l’Elide, in cui l’allungamento di compenso dopo la semplificazione di -ns- in -s-dà come esito οι: es. Μοῖσα. Altra caratteristica del dorico puro (severior) è l’esito in vocale aperta dell’incontro di due vocali: vedi ad esempio il genitivo singolare Τῶ καλάθω del primo verso e τῶ al quarto (ma i codici hanno τοῦ). Inoltre nel gruppo -nw- si ha caduta della semivocale con esito di vocale aperta: così μῶνος (v.8) in corrispondenza di ionico μονος (attico μόνος). Altra caratteristica che incontriamo è la desinenza di I persona plurale in ς:  πτύωμες (v. 6) e λέγωμες (v. 18). Callimaco però mescola il dorico con elementi di lingua omerica, creando una commistione dotta: vedi ad esempio forme come τέγεος (v. 4), πολίεσσιν (v. 18), νεφέων (v. 7). Rileviamo anche qualche accostamento di esiti diversi: πολυτρόφε πουλυμέδιμνε (v. 2);  

-          notiamo arcaismi come δυθμάς con θ invece del più tardo σ (v. 10);

-       naturalmente il titolo non è originario, visto che il nome della dea compare come Δήμητρα.

-  Iniziamo la lettura degli esametri. Il verso 4 è spondaico, forse per accentuare il verbo proibito (αὐγάσσησθε);

     i versi 39 e 40 hanno entrambi dieresi bucolica;

-       hanno anche doppia allitterazione: ἴαχεν ἄλλοις - ἱερὸν ἄλγει: il grido agli altri del colpito  e la sofferenza dell’albero sacro alla dea.

-   Sono stati utilizzati nella preparazione, oltre a diverse edizioni degli Inni, anche alcuni manuali, quali Scrittori di Grecia di Rosati, I classici greci di Michelazzo, Pieri, Carrara e la Letteratura greca di Guidorizzi, che hanno fornito materiale interessante come traduzione e commento. In particolare Guidorizzi cura molto la parte relativa ai riti misterici; fa anzi l’ipotesi che il rito descritto non sia fittizio ma si svolga effettivamente a Cirene, dove c’erano due templi dedicati a Demetra. L’ipotesi della realtà del rito e della sua collocazione a Cirene è variamente discussa (altre ipotesi: Alessandria, Cnido).

-          Elementi rituali nel testo: il canestro contiene gli oggetti sacri e gli strumenti del culto; il suo contenuto è tabu  e non può essere visto dal pubblico che assiste al corteo, ma solo dagli iniziati. Quindi non si può assistere al corteo dall’alto. Gli iniziati digiunano durante la giornata, fino a sera, quando Demetra accettò di nutrirsi.

-          Anche le abluzioni e la loro astensione fanno parte del rituale, che imita la vicenda della dea.

-       Nella parte finale riprendono gli elementi del rito, con ripetizioni  (v.11- v.119)

-     e l’indicazione del valore imitativo del rituale (χῶς … ὣς, vv. 120-121)

-    La parte narrativa comprende una praeteritio, caratteristica di Callimaco (cfr. Aitia, fr. 75 Pf, v. 4 segg.). Le peregrinazioni di Demetra in cerca della figlia  sono appena accennate e poi interrotte: μὴ μὴ ταῦτα λέγωμες (v. 17).

-     Con l’anafora di κάλλιον sono introdotti i tre elementi positivi che è meglio riferire: il dono delle leggi, il dono dell’agricoltura e la punizione dell’empietà.

-   Callimaco si colloca quindi nel solco della vulgata del mito di Demetra, dea legislatrice e dea dell’agricoltura, a differenza dell’inno omerico che considerava l’agricoltura come già in uso e poneva come dono di Demetra a Trittolemo e gli altri capi di Eleusi i misteri.

-      Lo storico delle religioni Burkhert, citato da Rosati, ha studiato le tradizioni europee relative al culto degli alberi (fino all’istituzione dell’albero di Natale)

-          Citiamo vari esempi: l’olivo sacro dell’orazione di Lisia, le piante del monte Ida sacre alla Gran Madre usate per fabbricare le navi dei Troiani e poi trasformate in ninfe (Aen. IX, 79 segg.), le piante sacre ai diversi dei greco-romani, la critica cristiana di Clemente Alessandrino al culto degli alberi, e altro.

-          Confrontiamo il racconto dell’empietà (in realtà il termine usato al v. 45 è ἀναιδέα, ‘privo di αἰδώς’, in genere riferito a rapporti fra uomini) di Erisittone in Callimaco e in Ovidio. Nell’inno il primo albero colpito lancia un grido di dolore ai compagni e viene sentito da Demetra, che interviene sotto le spoglie della sua sacerdotessa ufficiale, quindi autorevole anche da parte della città. Ad Erisittone viene data la possibilità di pentirsi e rinunciare al progetto: anche se agli dèi manca il perdono, prima della punizione viene offerto un cambiamento. Erisittone però insulta e minaccia la dea, che si mostra in una teofania tipica di una divinità adirata: così anche Demetra nell’inno omerico, quando si svela ad Eleusi dopo che le è stato impedito di rendere immortale il bambino; così sarà anche di Aletto nell’Eneide, quando si rivela a Turno che l’ha derisa (VII, v. 415 segg.).  Poi Demetra stessa lancia ad Erisittone la maledizione della fame e Dioniso le si associa (vv.71-2): come abbiamo già rilevato le scorse volte, gli dèi del dono di pane e vino sono associati anche nel rancore.

- In Ovidio la descrizione è più truculenta: l’albero colpito sanguina, ricordo forse dell’episodio virgiliano di Polidoro. Ma Cerere non interviene direttamente, perché come dea dell’agricoltura non può coesistere con la fame: interessante osservazione, in contrasto con l’inno omerico in cui proprio Demetra provoca la carestia: un’ulteriore indicazione che nell’inno omerico Demetra non è considerata come dea dell’agricoltura. Cerere tramite una ninfa incarica della punizione la Fame, descritta come orribile a imitazione sia della Fama sia di Aletto virgiliane. 

-          Sempre Ovidio, oltre a tutta la vicenda di Mestra in cui il padre snaturato vende la figlia, introduce, forse innovando, l’autofagia di Erisittone, come orribile conclusione dell’episodio.

-          Callimaco invece nel lungo racconto della fame di Erisittone  fa prevalere i toni scherzosi.

-         Notiamo gli elementi realistici tipici della letteratura e dell’arte ellenistiche (sculture come il bambino che strozza l’oca, ecc.)

-          Noto una somiglianza con il primo Idillio di Teocrito, ripreso da Virgilio nella X ecloga. Il verbo ripetuto  ἦνθον dei vv. 74-75 introduce una sorta di corteo, analogo al corteo di amici di Dafni morente: ma dove Teocrito (e poi Virgilio) è patetico-drammatico, Callimaco è prevalentemente comico

-    Il pianto corale di fronte alla sciagura di Erisittone richiama diverse situazioni epiche, i lamenti per Patroclo e per Ettore, la coralità della famiglia di Meleagro nel libro IX dell’Iliade. Nel discorso del padre troviamo la tipica pretesa nei confronti del dio, qui Posidone di cui Triopa si ritiene figlio: probabile richiamo all’invocazione di Polifemo allo stesso padre Posidone.

-   Qui però c’è anche il realismo della preoccupazione economica,  la rabbia del capofamiglia per la rovina del patrimonio familiare.

-  Le scuse che vengono addotte per evitare che Erisittone accetti gli inviti comprendono  riferimenti mitici (ferito da un cinghiale, colpito da un disco) ed elementi di vita quotidiana, esigere un debito, contare gli armenti…, con la commistione tipica di Callimaco, ad esempio nell’Ecale.

- NB. Un interessante contributo sul mito di Erisittone si ha nello studio in Erisittone prima e dopo Ovidio, di Rita degl’Innocenti Pierini. Leggibile  online nel sito Academia.edu.

Tiziano Vecellio. Il mito di Erisittone.

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