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2013-1  

 

 



Siamo alla fine di un anno che ha visto l’avviarsi del triennio riformato, più volte reso precario dalle esternazioni del ministro uscente. Speriamo che la riforma, con gli aggiustamenti che la legge permette alle scuole, si concluda in tranquillità nei prossimi due anni, in modo che se ne possano trarre riflessioni pacate e obiettive. Siamo stanchi di rincorrere utopie e personalismi.
In ballo c’è la scadenza del 2014 per i libri di testo digitali, con l’editoria in subbuglio e la scuola generalmente perplessa, anche quando a parole disponibile. E c’è in ballo l’ampliamento dell’Invalsi: forse non tutti sanno che alcuni istituti secondari, fra cui il nostro, sono stati scelti per una sperimentazione di prova d’italiano al quinto anno, che si è svolta, con l’assistenza seriosa e draconiana di un’esterna, sabato primo giugno. Inutile commentare la scelta della tempistica: quanto al test, era piuttosto sconcertante, molto basso e decisamente futile. Interessante comunque constatare che la direzione verso cui ci si muove è questa: italiano (forse arriveranno anche matematica e inglese) prima della fine dell’anno, invece della sostituzione della III prova che comporterebbe modificazioni rilevanti alla logica (oltre che alla lettera) dell’esame, logica fondata sulla libertà d’insegnamento del consiglio di classe espressa e comunicata nel documento del 15 maggio.
Sul finire dell’anno è nata nel nostro liceo la questione compiti delle vacanze. Per la prima volta, non solo da noi ma anche a mia memoria, ci si è posti il problema degli scopi e dei metodi, della quantità e delle modalità, insomma del valore educativo di questa appendice scolastica. Siamo partiti da un testo che è stato diffuso fra i docenti:
1) Nell’idea (più o meno inconscia) di molti operatori della scuola i compiti delle vacanze sono una sorta di pedaggio da pagare per poter godere delle medesime; nell’idea anche di molti genitori sono un diversivo contro la noia, che sembra inevitabile in tempi “vuoti”. Siamo chiaramente contrari a entrambe le posizioni: va ripensata da parte di docenti e genitori l’idea di come aiutare i ragazzi a vivere bene il tempo libero.
2) Lo scopo dei compiti dovrebbe essere quello di rinsaldare conoscenze e competenze dell’anno o degli anni trascorsi: quindi vanno bene esercizi e versioni, se in numero tale (nel totale delle materie) da rendere verisimile che siano eseguiti realmente dal ragazzo, eseguiti in modo accurato, e corretti almeno in buona parte all’inizio dell’anno dopo: meglio se per fasce di livelli, come quantità e tipologie.
3) E’ bene pensare a lavori estivi che servano da riepilogo e ripensamento delle cose studiate, con collegamenti fra autori e fra materie che durante l’anno risultano separati. Si possono predisporre temi e relazioni che aiutino in questa riflessione, accordandosi fra colleghi (anche per la correzione!)
4) Se questo è lo scopo non sembra opportuno far anticipare aspetti del programma dell’anno successivo: ad esempio dare da leggere opere che si studieranno l’anno dopo (tragedie, romanzi…), prive del necessario inquadramento, rischia per lo meno di far sprecare il tempo (leggere senza capire non porta neppure a memorizzare); peggio se fornisce un’impressione confusa difficile da modificare.
5) Più complessa ci sembra la questione del completamento di parti del programma: ad esempio finire l’Eneide, I Promessi Sposi, l’Inferno, leggere una commedia di Goldoni dopo una spiegazione teorica dell’autore… Certo sarebbe meglio che un’opera (un poema, un romanzo) arrivasse alla fine in classe, in modo da ricapitolarne il senso ultimo; se, come sembra inevitabile, non è possibile, allora di queste letture deve restare traccia scritta, da correggere e valutare. Così per ogni altro completamento deve esserci una verifica.
6) Quanto a libri da leggere in più (romanzi, opere storiche) bisogna che siano coordinati come numero e come finalità all’interno del consiglio di classe.

Questo testo è andato a urtare contro modalità consolidate: quantità di esercizi non concordati fra docenti, programmi da completare, libri da leggere assegnati da diversi docenti per un totale eccessivo e spesso non verificati all’inizio dell’anno dopo, anticipazioni delle materie e dei testi nella logica “ad ogni buon conto comincia a leggere poi ne parliamo”. In un incontro con gli studenti rappresentanti di classe in cui avevamo messo a tema i compiti delle vacanze sono emersi anche altri aspetti: i ragazzi chiedevano, ad esempio in latino e greco, che fosse loro predisposto un programma di ripasso linguistico con esercizi e versioni per ovviare agli esiti poco positivi degli scritti, senza rendersi conto che tale programma era stato in realtà il percorso dell’anno e che, fatte salve le situazioni di debiti, nelle vacanze ciò che si può ottenere è la conservazione dell’esistente, mentre l’apprendimento di conoscenze e competenze è l’impegno dell’intero anno.
Insomma è stata una vera rivoluzione, anzitutto di mentalità. In consigli di classe che lavorano abitualmente in buon accordo collaborativo il momento dei compiti delle vacanze è risultato il più autonomistico, con la corsa a far prevalere la propria materia o con la rinuncia a proposte interessanti per dare spazio agli altri o anche per non avere da lavorare all’inizio dell’anno dopo. Ma nel lavoro comune sono emerse idee, ripensamenti, collaborazioni, proposte interdisciplinari di riflessione sull’anno o sugli anni trascorsi, letture trasversali, esercizi legati ad un percorso fatto, a testi letti insieme, esercizi tematici fra cui scegliere, fino ad un concorso per la terza aperto anche alle altre classi. L’impegno è che tutto sia ripreso e verificato, niente vada perso o sia sentito come un riempitivo casuale: che i compiti delle vacanze non siano un corpo estraneo nel lavoro educativo.



      

 


 

 

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