(1) Ci guidano su questa via le parole di P. Scazzoso in Apuleio: Metamorfosi Milano, 1951, p. 42 : “Apuleio con opportuni richiami riassume e comprende in questo finale tutta la precedente materia, o almeno ci che che di essa vi era di essenziale e di utile ai fini del significato soteriologico del libro... [dimostra] la realtà di quasta unit intrinseca l’insieme di molti particolari dell’undicesimo libro che palesano una situazione rovesciata sovente uguale e contraria a quella degli altri libri, per cui si pu supporre che la situazione non fosse stata una improvvisazione o un finale a sorpresa.”

 (2) Seguo l’edizione di S.Robertson, Les Belles Lettres 1972 e la traduzione italiana di M. Cavalli, Milano 1988.

 (3) F. Rouget, Musica e trance, Torino 1986, pp. 22 ss.

 (4) Riguardo la luminosità della luna, che emette luce solo per met della propria superficie, si veda P. Donini-G.F. Gianotti, La luce della luna in Apuleio, “De Deo Socratis” 1, 117-119, in RFIC 160, 1982, p. 292-296

 (5) Per Iside-Luna si veda Plutarco, De Iside et Osiride, cap. 52, 372 d e ss.

 (6) Cf. M.C. Marin Ceballos La religion de Isis en las Metamorfosis de Apuleio, in «Habis» 9, 1973, pp. 142 e ss.

 (7) Per gli appellativi di Iside cf. Isis, di G. Roeder, in Real Encyclopadie, vol IX, pp. 2118 e ss.

 (8) Cf. anche A. D. Nock La conversione. Societ e religione nel mondo antico, Bari 1974, pp. 118 e ss.

 (9) Riguardo alla realtà mirionimica di Iside cf. anche Plutarco, De Iside et Osiride, 372 f e ss.

 (10) Vi chi ha pensato che l’intero romanzo debba essere interpretato come una vicenda onirica (cf. A. Carotenuto Le rose nella mangiatoia. Metamorfosi e individuazione nell’Asino d’oro di Apuleio, Milamo 1990). Ispirandoci a ciò, ci sembra interessante osservare con Artemidoro di Daldi, Onirocritica II 36, che “la luna corrisponde agli occhi di chi guarda – ci si dice – perché essa stessa causa dell’atto di vedere.” Infatti, come vediamo nel nostro caso, muovendo Lucio alla conversione la luna lo ha restituito alla vista, sottraendolo alla oscurità della malitia e della Fortuna caeca.

 (11) Così ci informa J.G. Frazer in The Golden Bough. A Study in Magic and Religion, Londra 1922, ed. it. Torino 1973, p. 587: “ Un’immagine di vacca di legno dorato con un sole d’oro tra le corna rappresentava Iside ... essa veniva effigiata con delle corna bovine in testa e persino come una donna con una testa bovina.”

 (12) Cf. G. Mazzoli, L’oro dell’Asino, in «Aufidus» 10, 1990, in part. p. 91.

 (13) I loro dominii e poteri sono indicati quasi con in modo identico : serviunt elementa a proposito di Iside (XI 25) e serviunt elementa a proposito di Panfile (III 15); respondent sidera (Iside XI 25), turbantur sidera (Panfile III 15) e sidera extinguere (Meroe I 9); coguntur numina (Panfile III 15), te superi colunt (Iside IX 25) e deos infirmare (Meroe I 8). Anche la figura di Eros entra nell’intreccio: quo Numina terrificantur / fluminaque horrescunt et Stygiae tenebrae (IV 33) trova paralleli in passi come amnes agiles reverti di Meroe (I 3).

 (14) Ecco le parole con cui Iside parla a Lucio (XI, 5): Inde primigenii Prhyges Pessinuntiam deum matrem, hinc autocthones Attici Cecropeiam Minervam, illinc fluctuantes Cyprii Paphiam Venerem, Cretes sagittiferi Dictynnam Dianam, Siculi trilingues Stygiam Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cerem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam isti, Ramnusiam illi, et qui nascentis dei Solis inchoantibus inlustrantur radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina pollentes Aegyptii caerimoniis me propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem..

 (15) I precedenti sono già  in Odissea IV, v.80 per il palazzo di Menelao e VII, v. 90 per quello del re dei Feaci.

 (16) È il verbo usato in riferimento al sole al cap. 23, quando Lucio descrive l’esperienza pu profonda del suo viaggio iniziatico: calcato Proserpinae limine per omnia elementa remeavi, nocte media vidi solem candido coruscantem lumine.

 (17) Il passo discusso da Marin Ceballos, art. cit., pp. 166.

 (18) Wittmann, Das Isisbuch des Apuleius, Stuttgart, 1938, pp. 118 e ss.

 (19) Per l’oro come simbolo isiaco cf. G. Mazzoli L’oro dell’asino, in «Aufidus» 10, 1990, pp. 89 e ss. e anche N. Fick Art et Mystique dans les Metamorphoses d’Apulée, Paris 1991, pp. 330-333.

 (20) L’aggettivo candidus ha un forte valore religioso: in X, 30 riferito al diadema di Giunone, in X, 31 a Venere, alla luce in VI, 20 e VII, 1 e in tutto il libro undicesimo (cap. 9, 10, 24) culminando con il candido lume del sole nella notte sacra (XI, 23). È interessante rilevare che forse l’immagine del cavallo bianco ripresa dal Fedro (253 d) e si collega all’iniziazione di Lucio: dice N. Fick in Art et Mystique dans les Metamorphoses d’Apulée, Paris 1991, p. 267: “Le retour inopin du cheval blanc de Lucius préfigure le vetêment blanc de l’initi et avertit de l’initiation, ou, en termes platoniciens, de l’accès du jeune homme au lieu supracéleste.” Rileviamo con il prof. Mazzoli che il senso generico di peralbus in I, 2, si specifica, nel libro XI, come candidus, bianco splendente.

 (21) R. Merkelbach in Roman und Mysterium in der Antike, Munchen, Berlin, 1962, pp. 20 e ss. arriva a postulare un rapporto fra la mitis aura di IV, 35 e per omnia vectus elementa di XI, 23. Si tratterebbe di una sorta di “macchine per volare” usate nei riti misterici di Iside. Cf. anche P. G. Walsh The Roman Novel. The Satyricon of Petronius and the Metamorphoses of Apuleius, Cambridge 1970, p. 203.

 (22) È interessante rilevare una stretta analogia, nell’uso di termini chiave, fra Apuleio e Macrobio (Somnium Scipionis II, 12,13): “constat ... nihil intra vivum mundum perire sed eorum quae interire videntur solam mutari speciem, et illud in originem suam atque in ipsa elementa remeare”.

 (23) Cf. J.G. Griffiths The Isis-Book, Leiden 1975, pp. 305 e ss., dove si analizzano le influenze dei misteri eleusini e di quelli di Mitra sul rituale descritto da Apuleio.

 (24) A. Loisy Les Mystères paiens et le Mystère chrétien, Paris 1930, pp. 121 e ss.

 (25) Sembra spingersi oltre J.G. Griffiths, op. cit., pp. 299 e ss. Rifacendosi a quanto ci dice Elio Aristide, l’autore parla di “hypnotic sleep”. Del resto Apuleio nel De Magia (cap. 43) parla espressamente dell’effetto narcotizzante di alcuni profumi: “... mecum reputo posse animum humanum ... seu carminum avocamento sive odorum delenimento soporari”. Lo stesso orizzonte d’idee troviamo in Plutarco, De Iside et Osiride 383 e ss., a proposito del kyphi, una bevanda “composta dai profumieri secondo le precise indicazioni delle sacre scritture ... che sprigiona un dolce vapore, tanto che il corpo, dolcemente cullato da questo aroma, acquista una disposizione favorevole al sonno: anche la facoltà immaginativa e onirica brilla come uno specchio e si fa più pura”.

 (26) F. Cumont, Les Réligions Orientales dans le Paganisme romain, Paris, 1929, pp. 92 e ss.

 (27) M.P. Nilsson Geschichte der griechischen Religion, Munchen, 1950, pp. 606 ss.

 (28) Interessanti le osservazioni di N. Fick (op. cit., p. 327) che considera l’iniziazione il momento in cui la luce femminile della luna (XI, 2 lux feminea) si unisce con quella maschile del sole: “Il s’est donc pass dans le secret du temple au moment o le myste “ a vu briller le soleil d’une lumière étincelante “ (XI, 23), une illumination qui a révél ou bien qu’il n’existait qu’une seule lumière ou bien que la lumière féminine n’était que le reflet de la lumière masculine ou bien qu’Isis dispensait aussi l’une que l’autre”. Quest’ultima soluzione ci pare la più convincente.

 (29) Per il simbolismo solare nell’ambito del culto isiaco si veda J.G. Griffiths, op. cit., p. 315.

 (30) Per il sole come simbolo di Osiride si veda Plutarco, De Iside et Osiride, 372 b e ss.

 (31) N. Fick Du Palais d’Eros la robe olympienne de Lucius, «Revue des Etudes latines», 47, 1969, pp. 378 e ss.

 (32) N. Fick, ibidem, pag. 385.

 (33) Cf, G. Mazzoli, art. cit., p. 90.

 (34) Cf. P. Donini-G.F. Gianotti, op. cit. p. 294.

 (35) Il sole e la luna sono al centro della visione dell’universo di Apuleio. Così appare anche dal De Mundo in cui, trattando della divinità, si dice: putandum est eum maxime dignitatem maiestatemque retinere, si ipse in solio resideat altissimo, eas autem potestates per omnes partes mundi orbisque dispendat, quae sint penes solem ac lunam cunctumque coelum.

 (36) Cf. N. Fick Art et Mystique dans le Métamorphoses d’Apulée, op. cit, p. 441.

 (37) Su questo punto cf. P. Scazzoso Apuleio: Metamorfosi, Milano 1951, p. 50.

 (38) R. Merkelbach, op. cit., p. 15, postula un interessante rapporto fra XI, 22 o Luci, te felicem te beatum con XI, 16 felix ... et ter beatus e XI, 29 exulta ter futurus, quod alii vel semel vix conceditur, teque de isto numero merito praesume ter beatum, in relazione con quanto dicono le sorelle di Psiche riguardo al palazzo di Eros: vehementer, iterum ac saepius beatos illos qui super gemmas et monilia calcant.

 (39) Cf. Marin Ceballos, art. cit. pp. 128 e ss.