A. Muni, Cose che gli insegnanti non dicono – come i bambini imparano e costruiscono la propria storia, Armando ed., 2009

 

L’autore, laureato in filosofia e insegnante di scuola primaria, pone un problema di fondo: come insegnare ai bambini, e in particolare come insegnare la storia. Va subito precisato che si pone in un’ottica disciplinare, secondo cui il maestro affronta la singola disciplina (e si specializza in essa); infatti Muni prende le distanze dall’esperienza raccontata nei libri di M.Lodi, basata fondamentalmente su un lavoro pluridisciplinare, tipica del maestro unico o prevalente. L’ipotesi è qui invece quella di una classe in cui si vuole far apprendere un argomento specifico di una specifica disciplina, la storia; e il punto di partenza pedagogico è l’apprendimento attraverso il dialogo. Ma le modalità di dialogo proposte dai pedagogisti o narrate nelle esperienze didattiche risultano insoddisfacenti: o sono un espediente per trasmettere conoscenze, oppure un chiacchierare libero  finalizzato alla trasmissione di idee e valori. Un dialogo invece, secondo il Muni,  deve essere una modalità per costruire insieme conoscenze, attraverso l’esame comune di testi e la riflessione dei bambini fra loro e con il maestro. L’autore propone come esempio la guerra del Peloponneso, consapevole di andare controcorrente, sia per la valorizzazione della storia antica (attuale perché non è mai solo nazionale o eurocentrica, ma ha sempre sullo sfondo la situazione internazionale) sia per  la scelta di una guerra, che offre la possibilità di entrare subito dentro un conflitto e crea il bisogno cognitivo di spiegarlo (pag.37). In sostanza, vorrei dire,  sono le motivazioni per cui Erodoto sceglie di narrare una guerra, per indagare in particolare la causa per cui vennero in conflitto fra loro.

L’ultima premessa riguarda la posizione del maestro, definita tragica in quanto sperimenta la propria insufficienza, è un povero in spirito nel senso evangelico.

Nella  seconda parte Muni immagina un dialogo in classe finalizzato appunto all’apprendimento dell’episodio scelto. Si parte dalla lettura della vicenda, così com’è presentata in poche righe dal libro di scuola. Dalla prima frase (Nel 431 Corinto entra in guerra con Corfù) si sviluppa il dialogo, che comporta la lettura di altri testi, dizionari, enciclopedie, cartine, enciclopedie on-line, guide turistiche, ecc. La costruzione della storia s’incentra soprattutto sulle motivazioni economiche, in particolare sullo sfruttamento delle miniere d’argento.

La terza parte, molto ampia, commenta il dialogo, lo critica, ne trae riflessioni pedagogiche più complesse.

Dalla lettura del dialogo immaginato sorgono domande, alcune fatte proprie anche dall’autore stesso. Il punto di partenza non è neutro: se si fosse partiti da qualche riga di Tucidide l’interesse si sarebbe incentrato sulle motivazioni politiche, non su quelle economiche: quindi l’orientamento del dialogo deriva essenzialmente dall’interpretazione del maestro, più che dalla curiosità deui bambini. Ma non è forse ovvio che sia così? L’importante è che il maestro sia appunto povero in spirito, non fazioso, in ascolto dei testi, in grado di smontarli e criticarli anzitutto lui, prima dei bambini. Ma è inevitabile, forse giusto, che faccia emergere il suo modo di vedere gli eventi oggetto di studio.

Ciò che mi sono chiesta è però soprattutto un’altra cosa: perché non presentare un’effettiva esperienza didattica, cioè un dialogo veramente avvenuto (registrato o ricostruito, magari cambiando i nomi per la privacy)?  Anche il commento sarebbe stato più efficace, perché misurato sulla rispondenza al metodo di una vera classe.

Si tratta comunque di un’opera molto stimolante: la proponiamo alla lettura e alla riflessione non solo dei maestri ma degli insegnanti dei diversi livelli di scuola, per la valorizzazione del mondo antico e per le questioni di metodo che sono in realtà interessanti in ogni classe.

 

 

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