"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Pace nel Nuovo Testamento

L’uso di εἰρήνη nei Vangeli è di particolare interesse. Coerentemente con quanto abbiamo visto per i Settanta, qui la parola in parte mantiene valori propri dell’uso ellenistico (εἰρήνη come generica mancanza di guerra o di discordia), in parte assume sfumature d’impronta nettamente semitica che la portano a indicare il benessere materiale. Come esempi dei luoghi in cui la parola non esorbita dal valore comunemente assunto in greco ed ha un valore generale che non dà adito a particolari rilievi ricordiamo Lc. 14, 32 "mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace"; anzi in Lc. 11, 21 "quando un uomo forte, ben armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro" si percepisce nella parola il valore tipicamente greco di ‘assenza di conflitti o di turbamento’ in senso materiale. Come documento dell’influsso semitico stanno viceversa le formule di saluto (p.es. Mc. 5, 34 "la tua fede ti ha salvata. Va in pace e sii guarita dal tuo male"; cfr. anche Lc. 7, 50; 8, 48; ecc.; Ioh. 20, 26 "Venne Gesù ... e disse "Pace a voi"; cfr. anche 20, 19; 20, 21; ecc.).

[È singolare, per esempio, che in Act. 16, 36 il carceriere di Filippi congedi Paolo con la formula di saluto semitica ("I magistrati hanno ordinato di lasciarvi andare! Potete dunque uscire e andarvene in pace "): Luca può essere stato qui influenzato dal comune ricorrere di questa formula di congedo, a fronte dell’estrema rarità di quella romana consueta (che ricorre solo in Act. 15, 29 e 23, 30), estendendola anche a luoghi dove essa non poteva essere stata pronunziata]

Nelle riprese dei passi messianici dell'AT εἰρήνη è naturalmente la traduzione corrente di ebr. šālōm (cfr. p.es. Lc. 1, 79, ripresa di Is. 9, 5). Alla persona del Cristo è collegata di continuo l’idea della pace, dall’annunzio degli angeli in Luca 2, 14 ("Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama") al saluto rivolto a Gesù nel momento del suo ingresso a Gerusalemme (Lc. 14, 38 "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!"). Immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme Gesù si rivolge alla città con parole di compianto e di rimprovero: il passaggio iniziale è il seguente (Lc. 19, 42): "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi." Strada e modalità per ottenere la pace, cioè il bene più grande nel quadro messianico, sono l’accoglienza piena di Gesù, senza riserve: il non aver compreso questo sarà per Gerusalemme fonte di rovina. In sostanza, la duplicità di uso sana l’apparente contraddizione che aveva costituito il nostro spunto iniziale: Gesù non è venuto a portare la pace nel senso ellenistico del termine, né la tranquillità individuale propria del sapiente che si isola e si colloca al di sopra dell’umanità comune, né una situazione di assenza di conflitti, più o meno temporanea: è venuto a portare una pace diversa, che è pienezza anche nell’ordine umano. Questa duplicità di prospettiva è la chiave di lettura di I Thess. 5, 3 ss. "E quando si dirà: ‘Pace e sicurezza’, allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre". La pace dei figli delle tenebre (vale a dire l’eirēnē nel senso riduttivo di cui sopra) non ha nessuna reale consistenza e non procura salvezza: solo la conversione mette in condizione di godere della vera pace.

Questo modo d’intendere il termine riappare, ulteriormente precisato, negli altri libri del NT. Iddio ha mandato agli uomini attraverso Gesù una "buona novella di pace" (Act. 10, 36), e Dio è definito in più di un passo come "il Dio della pace".

[Per la precisione, questa definizione ricorre cinque volte: Rom. 15, 32 "Il Dio della pace sia con tutti voi"; 16, 20 "Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi"; Phil. 4, 9 "il Dio della pace sarà con voi!; I Thess. 5, 23 Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione"; Hebr. 13, 20 "Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un'alleanza eterna, il Signore nostro Gesù".]

In San Paolo, oltre a confermare esplicitamente il carattere unico e straordinario della pace cristiana, di cui solo Gesù può essere autore ("Egli è la nostra pace" Eph. 2, 14), e a sottolinearne il respiro cosmico, l’idea della pace è strettamente connessa con quella della vita e della gioia (χαρά chará), come appare da passi quali Rom. 8, 6 "i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace"; la pace è gioia e benessere completo della persona, superiore quindi al benessere che si ottiene dalla sola sfera materiale: Rom. 14, 17 "il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo ... Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole"; Gal. 5, 22 "il frutto dello Spirito Santo invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé". La pace e la grazia divina sono generalmente invocate sui destinatari delle lettere nelle formule di apertura e chiusura. Di particolare interesse Rom. 15, 13 "Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo": la definizione "Dio della speranza" ricorda da vicino la definizione "Dio della pace": pace e speranza sono qualità intrinseche della perfezione divina e nel contempo rappresentano doni che la sovrabbondanza dell’amore divino concede agli uomini: cfr. II Thess. 3, 16 "Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo". Il carattere speciale della pace cristiana è vigorosamente sottolineato in Phil. 4, 7, quando si afferma che questa supera ogni possibilità di comprensione umana: "la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù". Nello stesso tempo il cristiano è impegnato per realizzare con pienezza la pace (e naturalmente questa pace): II Tim. 2, 22 "fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro". Il concetto riappare poi p.es. in Hebr. 12, 14 "Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore", o I Petr. 3, 11 "eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua", o I Jac. 3, 18 "un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace" o altrove ancora. Opposto della pace è il disordine (ἀκαστασία akatastasíā), a partire innanzitutto dal disordine della Chiesa (I Cor. 14, 33): "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace".

[Per ulteriori informazioni sull’argomento rimandiamo a Foerster, art. cit., col. 219 e ss. (la trattazione è divisa in cinque parti: 1. eirēnē nel senso più ampio di normale condizione di tutte le cose; 2. eirēnē come salute escatologica dell’uomo nella sua totalità; 3. eirēnē come pace con Dio; 4. eirēnē tra gli uomini; 5. eirēnē come pace dell’anima) e alla bibliografia che ivi si cita].

In Act. 16, 36 il carceriere di Filippi congeda Paolo con la formula di saluto semitica ("I magistrati hanno ordinato di lasciarvi andare! Potete dunque uscire e andarvene in pace"): Luca può essere stato qui influenzato dal comune ricorrere di questa formula di congedo, a fronte dell’estrema rarità di quella romana consueta (che ricorre solo in Act. 15, 29 e 23, 30), estendendola anche a luoghi dove essa non poteva essere stata pronunziata.

Nell'immagine: Raffigurazione di un'ancora, simbolo della speranza cristiana nella simbologia cristiana dei primi secoli; nei pressi dell'ancora due pesci, altro simbolo del cristianesimo primitivo: in greco il pesce, ΙΧΘΥΣ, è l'acronimo della frase ΙΗΣΟΥΣ XPIΣTOΣ ΘEOU ΥIOΣ ΣΩTHP  "Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore" (da una Catacomba di Roma).

 

           

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