"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Come avevamo preannunciato, diamo una breve relazione della conversazione fra redattori di Zetesis sul testo di Rutilio Namaziano che si è svolta il 26 ottobre. La conversazione è iniziata con la lettura dei passi suggeriti, ma ha tenuto conto anche dell’intero poemetto; i diversi interventi a volte si sovrappongono, perché scegliamo di conservare la struttura della conversazione.
 

- Anzitutto è interessante il coinvolgimento personale di alcuni di noi per questo testo. Una racconta di aver seguito sulla cartina il percorso del viaggio di Rutilio fino a Luni dove va abitualmente in vacanza e che era molto cara alla prof. Marta Sordi, docente di tanti di noi. La descrizione del poeta le evoca i luoghi anche dal punto di vista del clima e dei ricordi storici: il mare d’Etruria è sempre mosso, la città di Populonia era già in rovina al tempo del viaggio di Rutilio. Un altro racconta di aver incontrato l’opera di Rutilio quando da universitario aveva viaggiato per l’Europa con le facilitazioni per studenti. In Francia aveva letto il poemetto rivivendolo sul posto. Un’altra ancora ricorda delle conversazioni avute con tre quinte elementari che iniziavano la storia romana: aveva letto loro i versi I, 63-66 di Rutilio sul ruolo unificante di Roma, e le maestre avevano voluto farli trascrivere (in italiano) sui quaderni dei bambini.
 - Il titolo De reditu colloca il poemetto nella tipologia dei nostoi. Ma ai vv. I, 192 segg. troviamo un esplicito riferimento omerico che svela l’intento di capovolgimento del modello: il filo di fumo che Odisseo vuole vedere sorgere da Itaca qui è riferito alla terra di partenza, non a quella d’arrivo. Quindi il viaggio è una sorta di rivisitazione dell’Odissea all’inverso: la patria è ricercata a malincuore, ciò che si lascia è l’oggetto della nostalgia.
- Il periodo tardo-antico è stato in passato il grande assente dalla scuola: nel biennio dopo il secondo secolo si terminava rapidamente l’evo antico. Adesso che bisogna arrivare a Carlo Magno questi secoli hanno il loro spazio, anche se a danno di periodi precedenti. Si tratta di epoche di grande interesse, con la divisione fra oriente e occidente, l’incalzare dei barbari, i saccheggi e la difficoltà a gestire politicamente e militarmente la situazione. Importante in particolare il rapporto fra Onorio e Stilicone, il generale vandalo che resse l’impero di Occidente cercando una mediazione coi barbari. Mentre Claudiano solo pochi anni prima ne scrive gli elogi (De Consulatu Stilichonis, De bello Gildonico, De bello Gothico), Rutilio ce ne dà un ritratto pesantemente negativo: la morte di Stilicone come traditore è del 408, ma pochi mesi prima aveva spinto Onorio ad una legge contro il paganesimo, che comportava anche la distruzione dei Libri Sibillini: ai vv. II, 41 segg. del poemetto Stilicone è accusato di entrambe le colpe, tradimento ed empietà.
Consigliamo la lettura di S. Mazzarino, Stilicone, Milano, 1942-1990  (quest’ultima edizione corretta su appunti lasciati dall’autore), come pure di L. Storoni Mazzolani, Galla Placidia, Rizzoli 1975, un affresco del periodo in cui visse la sorella di Onorio, rapita dai Goti durante il sacco di Roma del 410, sposata ad Ataulfo successore di Alarico, poi tornata in patria e divenuta moglie dell’imperatore Costanzo. Entrambe le opere sono recensite sul sito di Zetesis fra le biografie (Mazzarino, Storoni Mazzolani .

- La composizione del De reditu è collocata tra il 415 e il 417, un secolo dopo l’editto di          Costantino e i grandi mutamenti culturali intervenuti con la diffusione del Cristianesimo. Rutilio sembra completamente alieno a questi avvenimenti. La Roma che descrive è piena di templi sontuosi e di monumenti dedicati a divinità pagane: sembra che non vi sia nessuno spazio per il culto cristiano. Peraltro Rutilio si rende pienamente conto del valore e dell’importanza dell’azione di Roma nella diffusione di cultura e principi giuridici, fino ad aver fatto un’unica città di quello che prima era un mondo differenziato per etnie e culture. Per questo si viene a creare un contrasto (poeticamente efficace) tra il ricordo della Roma caput mundi e la triste situazione attuale della Roma umiliata dalle invasioni barbariche che hanno distrutto edifici e strade e reso insicuri anche gli spostamenti: la visione di case e di interi messaggi abbandonati dà un senso di desolazione (“Dagli atri muscosi, da’ forti cadenti”…), pur nella percezione di una possibile rinascita di Roma e della sua civiltà. Da segnalare la descrizione del querolus Iudaeus (383 ss.), un vigoroso attacco antisemita con un’interpretazione malevola e forzata dei principi religiosi giudaici, e l’attacco ai monaci cristiani con conseguente attacco ai fondamenti religiosi della fede cristiana. Notiamo che i termini Christiani e Christus non ricorrono mai nell’intero carme (o quanto meno nella parte che ci è pervenuta).
- L’opposizione al Cristianesimo (l’attacco ai monaci dei vv. I, 439 segg. e poi ancora a I, 517 segg) s’incentra sull’odio alla vita dei cristiani, in contrasto con la vitalità gioiosa dei pagani. Forse dopo l’editto di Costantino e la più recente legge di Onorio una critica diretta al Cristianesimo non era possibile, per cui ci si sofferma su una della sue manifestazioni, il monachesimo. Quanto all’attacco all’ebraismo dei vv. 381 segg., ha origini antiche (i curti Iudaei di Orazio), accentuate dalla conquista dell’età dei Flavi. Sul paganesimo di Rutilio notiamo in particolare l’espressione concilium summi …dei del v. 18, in sostituzione del tradizionale concilium deorum: l’idea di un dio supremo, unificante, è diffusa nel paganesimo tardo-antico.
 
- Sullo sfondo delle rovine dell'impero, Rutilio, mentre parte da Roma per tornare nei suoi possedimenti gallici, sembra volersi consolare della tragicità del presente volgendo uno sguardo nostalgico al passato, alla ricerca dei valori che che hanno reso la civiltà romana unica e meritevole di durare in eterno. Il compito del poeta diventa quello di fissare in modo indelebile la memoria della grandezza di Roma: te canimus semperque, sinent dum fata, canemus: / sospes nemo potest immemor esse tui (51-52). Ma il recupero delle note formule tradizionali, che potrebbe risolversi nella ripresa vuota e retorica di luoghi comuni, acquista commosse vibrazioni proprio dal contesto della decadenza e della fine imminente della romanità. Il dominio di Roma è un beneficio per i popoli vinti, segna uno spartiacque anche fisico/materiale tra la civiltà e la barbarie, tra l'ordine e il caos; le incursioni dei barbari hanno infranto le barriere che separavano il mondo civilizzato dalla natura selvaggia (postquam Tuscus ager postquamque Aurelius agger, / perpessus Geticas ense vel igne manus, / incerto satius credere vela mari, 39-42); avviandosi in questo mondo incerto e pericoloso Rutilio si appresta a lasciare a malincuore i limina sacra della città (44). All'inizio della Congiura di Catilina (6, 1-2) Sallustio racconta che Roma nasce come una mescolanza di stirpi diverse, i profughi troiani guidati da Enea e gli Aborigeni, genus hominum agreste, sine legibus, sine imperio, liberum atque solutum. La fusione di questi uomini che non avevano in comune la stirpe, la lingua, i costumi, avviene postquam in una moenia convenere; ... ita brevi multitudo divorsa atque vaga concordia civitas facta est.
Roma ha realizzato l'unità di popoli diversi col diritto più che con la forza, rendendo i vinti partecipi dello ius: fecisti patriam diversis gentibus unam: / profuit iniustis te dominante capi / dumque offers victis proprii consortia iuris, / urbem fecisti quod prius orbis erat (63-66). Il termine iniustis manifesta il significato pregnante di "privi dello ius", si potrebbe tradurre con "incivili".
Se questa è la missione di Roma, deve essere eterna. L'idea dell'eternità di Roma è mutuata dai poeti di età augustea, che dopo la grande paura della fine di Roma in seguito alle guerre civili vedono nella fondazione dell'impero una palingenesi e un nuovo incrementum. L'imperium sine fine non si sviluppa secondo un andamento lineare ma ciclico, Roma rinasce ciclicamente dalle sue ceneri ogni volta più grande, la sua è da sempre una storia di morte e resurrezione: così Orazio nel Carmen saeculare invoca dagli dei la prorogatio aeviincrementum, esaltando la pietas di Enea che ha raggiunto sine fraude il Lazio. Anche Rutilio dà corpo a questa idea con l'usuale enumerazione dei momenti drammatici della storia di Roma e con immagini varie, tra cui quella degli oggetti che non potendo affondare riemergono con tanto più slancio quanta più è la forza con cui sono spinti nell'acqua (129-130). Sono frequenti i temini col prefisso re- (resurgunt, 129; resumit, 131), in particolare ai vv. 139-140 che dichiarano in modo perentorio questa legge di morte-rinascita: Illud te reparat quod cetera regna resolvit: / ordo renascendi est crescere posse malis.
 
- La lingua di Rutilio è esemplata sulla tradizione poetica latina: si sentono echi di Virgilio e di altri poeti della tradizione, ma si trovano anche neologismi e grecismi, e parole di uso raro al di fuori dei testi di natura specialistica. Si osservi p.es. I 30 pastorales casas: l’aggettivo, usato fin dall’epoca di Cicerone, è usato con discreta frequenza nei poeti dell’età augustea e poi nella tarda tradizione bucolica (Nemesiano, Calpurnio): qui è unito con casa ‘catapecchia, tugurio’, collegando una parola della tradizione poetica con una parola di risonanza meno nobile. Notiamo che all’epoca di Rutilio (V sec.) il latino della scrittura elevata è materia di apprendimento scolastico: il latino parlato dell’epoca presenta già vistose differenziazioni, sia nella fonetica (venir meno della sensibilità alla quantità vocalica, realizzazione di molti fonemi differenti da quella dell’età cesariana) sia nella morfologia (radicale semplificazione dei sistemi nominali con la preferenza per i sintagmi preposizionali, mutamenti nel sistema verbale), per cui si deve pensare che la scrittura molto nitida di Rutilio sia frutto di una formazione culturale molto approfondita: incliniamo a vedere un faticoso sforzo letterario più che un’espressione spontanea. Anche la struttura metrica del verso è molto regolare, ma risente dallo sforzo scolastico.
 
- Da uno dei redattori ci viene proposta questa poesia su Rutilio:
 Namaziano
 
Non le barche, le scapole dei servi
amare al peso del trasloco, o l’alba
marina di Roma: lui magister
alzò su di sé lo sguardo, divenne
zona viva tra il suo respiro e l’altro
il filo e la sostanza del poeta;
allora non fu partenza il congedo:
nero, in mezzo, lo scalpitio del mare
oltre l’indice teso del pontile.
 
 (Pierluigi Cappello) 

da Roma a Luni

-Inoltre:

Un film storico basato sul poema di Namaziano è stato prodotto nel 2003 con il titolo di De reditu (Il ritorno), sceneggiatura di Alessandro Ricci e Claudio Bondi, che ne era anche regista.

 E’ uscito da poco anche un romanzo ispirato a Rutilio: Folco Giusti, L'isola del'ultimo ritorno, Primiceri ed., 2020.



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