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2015-1

 

 

Pochi giorni prima della maturità una studentessa del classico scrive questa sintesi del percorso fatto: mi ha insegnato un metodo che vale per tutte le cose, non solo per lo studio: stare ai dati e partire da quelli, solo sulla realtà riconosciuta si fonda un percorso sicuro; poi non solo questo, mi ha anche fatto appassionare alla letteratura antica perché è piena di domande lasciate irrisolte, lasciate aperte, quindi non è letteratura morta! Anzi!

Ci sembra che i due aspetti visti come formativi da questa ragazza siano della massima importanza e ci permettiamo di riprenderli perché costituiscono, a nostro parere, elementi portanti del liceo classico. Anzitutto la realtà: i nostri studenti imparano dal lavoro sui testi che uno spirito o un accento esprimono o variano il senso, che un’α o un’η indicano l’appartenenza ad un dialetto letterario e quindi a un genere, che un’a una u o una e modificano il tempo o il modo di un verbo, e quindi il senso della frase e i suoi legami logici; imparano che per parlare di letteratura non è sufficiente fidarsi del manuale o di testi critici, ma bisogna avere la pazienza di confrontarsi con quello che gli autori dicono, con le loro scelte formali e lessicali, con il tempo e la temperie culturale in cui sono vissuti, senza la pretesa di sottomettere l’esperienza di lettori, saggiata dall’approccio ai testi, al già saputo, al già accreditato, alle definizioni di comodo. E’ una dura scuola. C’è sempre dietro l’angolo il desiderio di utilizzare schemi precostituiti, in cui stia dentro tutto e che si possano ripetere facendo bella figura: la realtà è un rischio e una fatica, scompagina le certezze, costringe a ritornare sui propri passi per una frase che non rientra, per una parola che ha un altro senso. Ma è una scuola, come ha capito la studentessa, che vale per tutte le cose: dal giudizio sulla vita di tutti i giorni all’impegno per qualunque studio e professione futuri.

Poi l’individuazione delle domande lasciate irrisolte non come un limite, ma come un valore. Conosciamo la tendenza a vedere il mondo grecoromano come qualcosa di compiuto e finito, morto appunto: sia nel senso più negativo di un mondo che non riguarda il nostro presente perché lontano ed estraneo, sia in quello più insidioso di un mondo che ci ha detto tutto quello che poteva dirci ed è come un antenato dall’eredità magari bella ma poco utilizzabile, sia infine come un tempo di errori e falsità, umanamente povero perché pagano, scientificamente povero perché privo dei mezzi tecnologici di conoscenza. Tutti noi sappiamo la fatica di andare controcorrente, di presentare l’antichità nella sua ricchezza. La categoria individuata dalla studentessa ci pare in questo senso importante: le grandi domande sull’uomo, il suo destino, la sua origine, il senso della sua storia, che risuonano nei testi di poesia e prosa, di filosofia ed epica, si accompagnano a tentativi di risposta come a tentoni, in cui la precarietà e a volte la contraddittorietà sono segni di un desiderio più grande della capacità di compimento, e costituiscono un ponte vertiginoso fra la loro e la nostra umanità; mentre le domande sulla natura, le grandi questioni matematiche, le ipotesi astronomiche aprono, non chiudono, e troveranno soluzioni molti secoli dopo, alcune di esse solo in futuro.

Come dice Seneca: Verrà un tempo in cui un solo momento, insieme al lavoro di un’età più lunga, porterà alla luce queste cose che ora sono celate; per la ricerca di cose tanto grandi non è sufficiente una vita…e così queste cose saranno spiegate attraverso lunghe successioni di generazioni.

  

 

      

 

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