1985-2. Editoriale.
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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1985-2

 

 

Con questo numero Zétesis compie un lustro. Le preoccupazioni che cinque anni fa ci avevano spinto a creare questo modesto, ma per noi utile strumento per la circolazione di idee e di proposte, ci sentiamo di ripetere oggi con rinnovato vigore: la preoccupazione di un insegnamento, scientificamente e didatticamente qualificato, che abbia come momento essenziale del suo impegno la centralità dell’uomo e l’appassionata ricerca della verità. Riprendendo a distanza di cinque anni la tematica originaria e risfogliando le pagine del nostro bollettino offriamo al lettore in appendice di questo fascicolo un indice degli argomenti affrontati : non lo facciamo né per trionfalismo né per pignoleria, ma solamente per una più agevole ripresa di coscienza del nostro impegno), ci sembra che il panorama della vita scolastica in questo periodo abbia mostrato sintomi inquietanti.

Non ci siamo uniti al coro di quanti hanno visto con piacere la fine dell’intolleranza politica e il ripristino di una scuola ordinata in cui finalmente si può studiare. I recenti avvenimenti hanno dimostrato a sufficienza che il tempo delle manifestazioni e delle autogestioni non è finito: l’unica differenza rispetto a qualche anno fa è che queste attività sono ora sostenute da una carica di passione enormemente minore rispetto a quella che potevamo vedere alcuni anni or sono: se abbiamo, e giustamente, condannato gli eccessi e le intemperanze studentesche degli anni Settanta, dobbiamo ora, con preoccupazione infinitamente maggiore, condannare gli atteggiamenti degli anni Ottanta. E" una posizione isolata, forse, la nostra, e appunto per questo merita chiarimento. Abbiamo l’impressione che la scuola, uniformandosi alle peggiori tendenze della società, abbia progressivamente ridotto gli spazi della paideia: L’insegnamento non ha più come fine l’educazione del giovane e l’insegnante non tende più a formare, attraverso la sua disciplina, una persona capace di giudizi critici e pronta a un affronto maturo della realtà. Al vecchio nozionismo degli anni presessantotteschi si sta sostituendo un’interpretazione pseudo-tecnologica, fondamentalmente superficiale, della scuola. La sempre più massiccia introduzione dell’informatica è un sintomo di questo malessere, e non è un caso che professori, presidi, ministri in cerca di plauso e di facile consenso stiano puntando a modifiche delle strutture indirizzate verso una maggior penetrazione dell’informatica e delle lingue straniere. Non abbiamo nulla, beninteso, contro l’informatica, che riteniamo strumento prezioso, e consideriamo addirittura indispensabile la conoscenza (non lo studio!) delle lingue straniere: ma l’aver voluto forzare la mano in questa direzione non è altro che la traduzione pratica di un’ottica efficientistica e sostanzialmente manageriale, che si guarda dal mettere in discussione i principi più profondi della scuola o della didattica.

I frutti di quest’impostazione si sono colti immediatamente: i ragazzi dell’Ottantacinque sono scesi in piazza per chiedere aule e laboratori, quando avrebbero dovuto chiedere una scuola vera e piena, di cui l’edificio è una parte importante ma non esclusiva: hanno chiesto computer, quando avrebbero dovuto chiedere docenti nel senso pieno della parola: persone cioè che docent, e docendo istruiscono, formano, realizzano le potenzialità del giovane. Non è neppure un caso che le forze politiche abbiano immediatamente applaudito i giovani che scandivano queste richieste: per una volta tanto, i politici si vedevano interpellati per una serie di interventi amministrativi, senza l’impegno più difficile, ma costruttivo, di un sereno confronto sui valori ultimi di un’azione politica.

In questo panorama non certo esaltante, i docenti di lettere antiche sono sicuramente chiamati a una testimonianza che oggi più che mai acquista un valore paradigmatico. Nel momento in cui scriviamo sembra essersi allontanata la prospettiva della riforma: per una volta tanto, la lentezza dei politici può risultare utile, a patto che il rinvio serva per una più matura riflessione, la quale, anziché alla riproposizione di vuote parole d’ordine ormai inattuali (unitarietà, innalzamento dell’obbligo in un biennio pressoché uguale per tutti, e cosi via), aiuti alla costruzione di curricoli che sappiano valorizzare le doti e le vocazioni dei singoli. Ancora una volta ci vediamo costretti a riproporre non una scuola tecnologizzata in modo superficiale, bensì una scuola a misura d’uomo, per chi ci vive come docente o discente.

In che senso dunque il nostro impegno puo essere paradigmatico? Le materie che insegnamo si prestano, come poche altre, a sottolineare quei due valori che fin dall’inizio abbiamo richiamati come primari: la centralità dell’uomo e la ricerca della verità. L’una e l’altra sono aspetti fondamentali della riflessione e dell’esperienza antica. In questo senso un insegnamento dell’antico che esca da schemi invecchiati e logori e si proponga come momento per accostare una cultura che nella suo concezione dell’umano può essere ancora maestra per le generazioni attuali avrà una funzione sicuramente essenziale nel panorama. scolastico. Se è lecito un riferimento alla nostra esperienza personale, abbiamo sempre ritenuto un grande privilegio quello d’insegnare lettere greche e latine, nel biennio o nel triennio che fosse, nel liceo classico o in altri tipi di scuola: abbiamo sempre ritenuto che queste discipline avessero una valenza formativa eccezionale (senza nulla togliere, ovviamente, a chi professa altre discipline) e delle potenzialità inesauribili. Vorremmo che quanti hanno questo privilegio assolvessero il loro compito con l’entusiasmo e la consapevolezza di chi sa di star operando in un momento difficile e in circostanze che possono avere un peso nel futuro della nostra storia, quanto meno prossima.

Questi, dunque, erano i punti essenziali dell’impegno che ci siamo assunto cinque anni fa fondando Zétesis. Se siamo stati o meno pari al compito assunto, non tocca a noi dirlo. Ciò che abbiamo scritto in quest’editoriale può suonare provocatorio o inusuale a qualche nostro lettore; ma ci piacerebbe avviare un dialogo continuativo coi nostri lettori, e se, come speriamo, qualcuno di loro vorrà inviarci qualche contributo, di consenso o dissenso, su ciò che abbiamo scritto, saremo ben lieti di pubblicarlo. Zétesis è un’opera per studiosi e insegnanti che hanno a cuore la presenza del classico nella scuola e nella società, non per nostalgia o come rifugio, ma per l’intima convinzione che questa cultura ha un valore non secondario nella nostra civiltà e una sua completa emarginazione costituirebbe un impoverimento per tutti. Per questo vorremmo che i nostri lettori, anziché giudicare il risultato, valorizzassero l’impegno che ci ha mossi e ci aiutassero sia ad arricchire con le loro esperienze didattiche e professionali il bollettino sia a diffonderlo nel mondo della scuola, che rischia di uscire da un atteggiamento di chiusura e di difensiva ma solo per indirizzarsi in una linea rischiosa e unilaterale, i cui guasti si potrebbero valutare solamente quando sarà troppo tardi per porvi rimedio.

 

      

 

 

 

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